37. L'inizio della fine - Parte II
Avevo passato i minuti seguenti ad alleviare il peso delle ferite laceranti che straziavano il cuore di JJ da un tempo indefinito. Ogni piccolo graffio accumulato sulla corazza, che aveva costruito per proteggersi dal mondo, era convogliato a formare una voragine nel suo animo, creando il più grande paradosso di tutti i secoli.
La donna più rigida dell'intero spazio adimensionale si era piegata al tormento e alla disperazione.
«Non ho mai voluto questo per me.» Stretta e incapace di decidere quale dovesse essere la sua prossima mossa, sapevo di essere l'ago della bilancia invisibile della sua vita.
«Se hai bisogno del permesso di qualcuno per intraprendere il destino che brami, allora te lo darò io, JJ. Meriti di essere felice come chiunque altro.» La ragazza spalancò le palpebre, per la prima volta qualcuno aveva assecondato i suoi desideri più profondi.
«Ma non sarebbe giusto nei vostri confronti. Non saprei come fare, sarebbe troppo in un momento come questo. Io...» aveva pronunciato prima di allontanarsi con un balzo.
«Ti vorremmo per sempre bene.» Ero entrata in contatto con il suo io più profondo senza neanche volerlo, liberandola dall'unico peso che la tratteneva. Con la stessa maestria con la quale si era mossa, mi diede le spalle. Poggiò un palmo sul dorso del corrimano attanagliandolo stretto. Dipendeva tutto da quel singolo istante.
Scosse il capo di lato mostrandomi il profilo perfetto e il mento alto. «Ti dispiacerebbe se-» iniziò. La interruppi prima che potesse sentirsi a disagio. Incurvai le labbra in un sorriso.
«Sarebbe un onore.» I suoi occhi si illuminarono per un istante. Allungò il polso verso il lettore magnetico facendo di fatto scomparire l'elemento intangibile che non mi permetteva l'accesso ai piani superiori. Abbassò le lunga ciglia, lasciando la presa stringente sul mancorrente. Da lì in poi, ciò che sarebbe successo in Accademia non era più un suo problema.
Era il momento del cambio di testimone.
«Grazie per... per questo» ammise non lasciando trasparire più del necessario. La sua fragilità era qualcosa che odiava mostrare al mondo.
Scossi il capo invertendo i nostri ruoli. Quando la mia figura attraversò i sensori, il passaggio si richiuse.
«I ragazzi sono da Kit, in caso volessi salutarli.» Guadagnai un suo assenso. L'osservai mentre leggiadra percorreva per l'ultima volta quei corridoi, congedandosi con una battuta che riecheggiò per tutto l'atrio solenne e immutabile.
«Detesto ammetterlo, ma forse mi mancherai» sogghignò lasciando alle spalle il malessere che aveva provato e che con tutto il cuore sperava si sarebbe dissolto.
Scomparì dalla mia vista divenendo un'ombra dai contorti sempre più sfumati.
Tirai su con il naso non rendendomi conto di quando avessi iniziato a piangere. Forse ricambiavamo gli stessi sentimenti.
Purtroppo, però, quella era la vita di cui disponevamo e a cui ci saremmo aggrappate.
Nel bene o nel male avevamo fatto le nostre scelte.
Ritornai con l'attenzione verso la nuova missione che mi era stata affidata, dopo aver passato una mano sul volto.
Avrei sostituito JJ nell'esperimento sull'estrazione dei ricordi di Melissa. L'ingaggio si sarebbe tenuto in uno dei recessi del dipartimento di tecnologia e ricerca che vedeva Valek come responsabile capo: l'eccentrico viaggiatore che aveva progettato le nostre tute e il gigafut che portavo al polso.
Mi bloccai al limitar dell'atrio che antistante stanziava sull'intera ala. Provavo al contempo emozioni contrastanti. Ero trepidante di eccitazione, mentre le mie gambe tremavano spaurite.
La zona era completamente diversa da tutto ciò cui ero stata abituata. Davanti a miei occhi si stagliava un'immensa distesa di schermi olografici, progettati dai viaggiatori del dipartimento. Le stanze degli scienziati erano separate dal vetro sottile e non smerigliato, riflettendo ogni fascio di luce che vi si produceva all'interno.
Mi ritrovai a volteggiare tra gli infiniti addetti ai servizi che mi passavano di fianco veloci e affiatati. Non avevo mai visto così tanto trambusto.
"Non c'è tempo da perdere" pensai inconsciamente. Ma la verità era che ne avevamo tutto quello che il mondo potesse desiderare.
«Delaney Holland? Cosa ci fa lei qui e chi l'ha autorizzata?» Il signor Valek mi squadrò da capo a piedi, visionando il taccuino elettronico con aria interrogativa.
«Jezebel Jonson mi ha ceduto il suo incarico e io-» mi interruppe alzando un dito a mezz'aria. Deglutii la poca saliva che avevo in corpo credendo che mi avrebbe ricacciata al mittente.
«Ero sul punto di venirvi a prelevare personalmente. Ma la sua presenza mi facilita di molto il lavoro. Ecco fatto, ora ha i permessi necessari per poter accedere ai diversi settori.» Il bracciale trillò divenendo di un intenso colore smeraldo.
«Posso attraversare il campo elettromagnetico?» domandai ingenuamente seguendo l'uomo che aveva riposto l'immaginifico tablet snodabile nel taschino. A grosse falcate si stava dirigendo verso l'unico laboratorio trincerato dietro le lamiere. Un'ulteriore barriera si poneva a separare quel luogo dal resto del piano.
Disordine, baccano e tumulto regnavano sovrani nello spazio che aveva concepito le migliori invenzioni dell'universo.
Sui tavoli ovali migliaia di miniature dei gigafut erano fatti a pezzi e accuratamente ricomposte, mentre ai loro lati le fibre di carbonio venivano piegate nelle tute più eleganti che i sarti avessero potuto confezionare.
Piccole sfere di metallo erano accuratamente pesate e studiate. L'enorme quantità di personale che riversava in quello stand mi fece intuire che quell'invenzione non fosse di facile manutenzione. E, mentre uno degli addetti maneggiava il materiale lucente con indosso due spesse lenti a coprire le retine, alle sue spalle delle scintille iniziarono a librarsi per aria.
"Se non presti attenzione rischiamo di saltare in aria!" aveva urlato al più giovane inventore.
Spalancai le palpebre cercando di volgere la mia attenzione altrove, ma non era semplice! I fattorini non facevano altro che passarmi accanto per fornire i componenti essenziali e prelevare il lavoro fabbricato alla perfezione. Era una catena di montaggio in piena di regola.
Nessuno era intenzionato a starsene beatamente in panciolle. Tutti collaboravano attivamente per creare il futuro. Ognuno aveva il proprio compito.
A farmi tornare con la testa sulle spalle ci pensò un viaggiatore con il quale mi scontrai.
«Chiedo venia!» Ma l'uomo indossava un casco esoscheletrico che non gli rendeva possibile udirmi. Lo osservai in silenzio domandandomi a cosa servisse.
«Il futuro passa per la ricerca. Deve scusare il nostro modo di fare, penso non sia abituata a tale caos.» Scrollai le spalle. In realtà, quell'ambiente mi ricordava le immense giornate trascorse in università in cui la folla gremita di studenti disperati calcava i centenari graniti. Anche loro erano costantemente in moto, in un certo senso.
Giungemmo innanzi gli spessi muri di metallo che segnavano i contorni della camera blindata. Valek scrollò l'indice sullo schermo luminoso, permettendo alle difese di cedere e guadagnandoci l'ingresso.
Un passo in avanti e la pesante porta si richiuse alle nostre spalle, lasciando fuori sia il chiacchiericcio che la luminosità delle fiaccole a energia compressa.
«I nostri addetti stanno già testando le capacità di lettura delle onde cerebrali. Siamo un po' a rilento sullo studio dell'attività encefalica, non ci aspettavamo di riuscire a catturare nessuno dei capi dei ribelli. Figurarsi due.» Valek mi face strada verso lo stretto corridoio tristemente illuminato.
Ci portammo nel retro del laboratorio. Una spessa lastra di vetro ci separava da Melissa. Un brivido percorse il mio corpo quando i suoi occhi freddi e meschini si posizionarono sulla mia figura.
«Non può vederla, non si lasci ingannare dal suo sguardo» mi aveva suggerito il capo dipartimento ponendosi a un paio di millimetri dallo specchio così da osservare il suo esperimento con la massima cura. «Nella stanza di fianco è stato trasferito Theon. Sarà il secondo soggetto che verrà sottoposto a questo esperimento.» Annuii impacciata ricordando quell'uomo come colui che aveva sabotato i bracciali a New York.
La donna era legata da manette al plasma su un trono d'argento. Sembrava essere all'interno di una bolla luminescente. Digrignava i denti, celando dietro il falso sorriso un'indole intrisa di malvagità e cattiveria. Tutt'attorno una decina di scienziati controllavano ogni suo singolo movimento con perizia.
«Il pensiero umano non è altro che un'equazione metafisica che segue una semplice legge: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.»
Alzai un angolo della bocca. «La legge di conservazione della massa di Lavoisier.» Seppur non mi era possibile osservare Valek direttamente, avvertii le sue labbra piegarsi in un sorriso.
«Persona squisita, che ha avuto una morte incresciosa.» Si voltò per mostrarmi il suo disappunto. Mi portai una mano al collo per riflesso.
«A cosa servono quelle strane fluttuazioni luminose che le volteggiano attorno?»
«Sono anelli di gigafut su larga scala e rendono possibile la captazione delle microonde rilasciate dal corpo di un viaggiatore. All'inizio eravamo capaci solo di avvertire i cambiamenti che si evidenziavano dopo l'utilizzo dei propri poteri. Con il tempo siamo riusciti ad ampliare quella tecnologia sfruttandola oggigiorno e rendendola... incredibile, ma non infallibile.» L'uomo sembrava essere fiero del suo lavoro, ma avvertii una nota dolente sul finire.
«Signor Valek, mi dispiace. Le hanno rivelato che i bracciali sono stati hackerati durante l'ultima missione della squadra alfa?» domandai cauta.
L'uomo, purtroppo, sapeva bene a cosa facessi riferimento. Mi lanciò un'occhiata raddolcendo lo sguardo. «È stato Theon,» iniziò con rammarico. «Tutto ciò che lui sa gliel'ho insegnato io. È stata colpa mia se vi siete trovati nei guai» confessò concedendosi un minuto.
Serrò la mano in un pugno. «Oltre venti anni fa era un promettente scienziato. Il mio secondo in comando... alla base di tutti i nostri progetti ci sono le sue teorie eccezionali. Purtroppo, però, la sua sete di conoscenza era più grande di qualsiasi morale.»
Scossi il capo incredula. Ciò spiegava come Theon fosse riuscito a scovare una falla nel sistema e metterci alle strette. Chissà quali altri progetti erano ancora incompiuti e chissà come doveva sentirsi il signor Valek a riguardo.
Fortuna voleva che il disturbatore di frequenza fosse stato distrutto durante la missione.
«Sfruttando questa nuova invenzione sareste in grado di estrapolare i ricordi e porre fine al piano dei ribelli?»
«In particolari condizioni, sì.»
Quegli anelli fluttuanti erano forse il modello più avanzato e mille volte più grande del mio bracciale?
Rimasi sbalordita.
«E volete che io e i miei amici ricreassimo quelle particolari condizioni?» Valek annuì.
«Potreste suscitare in loro dei cambiamenti tali da permettere alla macchina di studiarne le variazioni e decifrarne il pensiero. È come un codice criptato, per poter avere accesso al loro cervello ci serve la chiave d'ingresso.» L'uomo posò il palmo sul vetro dove la figura dell'assassina più pericolosa di tutto lo spazio adimensionale stanziava. Le sue iridi venivano riflesse perdendosi nell'oblio della memoria.
«Cosa ti è successo, Melissa?» sussurrò nell'oscurità, socchiudendo gli occhi.
All'improvviso le flebili luci che ci circondavano si spensero di colpo, impedendoci la visione al di là del vetro elettronico.
«Che succede?» domandai incauta facendomi avanti. Sentivo che niente di buono sarebbe derivato da lì a poco. Raccolsi per istinto la spilla con il simbolo "alpha" stringendola tra le dita affusolate.
Il signor Valek trasse fuori una tastiera olografica cercando di mettersi in comunicazione con la sala di comando. I computer non volevano saperne di reagire alle sue contromosse.
«Sembra che il flusso di energia adimensionale si sia ridotto all'improvviso» ragionò ad alta voce. «Pare saremmo costretti a utilizzare i metodi manuali.» Mi fece segno di indietreggiare. Si inginocchiò per poter avere accesso a un pannello nascosto, dal quale trasse fuori una radio impolverata.
«Sieg-01, Sieg-01, dalla sala di visione, che sta succedendo lì fuori?» Valek sembrava essere spazientito. Cose di quel genere non dovevano accadere.
«Sieg-01, Sieg-01, che sta succedendo, per diamine?» Ingoiai la poca saliva che avevo in bocca, mettendomi fin da subito sulla difensiva. Mi avvicinai alla porta d'accesso aprendola di un paio di dita e sbirciando al di là del corridoio. Testa e croce ci separavano una ventina di metri dall'uscita.
Delle scintille e un boato mi costrinsero a richiudere la porta a causa del contraccolpo. Ricaddi per terra.
«Cosa è stato?» domandai spaventata. Un sibilo insistente si insidiò nella mia testa. Feci fatica a spalancare gli occhi, osservando in tralice lo sguardo del signor Valek divenire sempre più severo.
«Bombe al plasma idrogenato. Potrebbero radere al suolo un intero quartiere in pochi istanti. Per fortuna la struttura di contenimento è stata costruita per resistere all'esplosione.» Mi tirai a sedere con stizza, un terribile dolore alle tempie mi impediva di muovermi. Ero spaventata e spaurita.
«Ci-ci-ci» un suono metallico proruppe dalla radio impolverata, alternandosi al disturbo emesso da qualsiasi altra emittente. Valek si accasciò sul pavimento sporco per afferrare uno dei due interfoni. La struttura di metallo intorno a noi sembrava essere sul punto di crollare su sé stessa. Persino i cardini della porta erano volati, impedendoci l'uscita.
«Per diamine, chi sta facendo esperimenti non autorizzati? Dove sono Joaquin e Kozex?» ma nessuno rispose a quella domanda.
«Ci-ci-ci stanno massacran-» la voce strozzata terminò di parlare. Un secondo boato sopraggiunse alle nostre orecchie. La terra tremò per degli istanti interminabili. Ricaddi per terra strisciando contro la parete e accasciandomi in un angolo. Persino il signor Valek era stato sbalzato via a causa delle onde che mandarono il vetro in frantumi. Le schegge satinate avevano lacerano la carne della mia coscia, ma erano niente in confronto a quelle che si erano conficcate nel petto del mio superiore. L'uomo iniziò a tossire liquidi vermigli, cercando a tentoni di rimanere in piedi contro il telaio dei computer disattivati.
Ciò che mi fece gelare il sangue nelle vene, però, fu la visione che ebbi della sala di controllo.
Spalancai gli occhi e le budella mi si intrecciarono. Mi aggrappai con le unghie al mio corpo, attanagliando il cuore pavido e trattenendo un conato di vomito. Immobile e tremante allo stesso tempo, tutto ciò su cui stavo posando gli occhi era nient'altro che carne trita e morta.
Il braccio di uno degli scienziati, che fino a poco prima monitorava i parametri vitali della prigioniera, ricadde sul pavimento in una pozza di liquidi tumefatti.
Il signor Valek capì prima di me ciò che era accaduto e le conseguenze che ne sarebbero derivate. Con uno scatto fulmineo mosse il corpo dolente nella mia direzione, creando un portale adimensionale con il semplice gesto della mano.
«Scap-pa!» mi aveva ordinato, con il fiato spezzato dai respiri superficiali. Ma il mio fisico era bloccato. Il pavimento della sala era ricoperto dal sangue e dalle interiora degli scienziati che stavano operando fino a qualche minuto prima. Dopo l'azione della bomba al plasma non c'era più possibilità di distinguere i singoli corpi.
Ero attanagliata dalla paura. I ribelli avevano preso il controllo della zona?
Non c'era nient'altro che urla di disperazione proveniente dall'esterno del bunker a fare da sfondo al mio ammutinamento. Quanti erano caduti? Una decina? Una ventina? Nella peggiore delle ipotesi l'intero piano era al collasso!
«Sal-va coloro che pu-oi!» Spalancai le palpebre ricordandomi delle persone che amavo e che avrebbero fatto una triste fine se mi fossi arresa! Lacrime calde solcarono il mio viso.
Valek mi osservava pieno di speranze con gli occhi di chi sapeva che non c'era nient'altro che potesse fare.
E fu proprio nell'istante in cui mi diedi lo slancio per scomparire dentro la nuvola di antimateria che capii il perché della sua celerità. Non aveva più tempo a disposizione.
Nei pochi frame che la mia retina riuscì a cogliere durante il salto, catturai il suo sorriso candido e un labiale sbiadito.
"Chiudi gli occhi" era ciò che aveva mimato poco prima che la lama di Melissa affondò il collo del capo del dipartimento di tecnologia e ricerca, tranciandolo via di netto.
La figura della ribelle era sbucata dalle ombre, alla stessa velocità con cui si era richiuso il portale dopo che la vita aveva abbandonato il corpo del mio superiore: le ultime energie di Valek erano servite a salvarmi.
Rotolai sulle scale del quinto piano fino a toccare il fondo la schiena. Un intenso dolore si irradiò per tutto il mio corpo. La pelle bruciava e la gamba si era gonfiata sanguinante. Vomitai il contenuto della colazione frugale che avevo fatto quella stessa mattina, quando ancora tutto era possibile, interrogandomi sul da farsi. Dovevo essere più veloce, dovevo correre da loro.
Tra i gemiti disperati e la saliva acida mi rimisi in piedi a tentoni, trascinando l'arto che mi stava creando impiccio. Levai via dal volto la disperazione.
Non avevo tempo per crogiolarmi!
L'inizio della fine era appena incominciato.
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