36. L'inizio della fine - Parte I

Trentaquattresimo giorno

Mi alzai di scatto, il cuore batteva furente nel petto terso, mentre i miei occhi cercavo di abituarsi alla luce fioca del mattino. Avvertivo uno strano senso di inquietudine aleggiare intorno alla mia figura piccola e scarna, ma non ne capivo il motivo.

Allungai una mano per disfarmi delle coperte sudice che mi avevano accompagnato durante la notte. Solo dopo essermi data una rinfrescata, notai giacere ai piedi del letto un pacchetto dalle medie dimensioni ricevuto al termine dell'allenamento dei giorni precedenti. Un piccolo pensiero da parte della dolce Lake.

Scartai il regalo con il sorriso nell'animo e la curiosità negli occhi, rimembrando come la ragazza mi era corsa tra le braccia appena saputo dei miei risultati. Incurvai le labbra sovente quando tra la carta da pacco scorsi una spilla logorata dal tempo.

"È lo stemma della squadra! Sei ufficialmente dei nostri!" ripetei nella mia mente, mentre appuntavo l'oggetto di metallo a forma di alpha sul petto. Non avrei potuto essere più orgogliosa.

Scossi il capo ricacciando indietro le lacrime. Per quello ci sarebbe stato tempo.

Cercai di fare mente locale, ricordandomi di essere svenuta a causa della stanchezza. L'infermiera mi aveva avvisato che l'utilizzo della rigenerazione cellulare avrebbe accelerato anche il mio metabolismo; pertanto, non mi stupii avvertire lo stomaco brontolare. Il braccio, però, mi era ancora dolente.

Mirai il gomito flesso, ripensando alla sfida che avevo avuto contro il caposquadra. Christopher non si era tirato indietro, trattandomi come un suo pari. Ne ero felice, ma allo stesso tempo sapevo che non avrei potuto deluderli.

Concorde con Sander mi avevano suggerito di essere più cauta. Per un qualche motivo i miei poteri avevano iniziato a evolvere, divenendo più imprevedibili e difficilmente contenibili.

"Un effetto collaterale del multi-talento", aveva descritto il mio istruttore: dilatazione quantistica del tempo e dello spazio sotto forma di energia che tende all'infinito. Un effetto domino che avrebbe come risultato la mia scomparsa in assenza di materia.

In parole povere, imploderei dall'interno senza lasciare traccia.

Ingoiai la poca saliva che avevo in gola dirigendomi dai miei compagni d'avventura. Eravamo soliti condividere i pasti, prima che ognuno di noi tornasse alle proprie incombenze.

«Ho saputo la bella notizia, Dely! Ma è fantastico!» James mi si era parato davanti non appena varcata la soglia della sala mensa. Gli saltai al collo entusiasta di vederlo.

«Che bugie ti hanno raccontato in mia assenza?» strinsi a me il fratello che mi era mancato così tanto durante tutto il mio percorso. Scrutando i tavoli sparsi mi accorsi che la maggior parte dei membri della squadra erano intenti a spiarci. A niente valse il mio dissimulare dietro le spalle grosse di James.

Mi accolsero tra applausi e battute di sfida, leggendo nei loro occhi quanto fossero fieri di me.

«Sei davvero riuscita a farlo?» borbottò il mio fratellastro non contenendo più la frenesia del momento. Trovai posto in mezzo a Lake e JJ.

«Avresti dovuto vedere come padroneggiava le sue abilità. Non me lo sarei mai aspettato.» Chris allungò una mano per afferrare un frutto al centro del tavolo. Mi sentii lusingata dalle sue parole. «E scusa ancora per il braccio» aggiunse dispiaciuto volgendo lo sguardo altrove.

Lo rassicurai imbarazzata.

«Hai indossato lo stemma della squadra! Ti sta molto bene, meglio di quello che ti avrebbe dato Colton. Non ti ha più importunata, vero?» Lake era balzata sul tavolo irruente pur di avere la mia attenzione.

«Ma certo che no! Altrimenti avremmo già discusso un piano per fargliela pagare. Vero, Dely?» Sol mi lanciò un occhiolino. Credetti che Sander l'avesse aggiornata di tutto.

«Non si è fatto più sentire dopo la scorsa volta» asserii sollevata. Aveva mantenuto la sua promessa.

«Lake, quante volte devo dirtelo che non devi posare i piedi sul tavolo? Cosa direbbero i tuoi genitori? Torna giù!» JJ come al solito non era in vena di moine. Per lei esistevano solo le buone maniere e le formalità, mai una volta che si sbottonasse un po'.

«Bla, bla, bla. Lake fai questo, Lake smettila di lanciare le lame con i piedi. Lake non dare da mangiare ai dinosauri. Sono stanca di tutti questi ordini, se ai miei genitori interessasse della mia educazione che scendessero dal nono piano e venissero a impartirmela loro stessi!» La piccola brunetta balzò sulla sedia mettendo il broncio. Probabilmente non lo avrebbe mai ammesso, ma l'assenza della sua famiglia l'aveva segnata profondamente. Mi aveva confessato di far fatica a ricordare i loro volti, ma sapeva che il lavoro svolto era di vitale importante. Come membri del Consiglio non avevano giorni liberi.

«A proposito, dove è l'altro combina guai? Lo avete visto?» JJ richiese guardandosi attorno.

«Non lo incrocio dalla scorsa settimana, perciò non saprei» ci informò Max, il quale non era stato molto presente. Dopo lo sfogo nell'aula d'addestramento aveva preferito rigare dritto svolgendo lavori burocratici per conto della sezione di ricerca e raccolta dati. Aveva viaggiato con Colton e un altro paio di membri della nostra nuova squadra. La mia presenza non era stata formalmente richiesta e ciò mi aveva permesso di continuare con gli allenamenti impartiti da Kit. Ma dove era?

«Non è passato neanche da me, è stato Christopher a prelevarmi quest'oggi» commentò James, mentre ingurgitava uno dei due muffin ripieni di cioccolato che aveva sul vassoio.

«Kit non si sente bene. Lo sostituisco io.» Comunicò telegrafico il caposquadra. Spalancai le palpebre amareggiata. C'era qualcosa che avvertivo, che non mi sembrava corretto.

«Si rimetterà, vero?» domandai preoccupata facendomi avanti. Il mio cuore era inquieto, ma non sapevo il perché.

Lake alzò un angolo della bocca ritornando sul tavolo con un balzo. «Ma certo che sì! È Kit! Lo hai mai visto abbattersi?» mi tranquillizzò lo scricciolo con il sorriso più candido del mondo.

«Potremmo passare e vedere come sta. Ma dobbiamo essere celeri, non abbiamo molto tempo prima dell'incontro con il Consiglio. Max avvisa Colton di farsi trovare pronto, lo sai che a loro non piace aspettare.»

Scossi il capo. Ero entusiasta di fare una sorpresa a Kit, ma non avevo ben capito il tipo di incontro che avremmo avuto in seguito.

«Che succede? Mi sono persa qualcosa?» Volevo delle risposte.

Christopher si passò una mano sul volto, mentre Max si allontanava con l'intento di fare rapporto al suo nuovo capitato.

«Ti ricordi di Valek?» Annuii rimembrando perfettamente la sua figura stravagante. Era un uomo preciso e puntuale, secondo solo al nome di Lyza Thompson in Accademia. Soggetto al potere della Preside in tutto e per tutto.

«È il capo del dipartimento di sviluppo tecnologico. Ci vuole nei suoi laboratori per un esperimento. Questa mattina interrogheranno Melissa e gli altri scagnozzi che sono stati catturati dalla squadra di Colton. Molto probabilmente Valek crede che la nostra presenza possa essere di aiuto nella metodica dell'estrapolazione dei ricordi, in quanto abbiamo dei trascorsi. Non ti ho informata poiché avevi faccende ben più serie di cui occuparti e non volevo sovraccaricarti di responsabilità. Io, JJ, Max e Colton dovremmo essere più che sufficienti per portare a compimento questo incarico. Dopo le dure parole di mia madre avrei potuto rifiutare, ma non ci sono riuscito. In quanto viaggiatore ho il dovere fare tutto ciò che è in mio potere per aiutare. Non saranno i miei sentimenti a intralciare la pace.» Il ragazzo abbassò lo sguardo posando le sue iridi corvine dove fosse stato difficile scrutarle. Mi si strinse il cuore ricordando il tormento interiore che infuriava nel suo animo. E non era l'unico.

JJ sbatté con ferocia le mani contro il tavolo di metallo. Lake sobbalzò dopo tale atto d'ira rimettendosi composta. «Al diavolo la pace, Hart. È un'assassina e avrebbero dovuto ucciderla all'istante! Lo sai anche tu.»

La bionda tirò fuori le unghie ringhiando contro il ragazzo che le era stato sempre al fianco. Il malcapitato s'indurii in volto.

«Ma noi non lo siamo, Jezebel. Perché trasformarci in dei mostri? Cosa ti prende?» la sgridò. Domande che non avrebbero avuto alcuna risposta. JJ trattenne il fiato, mordendo furiosa il labbro inferiore, per poi sparire di corsa alle sue spalle.

Sol si mosse per prima, ma qualcosa dentro di me mi spinse ad anticiparla. Conoscevo fin troppo bene da dove stava attingendo quella rabbia.

«Ci parlo io.» Piegai in un sorriso bieco scrutando un'ultima volta le iridi smeraldine del mio fratellastro. Sapeva che dove ci sarebbe stato bisogno di me io sarei corsa, anche a costo di sacrificare ciò che era più importante per me. Non mi sarei tirata mai indietro e lui ne era consapevole.

"Vai" mi aveva mimato mantenendosi sereno in volto. Nonostante corressi nella direzione opposta, sapevo che il filo rosso che ci legava non sarebbe mai stato possibile reciderlo.

Superai le ante di metallo che si librarono in aria, correndo su per le scale dove il vociare era più basso, ma i lamenti così vividi. Levai gli occhi verso la tromba delle scale attizzando le orecchie. Il suono dei passi di JJ era leggero e mai troppo lento. Rassomigliava a una gazzella agile e scattante, che scappava dal suo aguzzino.

Individuai la fonte di quei suoni in successione cercando di accorciare la distanza. I singhiozzi si alternavano a fievoli respiri facendosi sempre più intensi.

Quando svoltai l'angolo, mi resi conto di essere all'ultimo piano per il quale mi era consentito l'accesso. L'avevo raggiunta per un pelo.

«JJ, aspetta!» richiamai la sua attenzione. La figura statuaria della donna dal cuore di ghiaccio si arrestò portandosi un braccio a coprire il volto. Senza mai girarsi iniziò a parlare.

«Cosa vuoi? Perché sei qui? Puoi tornare dagli altri e dire che sto bene!» reclamò con ardore. Riprese a camminare, più calma di quanto avesse fatto negli attimi precedenti, dirigendosi verso il campo magnetico al limitare dei due piani. Scosse il bracciale davanti al lettore facendo scomparire il passaggio invalicabile.

«Non vado da nessuna parte senza di te!» La ragazza non si scompose più di tanto a quelle mie parole. Semplicemente si limitò a salire il primo dei gradini che l'avrebbero portata al piano superiore. Il campo gravitazionale si ripristinò. Non potevo seguirla oltre.

«Ho delle faccende da sbrigare» mi comunicò telegrafica continuando a darmi le spalle. I capelli dorati erano la corazza che aveva da sempre portato e che anche in quella occasione non mi permettevano di fare breccia nel suo cuore.

«Io so ciò che provi!» gridai sperando di sortire qualche effetto. Ne ricavai un primo momento di indubbia ilarità. La voce si incrinò nel rispondermi.

«Come puoi anche solo pensare di riuscire a capirmi?» gridò lei voltandosi per la prima volta da quando aveva lasciato la mensa. Gli occhi arrossati e la carne scarna del volto mi fecero intuire come i lamenti e il tormento non avessero smesso di divorarla dall'interno. Strinse le labbra in una linea dura, quasi incontenibile aspettando un mio cenno di cedimento.

«Perché sei arrabbiata e vuoi solo dare sfogo a quell'ira che ti sta corrodendo. Esattamente come me.» Le pupille sottili puntarono la mia sagoma. Ero risultata, decisa e diretta perché era inutile prendersi in giro, anche io avrei reagito come lei. Anzi, io mi ero comportata persino peggio.

«Sai cosa vuol dire avere quel mostro a pochi metri di distanza e vederlo sorridere? Hai idea di quale dolore possa provare ogni volta che il suo nome viene pronunciato? Quella donna mi aveva ucciso ed è ancora viva!» strinse una mano davanti il petto digrignando i denti e avvicinandosi al mio volto. Il livore traspariva in ogni sua espressione.

«Vorresti fare terra bruciata del mondo, fino a che anche l'ultima briciola di rancore che hai in corpo abbia trovato la sua ragion d'essere. Come una fiamma vorresti ardere in eterno sotto l'influenza della vendetta e dell'angoscia, ma allo stesso tempo speri che qualcuno ti fermi prima che sia troppo tardi. Sbaglio, forse?»

La bionda spalancò le palpebre sorpresa. Mi squadrò indecisa sul da farsi e se darmi ascolto. «Io, io...» mugugnò sull'orlo di un pianto.

«Tu non hai nessuna colpa. E dentro di te sai che non dovresti odiarti per ciò che provi. È normale che tu sia arrabbiata. È normale che tu voglia piangere e urlare. È ciò che ho fatto io per quasi un mese. Ma è stato grazie a James, Max, Lake, Sol, Sander, Kit e Chris se non sono crollata. Mi hanno offerto il loro aiuto quando neanche io pensavo di averne bisogno, salvandomi da me stessa. È grazie a loro se non sono fuggita e se sono ancora in piedi pronta a lottare. Sono certa che farebbero lo stesso per te, perché sei la loro famiglia e non lascerebbero mai che ti autocommiserassi in questo modo. Sei forte, Jezebel Jonson. Sei la più cazzuta di tutte. Sei quella che conosce ogni regola a memoria e l'applicazione dei protocolli. Sei la più esperta e la più responsabile. Ma devi accettare la tua fragilità come ognuno di noi ha fatto. Fare un passo indietro non ti renderà più vulnerabile.» Venni bloccata dalla stessa JJ che disattivò il campo elettromagnetico per buttarsi tra le mie braccia.

Rimasi spiazzata e sorpresa dalla sua reazione così irrazionale.

Non avevo mai creduto che in lei ci fosse solo rigore. I suoi occhi fin troppo quieti nascondevano il mare in burrasca: era impulsività ed emotività allo stato puro sotto la maschera d'intransigenza.

Dall'alto della sua figura avvertii i singhiozzi esplodere e le calde lacrime versarsi contro la mia pelle. Le braccia, che erano state colte impreparate a tale approccio, trovarono il giusto posto sul suo corpo. Era la prima volta che noi due avevamo avuto un contatto, ma niente mi era sembrato più naturale.

Le accarezzai il dorso sussurrandole che sarebbe andato tutto bene. E tra i respiri affannati lei mi rivolse la sua verità, quella che più le aveva attanagliato il petto la notte rendendole impossibile il riposo in tutte quelle settimane.

«Io ho paura, Dely. L'ho sempre avuta e non riesco più a far finta di nulla...» tremava mentre le parole si liberavano nell'aria con incommensurabile parsimonia. «Io voglio lasciare l'Accademia.»

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