18. Release recollection.

Settimo giorno

Ricordare significava ammettere di non voler dimenticare.

E allora perché faceva così male?

Non avevo fatto grossi progressi con i miei poteri. Secondo Sander il mio unico limite era a livello mentale, letteralmente. Bloccavo con il pensiero le mie capacità, incapace di governarle al meglio. Ma non era un problema, prima o poi ce l'avrei fatta a lasciarmi guidare da loro, o almeno così diceva.

Per la prima volta gli credetti sul serio senza abbattermi.

A lezione terminata avevo la testa fra le nuvole e la speranza nel cuore, e così mi dirigevo verso le mie stanze. Presa dalla stanchezza non facevo attenzione a ciò che mi circondava. Osservavo il pavimento e come scorresse più o meno velocemente sotto il movimento dei miei piedi, fino a quando la mia corsa non venne interrotta dall'urtare qualcuno che proveniva dal senso opposto. Balzai all'indietro levando gli occhi verso la mia vittima. Ero davvero mortificata.

«Max! Non ti avevo visto» mi scusai imbarazzata. Il ragazzo dalla pelle olivastra e gli occhi vispi mi scrutò come se si fosse appena accorto della mia presenza. Aprì la bocca farfugliando qualcosa su come non dovessi preoccuparmi.

Accennai appena un sorriso chiedendogli dove fosse diretto, magari avremmo potuto fare un po' di strada insieme. Ma senza ascoltare la sua risposta la mia mente iniziò a formulare un'ulteriore domanda da porgli. Non stava forse giungendo dai piani superiori?

«Capito, Dely?» mi chiese Maxfield facendo un passo in avanti. Ritornai con l'attenzione su di lui scuotendo il capo per assenso.

«Oh, sì, certo. Dicevi che stai tornando in camera... Da dove hai detto che sei arrivato?» domandai subito dopo. Sembrò stranirsi. Abbandonò la presa sul corrimano per grattarsi la nuca.

«Niente di che, le solite faccende di cui si occupa la squadra Alpha, per una missione. Ne parlerò poi con il team. Niente di cui preoccuparsi.» Abbassai lo sguardo verso le lastre di metallo delle scale. Quello significava che non ero parte del gruppo come credevo. Almeno fino a che i miei poteri non si sarebbero mostrati sarei stato solo d'intralcio. Partecipare a una missione sarebbe stata un'utopia. Scesi qualche gradino di corsa. Mi bloccai quando mi resi conto che Max non aveva colpa e che sembrava davvero infantile scappare via.

«Non vieni?» domandai sorridendogli indicando il piano inferiore. Non importava se non avessi avuto un ruolo di spicco, mi bastava essere lì con Maxfield e tutti loro.

Solo quando la mia voce giunse alle orecchie del ragazzo sembrò rinvenire. Scacciò via i cattivi pensieri, rendendosi conto di aver detto qualcosa che avesse potuto ferirmi e facendo sparire il mio malumore con un sorriso pieno.

Ci dividemmo una volta giunti al secondo piano. Indugiai più del dovuto nell'osservare la strada che intraprese per tornare alla sua stanza. Focalizzai i suoi movimenti imprimendoli nella mia mente: una prima svolta a destra e poi dritti a sinistra, fino a scomparire dietro il colonnato, lontano dalla portata della mia vista.

Avrebbe potuto tornarmi utile, ipotizzai.

Ero soddisfatta di me stessa e dopo aver sventolato il bracciale davanti al rilevatore elettronico, mi infilai in camera scostando l'uscio con un piede e dandogli la spinta necessaria affinché potesse richiudersi. La forza che avevo impresso avrebbe fatto il resto.

Mi buttai sul letto dando le spalle alla porta: mi piaceva passare il tempo osservando dalla finestra il sole giallo che risplendeva alto nel cielo, immaginando la splendida giornata che avrebbe vissuto New York. Ipotizzavo di passeggiare sull'Avenue o a Central Park, come quando avevo fatto la dog sitter per pagare gli studi. Quel che era certo era che sarebbe stato un altro giorno di allegria in casa Holland. Piegai la testa di lato lasciando che i ricordi presero possesso della mia mente.

Era una tortura ripensare alla felicità che mi era stata strappata via, come neve al sole, non avevo potuto fare nulla per impedirlo... Quello stesso sole che illuminava il mio volto stanco e segnato da un dolore incolmabile, ma che con il passare dei giorni diveniva un po' più sopportabile. Portai il pollice alle labbra iniziando a mordicchiarmi l'unghia. Una cattiva abitudine che mi portavo da quando ero più piccola: ogni qual volta la mia mente era sommersa da ricordi, non riuscivo a frenarmi. Sorrisi amaramente quando costai che quella volta non ci sarebbe stato nessuno a sgridarmi. "Non è buona educazione" ripeteva sempre mio padre.

Strizzai gli occhi con stizza ricacciando indietro la frustrazione. Rimanendo in attesa, sperando che accadesse qualcosa... Fino a che qualcuno non mi richiamò alla realtà.

«Delaney?» Mi voltai di scatto, lasciando la presa sull'unghia e arpionando il piumone sotto le mie dita per lo spavento.

Christopher era appoggiato allo stipite della porta sostenendo il peso del suo corpo su un solo arto.

Mi stava osservando da chissà quanto tempo e con chissà che pensieri. Le braccia incrociate al petto facevano presagire che fosse impaziente. I suoi occhi scuri fissi sulla mia figura me ne davano la conferma. Senza alcuna esitazione o agitazione era semplicemente lì in attesa: per ispezionare la mia forza, tanto quanto la mia fragilità.

In un istante balenò l'idea che forse adorasse mettere sotto pressione psicologica chiunque gli fosse attorno con il sapiente uso del suo sguardo. E ci stava riuscendo: mi ero irrigidita senza un vero motivo.

«Che ci fai qui? Come sei entrato?» indagai avvicinandomi a lui cautamente. Gli feci segno di seguirmi fuori dalla stanza. Lui si scansò scivolando lateralmente e dandomi lo spazio necessario per passare.

«La porta era aperta e ho aspettato il momento giusto per richiamarti... Sembravi così assorta nei tuoi pensieri.» Deglutii imbarazzata.

«Stavo solo ricordando delle cose che avrei preferito non riemergessero. Piuttosto quale è il problema? Sei venuto a salutarmi a causa della nuova missione che vi è stata assegnata?» domandai con una punta di malinconia nella voce. Serrai i pugni facendomi avanti, mentre Christopher piegava un sopracciglio sorpreso.

Loro erano le uniche persone che conoscevo e con James costretto a rimanere chiuso in camera tutto il giorno, non credevo ce l'avrei fatta senza di loro. Sarei impazzita, se fossero partiti, sarei crollata una seconda volta.

Feci un successivo passo nella sua direzione, provando a tenere fermo lo sguardo negli occhi di Chris e vincendo quel gioco in cui lui era dannatamente bravo. Fu lui il primo ad abbassare le iridi scure e a guardare altrove.

«No, niente di tutto questo. Anzi, non sapevo che ci fosse una missione.» Sembrava sinceramente colto di sorpresa. «Io, in realtà, ero venuto a controllare come stessi. Sander mi ha parlato dei tuoi progressi e credevo fosse giusto dartene merito. Volevo portarti in un posto, ma se non stai potremmo fare in un altro momento.» Chris alzò gli angoli della bocca in un sorriso sommesso. Era preoccupato per me?

«Mi stai veramente dando una scelta o anche questa è una trappola? Ho fatto come mi hai detto... Non sono scappata e non ho intenzione di farlo!» Era certamente una delle prime volte in cui Christopher non avesse un'aria di sufficienza. Il biondino si umidificò le labbra prima di avvicinarsi scuotendo il capo.

«Lo so, Dely. Non è una trappola, te lo prometto. Ma devo ammettere che mi fa piacere sentirti dire che non proverai a scappare di nuovo. Mi dispiace per come ti ho trattata in questi giorni, potrei aver esagerato. Non sono sempre così autoritario...» si scusò scrutandomi con la coda dell'occhio.

Sbuffai esasperata. Avevo la pelle d'oca al solo condividere con lui del tempo. «... E stronzo. Ti sei comportato come un vero stronzo, a dir la verità» aggiunsi, picchiettando l'indice sulla mia guancia destra per nascondere il rossore che stava avvampando sul mio volto. Se per una volta avevo l'opportunità di parlare apertamente con lui, non me la sarei lasciata sfuggire. Chris si abbandonò con le spalle contro il muro.

«E va bene! Ammetto di aver probabilmente esagerato, ma l'ho fatto per proteggerti, Delaney. Mi fido di te e di ciò che farai d'ora in poi. Avevi bisogno di qualcuno che contenesse i tuoi malumori e facesse da muro di gomma per l'irrequietezza che nutrivi. Non ho problemi a essere il ricettacolo della tua tristezza, a patto che tu vada avanti. E per farlo ho bisogno di sapere se saresti disposta a lasciar andare l'orgoglio per seguirmi?» Portò il busto in avanti così da scrutare meglio le mie mosse. Il suo tono di voce era modulato alla perfezione: deciso e sicuro. Non sembrava scherzare, né tantomeno prendersi gioco di me.

Aprii la bocca, ma non uscirono suoni. Ero in imbarazzo, qualsiasi cosa avessi fatto le sue pupille l'avrebbero intercettata. Solo quando un ciuffo biondo gli ricadde davanti agli occhi riuscii a parlare.

«Mi fido di te» asserii convinta. Tutto ciò che avevamo vissuto aveva fatto sì che il nostro rapporto fosse su un tutt'altro livello. Non si trattava più di ciò che credevamo, ma delle certezza che così sarebbe stato. Fin dal primo istante, fin dalla prima volta che mi aveva salvata.

***

«Non volevo interromperti» mi confidò scendendo le scale.

«Come?» domandai esterrefatta.

«In camera sembravi turbata e mi è venuto spontaneo aspettare in disparte. Non volevo essere invadente, ma avevi uno sguardo perso in chissà quali pensieri che non sono riuscito ad andare via, sembravi così affranta e... Triste. Volevo solo dirti che mi dispiace.»

«Oh...» fu tutto ciò che riuscii a pronunciare. Per un qualche motivo, la sua sfacciataggine non mi aveva scossa, anzi, lo ringraziai mentalmente per non aver voltato lo sguardo altrove.

Superammo il colonnato dell'ala ovest, ripercorrendo i vuoti che avevo più volte avuto occasione di perlustrare. Sapevo bene dove fossimo diretti e mi stupii nel constatare che fossero gli archivi.

«Siamo quasi arrivati.» Scrutai Chris con aria interrogativa. Sul volto era possibile leggere dello scetticismo.

«La sorpresa è all'interno!» Sembrò anticiparmi. Con maestria e disinvoltura fece da Cicerone introducendomi al patio, dove le magnifiche vetrate smerigliate riflettevano la luce del cosmo e delle fiaccole fluttuanti. Svoltammo immediatamente, tagliando la strada tra i pilastri di libri e il mappamondo ottocentesco, comparendo di fronte al portone in legno che Christopher stesso aveva provveduto a sigillare qualche giorno prima.

«È per caso uno scherzo? Credevo non fossi pronta per scoprire la verità al di là di quella porta!» Ero irrequieta: non capivo il motivo della riservatezza, né tanto meno il tempismo. Ero curiosa, ma allo stesso spaventata dallo scoprire la verità. Che ci fosse un altro mistero da svelare?

Chris fece segno di rimanere in silenzio. Tirò fuori dalla tasca una chiave arrugginita dello stesso colore del pomello. Si guardò attorno per essere sicuro che nessuno ci stesse osservando e, infine, la inserii nella toppa. Con un rumore secco la serratura scattò mostrandoci così un piccolo spiraglio oscuro.

Dopo aver fatto pressione, la porta si spalancò: in un primo istante non vidi nulla oltre il mio naso. Era buio. E nell'indecisione di quegli istanti Christopher avvolse una sua mano attorno alla mia vita, sospingendomi in avanti.

«Non aver paura, i tuoi occhi si abitueranno presto all'oscurità, seguimi» pronunciò. Quelle parole mi bastarono affinché mi convincessi. I miei piedi incespicarono nel granito macchiato dal tempo, convincendomi della presenza di una scalinata in muratura disposta circolarmente e che si sviluppava in altezza. Puntai le iridi verso l'alto, per ricercarne la fine, ma non riuscii a capire fin dove i gradini si susseguissero. Lasciammo che l'uscio si richiuse con un colpo sordo, attingendo verso l'ignoto, mentre con il braccio teso mi facevo guidare da Christopher.

Non potei far a meno di continuare a muovermi e, come anche lui mi aveva preannunciato, le mie pupille si assuefaranno al buio, facendomi percepire la figura longilinea che mi attirava a sé.

Mi arresi al suo modo di fare e al suo tocco sulla mia pelle. Se non mi fossi fidata di lui, non sarebbe stato possibile.

Giunti in cima a quella rampa di scale, Chris lasciò la presa impiegando qualche passo verso quel luogo inesplorato.

La mia mano rimase sospesa a mezz'aria per ben due motivi. Non solo mi sentivo privata del calore umano che mi aveva infuso il mio accompagnatore, ma davanti ai miei occhi si stagliava uno degli spettacoli più belli a cui avessi mai assistito. Nulla poté il mio corpo, se non contemplare l'immensità del cosmo in tutto il suo splendore.

A lambire la mia pelle coriacea vi era lo spazio adimensionale stesso. Nessuna vetrata mi separava dall'infinità astratta di antimateria. Dal centro cui mi trovavo credevo di essere nel punto più alto di tutta l'Accademia, su piano che non aveva alcuna denominazione.

Un fremito percorse il mio corpo nella sua interezza: dove mi voltassi tutto ciò che mi circondava era fatto di polvere di stelle. Avvertivo l'aria carica di energia e una pressione differente rispetto a quella più mite all'interno dello stabile.

E c'eravamo solo noi, sotto un cielo che segnava l'inizio dell'oblio.

La foschia riempieva quello spazio siderale, a chiazze, ricoprendo con il suo manto tutto ciò che fosse stato possibile osservare. La volta celeste era indefinibile nella sua immensità. Per quanto cercavo di dare un senso ciò che i miei occhi scrutavo, sapevo che sarebbe stato troppo distante dalla realtà.

Mi discostai di qualche passo avvicinandomi ai confini di tale cosmo. Un parapetto di mattoni grezzi e lastre di metallo evitava che ci potesse sporgere troppo. Per un attimo mi sembrava di essere tornata alla mia vecchia vita a osservare il cielo con il naso all'in su, come quando ero una bambina.

Trotterellai con un sorriso ebete sul volto, mentre Christopher mi si riavvicinava. Non era possibile che cotanta bellezza fosse nascosta al mondo. E proprio mentre l'entusiasmo si impossessava del mio corpo, notai come il biondino non avesse smesso di scrutarmi. Non c'era aria di malizia sul suo volto, semplicemente non voleva interrompere il mio momento, esattamente come aveva fatto poco prima.

Resami conto le gote mi andarono a fuoco, ma non abbassai lo sguardo. Piegai le labbra in un sorriso sapendo che non avrei dovuto avere paura del suo giudizio. Che cosa era quel posto?

Allungai una mano verso una delle tante nuvole di fumo, che si smaterializzò all'istante in tante piccole stelle scoppiettanti. Con mio sommo stupore al suo posto iniziarono a proiettarsi delle figure fatte di antimateria, molto primitive e sommarie. Nell'incredulità generale, per qualche istante, ciò che apparve davanti i miei occhi furono le mie dite intrecciate con quelle Christopher.

Scossi il capo spaventata, mentre quella rappresentazione svaniva nel nulla lasciando posto al vuoto oscuro della dimensione senza limiti.

Che stava accadendo?

Calibrai la mia attenzione verso Christopher, il quale non accennò a nessuna risposta, mentre compiaciuto studiava il mio disappunto. Tutto attorno a noi, nei punti del mio passaggio, altre proiezioni simili comparvero e tutte raffiguranti le nostre mani strette l'una nella morsa dell'altro.

Era forse un altro potere? Una magia?

Chris rise di me e della mia spensieratezza ritrovata. Mi sentivo in difficoltà, ma allo stesso tempo ero euforica dalle mille possibilità che mi si erano presentate sotto forma di polvere.

Facendo un passo in avanti e soffiando a un mio orecchio, arrivò la risposta a tutte le mie domande.

«Benvenuta sulla torre dei ricordi, Delaney.»

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