12. Cinquantanove ore e quarantatré minuti.

Terzo giorno

Chi c'era? Chi stava applaudendo?

Battei più volte le palpebre per poter mettere a fuoco chi mi avesse colta in flagrante. Nell'incredulità più totale notai Christopher a un paio di metri da me. Era sempre più vivido e tangibile.

«Cinquantanove ore e quarantatré minuti. Devo ammetterlo, sono stupito.» La voce cristallina del biondo giunse dritta alle mie orecchie. Indietreggiai per ogni passo che lui fece verso di me fino a toccare con la punta delle dita il legno del portoncino che avevo adocchiato precedentemente. Ingoiai la mia stessa saliva a causa della tensione.

«Che cosa significa?» chiesi con la voce strozzata. Ipotizzai fosse lì per punirmi: l'inviato del Consiglio che avrebbe dovuto far applicare le dure contromisure al mio comportamento.

Sorrise sornione, mentre lentamente traeva fuori dalla tasca anteriore della sua giacca un oggetto unico del suo genere. La piccola ampolla di vetro ruotava sul palmo della mano, mentre dei flussi colorati l'attraversavano al suo interno. Con flemma e ammirazione spalancai le palpebre. Che fosse una clessidra infinita o un cronometro senza lancette?

Christopher lo raccolse tra le dita afferrandolo dalle sue estremità, imprimendo forza affinché potessi udire un altro "click". A quel punto la magica ampolla perse di forma e colori, arrestandosi nel suo moto. Non c'era più sabbia a percorrerla e scuoterla. La ripose a sicuro.

«Cinquantanove ore e quarantatré minuti per decidere di fuggire e andare via di qui. Direi che è un record.» Mantenni uno sguardo severo. Chissà cosa mi avrebbe riservato quella conversazione. Non tentai neanche di giustificarmi.

«Cosa mi farai e come mi hai trovato?» domandai a raffica. Lui non sembrò sorprendersi della mia calma apparente, ma quanto più delle mie supposizioni.

«Non ho intenzione di farti nulla, voglio solo parlare. Sander mi ha riferito che sei scappata dalla vostra lezione.» Piegai la testa di lato sorpresa, il mio istruttore aveva parlato di me a lui?

«Lo conosci?» riproposi. Era lì perché glielo aveva imposto un superiore?

«È mio fratello. O meglio, è il primogenito di mio padre.» Spalancai gli occhi per la rivelazione. Improvvisamente sembrava avere tutto senso. I lineamenti del volto, gli occhi piccoli e saettanti erano gli stessi che accomunavano i due giovani. Persino i modi poco gentili e garbati erano identici. Per quel motivo, Sander, sembrava avere un'aria così famigliare.

Chris allungò una mano nella mia direzione per sorreggermi. Dovevo sembrare intimorita e sconcertata affinché avesse una tale cautela. «Siamo dalla stessa parte, non ti farò del male: voglio solo parlare.» Mi sorrise sincero.

Studiai la sua mano, tesa a mezz'aria, per poi pensare alla mia, a pochi centimetri dal pomello in oro. Se fossi stata abbastanza veloce sarei riuscita ad aprirla e a scappare via da lì. Non sapevo se credergli o meno.

Notando il mio tentennamento l'espressione di Chris si fece da subito sarcastica. Levò gli occhi al cielo incrociando le braccia al petto. «Forza, gira quella maniglia, ma rimarrai delusa dallo scoprire che la porta è sigillata» annunciò con tono scocciato come se avesse previsto ogni mia mossa e stesse aspettando che ritornassi alla ragione. Non ci pensai due volte prima di voltarmi e iniziare a roteare quella maniglia a vuoto. Era chiusa per davvero, accidenti.

Ritornai con l'attenzione verso di lui e, dopo aver fatto un cenno di assenso, lo seguii: ero in trappola, non avevo altra scelta che fidarmi. Ci sedemmo intorno a una scrivania la cui lampada fievole illuminava appena i nostri volti.

«Cosa è che non ti convince?» indagò dopo aver poggiato i piedi sul tavolo in legno. Io, d'altro canto, iniziai a fissare i volumi che ci circondavano e le capsule numerate.

«Come facevi a sapere tutto questo? Che sarei venuta qui oltre l'orario e che avrei provato ad aprire quella porta? Avevi detto che la vita di un viaggiatore non è predestinata. Mi hai mentito?» sputai acida. Odiavo le bugie.

Christopher rise di gusto. Si passò la lingua sul labbro inferiore prima di rispondere alle mie accuse. Si mise seduto composto utilizzando i gomiti come appoggio così da prostrarsi in avanti verso il mio volto in penombra. Il buio avvolgeva gran parte dei nostri corpi.

«Sei testarda, Delaney. Avevo scommesso che questa tua caratteristica ti avrebbe fatto desiderare di tornare a casa a tutti i costi. Sei anche molto intelligente, perciò ho ipotizzato che sapendo di non poter usare i tuoi poteri per scappare, avresti necessariamente utilizzato un altro metodo. E qual è l'unico posto che hai visitato che può contenere le risposte ai tuoi problemi e magari anche finestre grandi quanto palazzi?» mi domandò retoricamente.

«La biblioteca...» sussurrai.

«Esatto, la sala degli archivi, chi credi abbia lasciato libero l'accesso? Volevo vedere fin dove saresti arrivata. E quel portoncino, beh, immaginavo che avresti cercato altre vie di uscita. Diciamo che l'ho sigillato per precauzione.» Mi fece un occhiolino prima di rimbalzare indietro.

«Cosa c'è lì dentro?» puntai i miei occhi verdi nei suoi.

«Qualcosa per cui non sei pronta, non ancora almeno.» Mi voltai avvilita. Non poteva trattarmi con sufficienza ogni volta. Ero diventata così dannatamente prevedibile.

«Ehi, non ti abbattere. Sarà molto presto. Arriva per tutti. Devi solo credere in te stessa. Il tempo, in fondo, è l'unica cosa che veramente abbiamo qui.» Era un tentativo bislacco di consolazione? Ritornai a fissarlo per capire se ci credesse veramente, ma tentennai quando notai uno sguardo e un sorriso più dolce.

«Cosa ne puoi sapere tu, sei il caposquadra degli alpha, il tuo tempo deve essere stato alquanto breve» ipotizzai stizzita.

«Sono anche il tuo caposquadra, mi pare te lo abbia già detto Lake: noi tutti siamo un team e lavoriamo insieme. Non ti lasceremo e non ti lascerò sola. Quello che hai fatto giorni fa è stato qualcosa senza precedenti e confido nella tua riuscita. Non sarà oggi, non sarà domani, ma presto, te lo prometto, farai grandi cose. La tua testardaggine non è solo negativa.» Rimasi piacevolmente colpita dalle sue parole. Anche se, dentro di me, sapevo che non sarebbe stato poi così semplice.

«Ma tu non...» Chris mi interruppe prendendo parola e avvicinandosi ulteriormente. Arrossii di colpo.

«Per tua informazione... Io sono esattamente come te. Ho iniziato il primo anno di corso che non avevo la benché minima idea di come potessi utilizzare i miei poteri. Le persone che risiedono nella terza categoria sono diverse, spesso ci mettono anni a capire cosa sanno fare, perché sono fuori dal comune ordine dello spazio-tempo. Andiamo, secondo te come sono arrivato a capire che la mia specialità era accelerare le particelle attorno al mio corpo? Piangendo? Scappando? Ho passato tutto il mio primo anno a pensare di essere un fallimento, io, Christopher Hart Thompson, figlio di Lyza e Mark Thompson ero un completo fallimento.»

«... Come hai fatto?» sussurrai. Chris sorrise compiaciuto: si stava aprendo con me.

«Un giorno, un bulletto del terzo anno, iniziò a insultarmi e a dirmene di tutti i colori. Dentro di me covavo così tanta rabbia perché sapevo che avesse ragione: ero patetico, senza particolari caratteristiche, né abilità speciali. Mi ritrovai a terra dopo un paio di spinte. Era più grosso, più agile e più forte. Mi si buttò addosso iniziandomi a colpire. Ogni pugno era un punto in più alla mia rabbia e alla mia insoddisfazione. Quanto mi fece incazzare sapere di essere così debole. Tutto ciò che desideravo era poter ricambiare quel dolore inestinguibile, ma ero solo un bambino. Come potevo fargliela pagare? Così alla fine smisi di pensare e agii. Caricai il mio destro migliore colpendolo direttamente il suo naso. Volevo solo spaventarlo un po', ma invece in quell'esatto momento sentii la sua cartilagine frantumarsi a contatto con la mia carne: vidi il sangue colare a fiumi, mentre udii il gigafut tuonare per la prima volta. Fui la persona più felice dell'Accademia per qualche secondo, ero riuscito a farmi valere e anche a scoprire il mio potere. Non ero poi così inutile come credevo.» Chris si strofinò con una nocca il naso prima di sorridere imbarazzato. Era fiero di quel ricordo.

«Perché per qualche secondo?» mi intromisi divertita. Mi fissò interdetto. «Hai detto che sei rimasto felice solo per qualche secondo, perché?»

«Oh, perché ero fuori le sale d'addestramento: il bracciale è diventato tutto nero e mi ha bloccato i poteri per una settimana. Una specie di punizione per i viaggiatori. A pensarci bene forse dovrei ringraziare quel bulletto.» Risi per la constatazione insieme a lui.

Quindi era quello ciò che succedeva se s'infrangevano le regole.

«Cosa c'entra con me?» chiesi poi.

«Volevo solo farti capire che non devi avere fretta. Abbiamo letteralmente tutto il tempo del mondo per imparare. La strada che farai una volta che avrai appreso i tuoi poteri dipenderà solo da te. Guardami, lo hai detto tu stessa che sono il caposquadra del miglior team dell'Accademia, eppure sono partito da zero.» Mi fece un occhiolino prima di allontanarsi dal tavolo spingendosi all'indietro.

«Io vado, tu resta pure qui, ho settato il riconoscimento elettronico affinché risponda al tuo gigafut per farti entrare in biblioteca quante volte tu voglia. Non ringraziarmi.»

«Perché dovrei volerci tornare? Le finestre non si aprono, vuoi istigare la mia fuga?»

«Sei intelligente, Delaney, penso tu abbia capito che non si può scappare senza aver appreso le tecniche di base. Perciò, prima imparerai e prima sarei libera di decidere della tua vita. Parti dal principio, siamo in una biblioteca, magari fare ricerche ti aiuterà. Pensaci su, nel caso, sai dove trovarmi.» Annuii fissando gli enormi e austeri scaffali che avevo tutt'attorno. Lessi i titoli di vari volumi, magari potevano essermi utili nel capire come controllarmi.

Pensai alle ultime parole di Christopher. "Nel caso, sai dove trovarmi".

«Ma io...» urlai verso il corridoio. Avvertii il rumore della porta d'accesso che veniva richiusa «... Non so dove trovarti» sussurrai al buio che mi avvolgeva.

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