32. Purgatorio (REV 2022)

L'aula del Tribunale era gremita fino all'inverosimile: tutti volevano assistere al processo del mago che aveva ucciso il grande Albus Silente, volevano schernire l'orrido Mangiamorte, il viscido traditore, il crudele assassino tanto temuto, ma che era stato infine catturato e ridotto all'impotenza.

C'era anche chi lo conosceva, o aveva creduto di conoscere il rispettabile e severo professore di Pozioni, che alla fine si era invece rivelato il mostro che era sempre stato, ingannando per anni chi aveva avuto a che fare con lui; c'era perfino chi aveva lavorato a lungo al suo fianco, nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, e ancora non si capacitava, o forse non voleva credere, che avesse potuto raggirarli tutti in modo efferato, il preside Silente per primo. C'era chi lo aveva frequentato quando era solo un ragazzino, ingenuo e insicuro, gli occhi bassi e sfuggenti, e non riusciva a riconoscerlo nel feroce assassino, dallo sguardo cupamente nero, che le prime pagine dei giornali mostravano da giorni; infine, c'era anche chi non lo aveva mai visto, né aveva sentito parlare di lui finché non aveva commesso l'esecrato crimine, ma che adesso riconosceva in lui, con totale sicurezza, l'emblema del male.

Erano tutti lì, stipati stretti sugli spalti della grande aula sotterranea del Wizengamot, spalla contro spalla, nella fremente e borbottante attesa di vedere in faccia Severus Piton, Mangiamorte e Assassino.

Il Cancelliere batté il martelletto: la porta si aprì e un silenzio teso scese sull'aula circolare.

Una figura scura emerse lenta dall'ombra con incedere fiero, il mantello che gli ondeggiava alle spalle, i lunghi capelli corvini a incorniciare il volto pallido dall'espressione severa e altera, l'intenso sguardo nero fisso davanti a sé.

Avanzava libero, senza ferri o catene a imbrigliargli polsi e caviglie, scortato solo da un vecchio Auror zoppicante per nulla preoccupato del gravoso compito di controllo affidatogli.

Un mormorio allarmato si diffuse tra il pubblico: com'era possibile che un così pericoloso criminale fosse lasciato libero, senza seria sorveglianza, tra tanta gente per bene? Avrebbe potuto rubare con facilità una bacchetta a qualcuno e fare una strage: un assassino come lui non ci avrebbe pensato neppure un istante ad ammazzare decine di persone pur di fuggire, e non sarebbe stato certo il vecchio, dal vorticante occhio azzurro, che avrebbe potuto fermarlo e proteggere tutti loro, onesti e rispettabili maghi.

Gli spettatori seduti a margine del corridoio, preoccupati per la propria incolumità, si spostarono di lato sulle panche, ammassandosi ancor di più contro gli altri, mentre un borbottio ostile si diffondeva, paura e odio mischiati sul volto degli astanti e insulti sospesi nell'aria tesa.

Severus Piton procedeva con indifferente sicurezza, un impassibile pallore sul volto immobile e le labbra serrate in una sottile piega amara.

- Assassino!

- Maledetto vigliacco!

- Traditore!

Alcuni tra il pubblico gli sputarono addosso, altri levarono in alto i pugni chiedendo la giusta vendetta contro il criminale che procedeva in fiero silenzio verso la gabbia che lo attendeva al centro dell'aula.

- A morte!

- In pasto ai Dissennatori!

- Sì, il Bacio!

L'odio degli spettatori, misto alla paura, avvolgeva l'imputato in una marea montante, ma Severus Piton procedeva imperturbabile, gli occhi fissi sulla bella maga bionda che, in prima fila, lo osservava con angosciata preoccupazione.

Qualcuno sporse lesto un braccio verso di lui, mostrando delle fotografie: l'imputato abbassò per un istante lo sguardo sui giovani visi sorridenti che inviavano baci. Per la frazione d'un secondo rimase immobile, senza respirare, poi strinse ancora più le labbra e rialzò gli occhi, pozzi colmi di amare e rassegnate tenebre, a incrociare l'odio di un padre:

- Li hai uccisi, maledetto! Meriti solo di morire e spero che tu soffra più di loro!

Piton sospirò appena, la negazione nel cupo dolore che albergava negli occhi neri e la colpa incisa nell'estremo pallore del viso.

- Indietro! – ordinò Moody in un ringhio, levando minaccioso la bacchetta. - Prima di condannarlo occorre processarlo!

L'imputato scosse appena il capo, rassegnato, e continuò il tragitto. Nessuno colse l'indistinto sussurro che aleggiò appena sulle sue labbra:

- Mi dispiace... non ho potuto salvarli...

Giunse infine al centro dell'aula, dove lo attendeva una gabbia dalle sbarre sottili. Passando davanti a Crystal le rivolse un mesto sorriso che la maga ricambiò, gli occhi lucidi di lacrime impotenti, a fatica trattenute, per l'umiliazione che Severus aveva dovuto sopportare e che, ancora, avrebbe dovuto subire.

Moody lo fece entrare nella gabbia con rude gentilezza e, mentre batteva la bacchetta sulla serratura per bloccarla, scotendo la testa e indicando le sbarre borbottò:

- Meglio queste della sedia con le catene.

Piton fece un lieve cenno d'assenso sbattendo le palpebre e si avvicinò alle sbarre: Crystal era là, così vicina che, se entrambi avessero allungato il braccio, le loro dita avrebbero potuto sfiorarsi.

Il mago incrociò l'occhiata compiaciuta di Moody e stirò appena le labbra nell'accenno di uno sghembo sorriso di ringraziamento, quindi si diresse all'angolo della gabbia posto verso Crystal e strinse le fredde sbarre con le dita sottili, lo sguardo nero ardente volto verso la sua donna: l'azzurro del cielo degli occhi della maga era offuscato dalla pena di vederlo nell'umiliante condizione, esposto agli offensivi epiteti di chi non sapeva nulla e non poteva capire quanto il mago avesse invece fatto per tutti loro, fino al punto d'arrivare a sacrificare la propria vita.

Il mormorio del pubblico era salito d'intensità ed era facile distinguere crude parole d'accusa, pervase di disprezzo, dirette al primo Mangiamorte processato dopo la definitiva caduta di Voldemort.

Il Cancelliere batté più volte con il martello, richiedendo vanamente il silenzio, poi fu la voce stentorea di Moody a levarsi ringhiosa per sovrastare l'incollerito brontolio:

- Silenzio, per Merlino! – tuonò, - Non si può condannare a morte un uomo senza conoscere i fatti!

- E' un Mangiamorte!

- Ha assassinato Albus Silente!

- Merita solo di morire!

Il Cancelliere batté ancora il martelletto con rinnovato impeto, e con voce acuta minacciò:

- Faccio sgombrare l'aula se non torna l'ordine!

- Silenzio! – rincarò Moody, ottenendo solo un parziale successo.

Fu in quel momento che Severus Piton si avvicinò alle sbarre spostandosi verso il lato rivolto al giudice e alzò una mano facendo segno di voler parlare.

Il silenzio piombò greve sull'aula.

- Lasciateli gridare, che mi insultino e sfoghino il loro odio. – disse con voce ferma e chiara. – E' giusto così: tanti anni fa, quando non avevo neppure vent'anni, sono davvero stato un Mangiamorte, - aggiunse con cupa amarezza, - ho ucciso vittime innocenti e ho compiuto crimini tremendi e ora merito solo il loro disprezzo. Che sia fatta giustizia e che io paghi per le imperdonabili colpe commesse allora.

Per un istante, gli occhi neri del mago, enormi e profondi nel volto pallido e teso, incrociarono quelli di Crystal e lei vi lesse accorati pensieri fin troppo conosciuti.

Severus riteneva che i suoi delitti fossero irreparabili e nessun verdetto d'assoluzione, già ottenuto in passato e che ancora avrebbe potuto ricevere dallo stesso tribunale, avrebbe mai potuto convincerlo che, con tutto quanto fatto per la causa durante tanti anni, mettendo di continuo a repentaglio la propria vita, anche lui si era infine meritato il perdono per le colpe un tempo commesse.

Severus Piton scrollò il capo e cedette a un lungo e amaro sospiro, quindi strinse forte le sbarre della gabbia, lo sguardo cupo perso nelle oscure tenebre che ancora lo tormentavano, e continuò:

- Per questo sono colpevole, per ciò che commisi in quel passato lontano, e ogni mio rimorso o pentimento nulla vale, ora, a ripagare le vite che spezzai allora. – concluse il mago, gli occhi neri, ardenti di dignitoso dolore a brillare nel volto esangue e severo, le labbra sottili di nuovo strettamente serrate.

Un boato, miscuglio di odio feroce e ira impotente, si levò dagli spettatori mentre l'imputato manteneva lo sguardo fermo davanti a sé, di nuovo impassibile, pronto a pagare per colpe lontane già più volte espiate con l'atroce sofferenza del rimorso.

- Silenzio, silenzio! – urlò il Cancellare cercando di arginare la marea montante.

- A morte, subito!

- Ha confessato, maledetto!

- Assassino!

Nell putiferio che stava diventando incontrollabile e rischiava di mettere a repentaglio l'incolumità dell'accusato, il Giudice si alzò e puntò la bacchetta contro la propria gola:

- Sonorus! – disse pacato, la voce, amplificata dall'incantesimo, che con facilità sovrastava tutte le grida e gli insulti vaganti nell'aria. - Severus Piton non può essere condannato per crimini commessi venti anni fa, quando è stato un Mangiamorte, perché è già stato a suo tempo processato per quei reati da questo stesso Tribunale che lo assolse sulla base di precise dichiarazioni di Albus Silente da cui risultò che l'imputato, dopo aver ricusato in modo pieno e completo i malvagi ideali dei Mangiamorte, mise a repentaglio la propria vita svolgendo funzioni di spia a danno del cosiddetto Lord Voldemort e fornendo preziose informazioni alla nostra parte.

- Però adesso Silente è morto! – gridò una voce carica di astioso sarcasmo.

- E l'ha ammazzato proprio quello spietato assassino! – rincarò un'altra colma di disprezzo.

- Il vecchio l'aveva salvato e quel traditore l'ha ucciso a sangue freddo!

- Basta! – esclamò il Giudice, di nuovo sovrastando le urla degli spettatori. - O sarò costretto a togliervi la voce. – minacciò levando intimidatorio la bacchetta.

Le grida cessarono e, adagio, l'ordine tornò silenzioso nell'aula.

Severus Piton era in piedi, pallido e immobile, lo sguardo nero smarrito nelle insanguinate tenebre del Passato.

Cominciarono a sfilare i testimoni dell'accusa e più volte, mentre dal podio sopraelevato rilasciavano sommarie e inutilizzabili deposizioni su reati accaduti vent'anni prima, Giudice e Cancelliere dovettero intervenire per ristabilire l'ordine.

A ogni nuova accusa, al racconto di un altro crimine, alla testimonianza su un ulteriore delitto, dalla sottile linea delle labbra serrate strette di Severus Piton sfuggiva un gemito, dissimulato in un amaro sospiro, e le sue mani si stringevano un poco di più attorno alle sbarre, finché la presa delle dita sul freddo metallo si fece ferrea e gli occhi neri non furono che cupa e oscura tenebra.

Innumero fiume senz'acqua – solo gente e cose,

paurosamente senz'acqua!

Suonano tamburi lontani nel mio orecchio,

e non so se vedo il fiume, se odo i tamburi,

come se non potessi udire e vedere nello stesso tempo!

... Tutto confuso, tutto mescolato con corpi, con sangui,

tutto un solo fiume, una sola onda, un solo miserabile

orrore....

Sì, fui colpevole di tutto, fui il soldato-tutti-loro

che uccise, violò, bruciò, spezzò,

fui io e la mia vergogna e il mio rimorso con

un'ombra difforme

passeggiano per tutto il mondo come Asvero,[1]

ma dietro i miei passi risuonano passi della grandezza

dell'infinito.

E una paura fisica di incontrare Dio mi fa chiudere gli

occhi all'improvviso.

Cristo assurdo dell'espiazione di tutti i delitti e di tutte

le violenze,

la mia croce è dentro di me, aspra, scottante, tagliente,

e tutto fa male nella mia anima estesa come un Universo.

... Capitano, comandai di fucilare i contadini tremanti,

lasciai violare le figlie di tutti i padri legati ad alberi,

adesso ho visto che fu nel mio cuore che tutto questo

accadde,

e tutto scotta e soffoca e non mi posso muovere senza

che tutto questo sia lo stesso.

Dio abbia pietà di me che non ne ebbi per nessuno![2]

Crystal osservava affranta Severus e fu investita con forza dalla sofferenza provata dal mago sentendo ripetere ciò che di terribile aveva compiuto, o aveva lasciato che fosse perpetrato, in anni ormai lontani.

Severus considerava la propria vita un irrisorio prezzo rispetto a quelle che a causa sua erano state spezzate e che lui, in nessun modo, poteva più rendere ai congiunti che ne erano per sempre stati privati. Da quel tempo lontano, il mago aveva ritenuto d'aver perso ogni diritto a essere felice: aveva rinunciato a vivere richiudendosi nel suo sotterraneo e impiegando ogni risorsa per imparare a mentire a Voldemort, così da riuscire a servire al meglio la causa inseguendo una tardiva e vana redenzione.

La maga invocò piano, in un sussurro carico di dolore, il nome dell'uomo amato, gli occhi azzurri lucidi di pianto impotente a lenire le sue pene e tese il braccio verso di lui cercando di sfiorare le dita sottili che sembravano ormai fuse con il metallo.

Quanto desiderava poterlo stringere a sé e confortarlo, restituendogli la speranza che sembrava aver perduto!

Severus la guardò e, poco per volta, tornò a fatica a galla dal torbido pozzo del Passato nel quale era inesorabilmente sprofondato, spinto giù dai rimorsi, annegato fra imperdonabili colpe, il dolore inciso in ogni ruga che solcava il volto pallido.

Adagio allentò la presa sulle sbarre, poi spostò la mano e la tese incerta verso Crystal, le dita dapprima a sfiorarsi piano e poi a intrecciarsi strette, mentre gli sguardi restavano incatenati, giorno luminoso di lacrime e notte di profonda e sofferente tenebra.

*

Nel pomeriggio fu il turno dei testimoni della difesa che più volte furono chiamati sul podio a raccontare con precisione e dovizia di particolari i recenti fatti cui avevano direttamente assistito.

La prima fu Minerva McGranitt, il viso teso e la voce resa acuta dalla dolorosa tensione accumulata ascoltando le orribili deposizioni del mattino.

Prima di parlare rivolse un lungo sguardo, denso d'accorato affetto, al suo studente d'un tempo, e all'uomo di adesso, angosciato, di cui conosceva bene l'atroce dolore e l'intenso rimorso: i suoi grandi occhi neri erano pozzi d'incommensurabile disperazione, che nulla sembrava poter lenire.

L'anziana insegnante rivelò l'accaduto della notte del ritorno di Voldemort, tre anni prima, come Severus Piton era stato da lui torturato con ferocia e ridotto in fin di vita da un tremendo sortilegio, salvato solo dall'irremovibile ostinazione di Silente. Con voce commossa riferì come il mago, appena ritornato dal terribile incontro con l'Oscuro Signore, con straziante sforzo e la voce ridotta a un flebile sussurro che si faceva strada a fatica tra rantoli di dolore, mentre ancora soffriva per i supplizi subiti ed era debolissimo per il sangue perduto, avesse riferito con orgoglio le essenziali informazioni che avevano permesso al preside di riorganizzare in modo efficacie l'Ordine della Fenice.[3]

- Non ho mai conosciuto un uomo coraggioso come Severus Piton! – esclamò l'anziana maga, le iridi colme di lacrime.

Sulla platea degli ascoltatori, così rumorosi e indisciplinati il mattino, scese un silenzio incredulo, denso d'orrore, mentre sui volti si disegnavano in successione espressioni di paura, raccapriccio, stupore e ammirazione, rivelando quanto l'evento narrato con crude parole dall'anziana insegnante li avesse impressionati.

Minerva McGranitt spiegò come l'imputato avesse imparato a mentire a Voldemort grazie anche alle esercitazioni che per quattordici anni aveva con costanza effettuato con Silente stesso, preordinate proprio a fronteggiare il ritorno di Voldemort che entrambi si attendevano.

Nel silenzio sempre più scettico del pubblico, che riteneva impossibile mentire al più grande Legilimante del loro mondo, Minerva McGranitt riferì con precisione il modo in cui l'imputato le aveva dimostrato di saper raccontare, in modo assolutamente convincente, anche la più inverosimile delle menzogne: rievocò quando Severus Piton l'aveva invitata a leggere nei suoi pensieri l'assassinio di se stessa, narrò con vibrante emozione d'essersi vista giacere morta in un lago di sangue, lui che l'osservava con un ghigno orribile sul volto rigirandosi fra le mani, dalle quali ancora gocciolava il suo sangue, il coltello con cui l'aveva uccisa.

Esclamazioni di stupore ruppero a tratti il silenzio, lo sbigottimento dipinto su un volto, la meraviglia su un altro, la diffidenza su un altro ancora.

Crystal contemplava Severus con innamorato orgoglio mentre il mago manteneva un'espressione impenetrabile, gli occhi neri ardenti nel volto pallido.

Poi fu la volta di Remus Lupin che, con un sereno sorriso sul volto ancora stanco e provato dagli ultimi avvenimenti, raccontò di come l'imputato avesse sempre svolto il compito di spia a favore di Silente, rischiando la vita fin dalla tremenda notte in cui Voldemort era ritornato, e poi continuando a farlo anche dopo aver ucciso il preside.

Il mago confermò, con affermazioni sicure, simili a quelle usate da Minerva e basate sulla sua personale esperienza, che Severus Piton era davvero in grado di mentire a Voldemort: sapeva creare nella propria mente immagini del tutto credibili di avvenimenti che lui, Remus, sapeva con assoluta certezza non essere mai avvenuti.[4}  Spiegò che solo con lunghi anni di addestramento, con l'aiuto di Silente, l'imputato era riuscito a raggiungere lo strabiliante risultato, ma al caro prezzo di dover rinnegare la propria umanità per seppellirla sotto la sgradevole maschera di gelida impassibilità che gli permetteva di mantenere il pieno controllo dei propri pensieri ed emozioni, e ciò al solo fine di riuscire a ingannare Voldemort per continuare a svolgere in modo esemplare il suo ruolo di spia.

Remus Lupin si dimostrò certo di ciò che affermava perché Severus Piton glielo aveva dimostrato mentendo proprio sulla morte della donna che amava immensamente e che aveva infine sposato: Crystal Storm.

Remus cercò le brucianti iridi nere di Severus per sondare ancora una volta l'immenso amore del mago per la sua donna: sapeva con certezza che era disposto a tutto per lei.

I loro sguardi s'incontrarono per un lungo e intenso istante, quindi Remus Lupin sorrise gentile e riprese a parlare, con sempre più fervore.

Raccontò di come avesse letto un appassionato amore negli occhi dell'imputato, neri cristalli impenetrabili per chiunque, di quali struggenti emozioni albergassero nel cuore di un mago che tutti ritenevano invece gelido e indifferente e di quanto si sbagliasse chiunque, come anche lui stesso un tempo, lo reputava incapace di amare.

Remus era conscio che gli occhi di Severus erano carichi di minacciosi fulmini diretti contro di sé: sapeva di meritarlo: stava invadendo in modo intollerabile la sua riservata intimità.

Ma doveva farlo: era essenziale dimostrare alla Corte che Severus Piton non era un impassibile essere di ghiaccio, bensì un uomo dalla profonda, seppur celata umanità, che sapeva provare potenti emozioni, anche e soprattutto d'amore.

- Severus Piton, per quanto io non l'avessi mai creduto possibile, è un uomo che sa amare con incredibile intensità! – asserì Lupin con enfasi.

Ancora la sorpresa serpeggiò fra il pubblico, in sguardi sbalorditi scambiati fra amici, parenti e innamorati, poi convergenti sull'imputato che, con un appassionato e ardente sguardo nero, rimirava sua moglie che, con languida tenerezza, lo ricambiava tendendo ancora la mano verso le sbarre che, crudeli, li dividevano.

Le dita si sfiorarono appena in una delicata carezza, piena d'amore, e Severus Piton sospirò socchiudendo le palpebre; poi rimase immobile, il respiro come sospeso e le dita morbidamente intrecciate a quelle della sua Crystal.

Remus Lupin sorrise soddisfatto e riprese a parlare: enumerò le preziose informazioni carpite a Voldemort dall'imputato e trasmesse all'Ordine da sua moglie, grazie alle quali numerose persone, intere famiglie addirittura, si erano salvate sottraendosi in tempo agli attacchi dei Mangiamorte. Spiegò che Severus Piton aveva rischiato ogni giorno la propria esistenza, senza mai risparmiarsi, per cercare di ripagare tutte le vite che un tempo, anche a causa sua, erano state inesorabilmente spezzate.

Alastor Moody confermò le parole del precedente teste sostenendo la piena validità e veridicità delle informazioni che l'imputato, dopo la morte di Silente, aveva sempre fornito loro tramite sua moglie, quando ancora nessun altro era in contatto con lui e poi, ancor di più, ribadì il valore dei dettagliati rapporti spionistici quando Lupin e McGranitt avevano fatto da tramite, all'insaputa dello stesso Moody. Grazie alle informazioni ricevute l'Ordine, più di una volta, era riuscito a mettere in salvo maghi e Babbani minacciati dai Mangiamorte, sconfiggendo e catturando diversi di questi ultimi.

- Senza l'insostituibile aiuto di Severus Piton non avremmo mai sconfitto Voldemort! – affermò deciso.

La sicurezza di Alastor Moody e la sua piena autorevolezza, in fin dei conti era lui il capo dell'Ordine della Fenice dopo la morte del grande Albus Silente, fecero breccia negli ascoltatori.

Nonostante i tremendi crimini che Severus Piton aveva ammesso d'aver perpetrato nell'arco di un breve periodo in un passato ormai lontano, era inoppugnabile che negli ultimi anni l'imputato avesse più volte messo a repentaglio la propria vita per fornire importanti informazioni a Silente prima e a Moody poi, anche quando quest'ultimo non si fidava affatto di lui.

Tutti apparivano oltremodo interessati a scoprire cosa si nascondeva dietro il mago dall'aspetto dolente e cupo, che non aveva mai abbassato il capo un solo istante, neppure quando contro di lui erano state rivolte le accuse più infamanti e gli insulti più oltraggiosi, e i cui occhi neri, adesso, scintillavano a tratti e risplendevano di una luce particolare quando incontrava lo sguardo della moglie che, sempre, era con ansia puntato su di lui.

La maga allungava spesso il braccio a sfiorargli con dolcezza la mano che lui teneva sporta fuori dalle sbarre: luce e tenebre vorticavano fondendosi negli sguardi per lunghi e silenziosi momenti, delicati incontri d'amore pieni di passione trattenuta.

Poi, nuove parole fluivano dalle labbra dei testimoni a rompere l'incanto: il mago sospirava piano e socchiudeva un attimo gli occhi, quindi induriva lo sguardo, che tornava freddo e imperscrutabile.

E ritraeva la mano.

Fino al momento successivo in cui la maga, ancora, sussurrava a fior di labbra il suo nome e nuove fiamme avvampavano, per un istante incontrollate, negli occhi profondamente neri, e per un breve momento l'amore sovrastava il dolore riempiendo di luce la tenebra dello sguardo mentre lei gli sorrideva, dimentica del luogo in cui si trovavano.

Al banco dei testimoni, in quel momento, era stata chiamata Hermione Granger.

Piton sollevò lo sguardo a incontrare quello della studentessa, un poco intimorita d'essere al centro dell'attenzione di così tanta folla, ma ben decisa a rendere una testimonianza determinante del processo, tesa a dimostrare con logica inconfutabile che Severus Piton era stato l'elemento chiave della sconfitta di Voldemort.

Prima che la studentessa iniziasse a parlare, il mago la fissò a lungo, gli occhi ardenti e il respiro trattenuto, infine accennò appena a un sorriso di paterno incoraggiamento.

Hermione Granger prese un bel respiro e cominciò con voce esile e incerta.

- Il Professor Piton è stato l'elemento decisivo che ha permesso di individuare e distruggere gli Horcrux, rendendo possibile la morte di Voldemort.

Dopo un primo brusio serpeggiante, tra la folla calò l'irrequieto silenzio di chi all'improvviso comprende che qualcosa di essenziale gli è troppo a lungo sfuggito.

- Signorina Granger, vuole per favore spiegare alla Corte – chiese il giudice scandendo bene le parole, - cos'è un Horcrux?

Negli occhi nocciola di Hermione ci fu un improvviso guizzo, mentre l'interesse riguardo alla testimone cresceva spasmodico, alimentato dai mormorii densi d'orrore da parte dei pochi maghi che già sapevano cosa fosse un Horcrux.

Per la diligente studentessa la richiesta di spiegazioni era meglio di un invito a nozze: di colpo ogni accenno di timidezza l'abbandonò e, con voce sicura e chiara, snocciolò in rigoroso ordine logico tutte le informazioni necessarie a comprendere cos'era un Horcrux, come si creava, a cosa serviva e quali insormontabili difficoltà dovevano essere superate per distruggerlo. Infine concluse affermando:

- Voldemort lacerò più volte la propria anima creando ben sei Horcrux: il primo fu distrutto da Harry Potter nella Camera dei Segreti, cinque anni fa. Il secondo lo distrusse il preside Silente, due anni or sono, rischiando di morire. Fu salvato dal Professor Piton, ma riportò una terribile ferita alla mano, che sembrava avvizzita e bruciata: era una Maledizione Oscura che, con lenta ma inesorabile progressione, lo stava uccidendo e che il Professor Piton, con il suo provvidenziale intervento, riuscì a intrappolare temporaneamente nella mano del preside, rallentandone il decorso. Ma Silente era comunque condannato a morire nel giro di un anno!

La sorpresa aveva congelato ogni reazione del pubblico che, sempre più attonito, pendeva dalle labbra della ragazza.

Hermione narrò come il professo Piton li avesse aiutati a individuare i vari Horcrux: il medaglione di Serpeverde, la coppa di Tassorosso e il libro di Corvonero. In particolare, si dilungò sul racconto della tremenda notte in cui, insieme a lui, si era recata nel Nemeton di Ylith Fhaad e il mago, ancora una volta rischiando con coraggio la propria vita, aveva affrontato e debellato le insidiose difese dell'Horcrux permettendo in seguito a Harry Potter di distruggerlo senza correre mortali pericoli.

Infine, fu chiamato al banco dei testimoni proprio il Ragazzo Sopravvissuto, l'Eroe che aveva salvato il mondo magico. L'aula fu percorsa da sonore ed eccitate acclamazioni di giubilo.

Harry sembrava a disagio, infastidito dalla fama che lo attorniava, solo in parte meritata. Il mago che, in realtà, avrebbe meritato gli applausi, era invece relegato in una gabbia e aveva più volte subito gli oltraggi degli astanti.

Desolato, Harry scrollò i riccioli ribelli, sempre ostinatamente spettinati, chiedendosi come avrebbe potuto far comprendere che il vero eroe, colui che in realtà aveva salvato il loro mondo sottraendolo agli oscuri artigli di Voldemort, era il pallido e orgoglioso mago per il quale il mattino avevano tutti a gran voce invocato una spietata morte.

Per un istante gli occhi verdi di Harry s'immersero nelle nere profondità delle iridi del professore che tanto a lungo aveva odiato, ma sul quale, alla fine, anche grazie all'intelligente aiuto di Hermione, aveva scoperto la verità: Severus Piton era sempre stato dalla sua parte, per anni aveva rischiato ogni giorno la vita per proteggerlo e permettergli di sconfiggere Voldemort.

L'imputato lo guardava, gli occhi neri scintillanti e alteri, le labbra orgogliosamente serrate: Harry sapeva che Piton non avrebbe mai detto nulla a proprio difesa.

Doveva essere lui a parlare, a raccontare la verità. A lui, al Prescelto, all'indiscusso Eroe, tutti avrebbero creduto.

Solo Harry Potter poteva riabilitare l'onore dell'odiata figura di Severus Piton, l'esecrato assassino del grande Albus Silente.

E l'anima di Severus Piton, che il mago aveva volontariamente lacerato per obbedire agli ordini di Albus Silente, sarebbe stata salva.

Harry resse con fermezza lo sguardo, duro e profondo, del professore che aveva a lungo odiato: adesso era pronto.

- Il Professor Piton ha distrutto l'ultimo Horcrux di Voldemort, il temibile serpente Nagini, sapendo con certezza che il suo eroico gesto lo avrebbe condotto alla morte! – esclamò Harry senza preamboli, con voce squillante. – Lo ha fatto davanti a Voldemort, dopo avergli sputato in faccia la sua orgogliosa verità, rivelandogli che, da sempre, la sua lealtà era stata rivolta esclusivamente a favore di Albus Silente!

Harry non poté fare a meno di volgere lo sguardo verso il professore: non avevano mai avuto occasione di parlarsi, dopo quella notte in cui ognuno dei due si era con coraggio sacrificato per l'altro.

Avrebbe potuto parlargli, mentre era rinchiuso ad Azkaban, proprio come aveva fatto Hermione, ma erano accadute troppe cose in pochi giorni e non aveva avuto il tempo, e forse nemmeno la forza, di affrontare l'uomo cui doveva la vita, e per il quale, incredibilmente, si era trovato a mettere in gioco la propria.

Il professor Piton continuava a guardarlo fisso, gli occhi tremendamente neri nel volto pallido, scintillanti come fiere stelle in una oscura notte senza fondo.

- Conosco le mortali difese che un Horcrux mette in atto e lui era troppo vicino per sfuggirgli, così ho cercato di aiutarlo con il più potente Protego che riuscii a evocare. – spiegò Harry con la stessa tensione che quella notte lo aveva assalito. – Ma, così facendo, come uno stupido ho scoperto il fianco all'attacco di Voldemort!

Ancora, Harry fissò il professore e si sentì come sempre trafitto dallo sguardo penetrante: quella notte aveva commesso un irreparabile errore. Eppure, nonostante tutto, era ancora vivo.

Perché Piton, ancora una volta, aveva rinunciato a proteggere se stesso per difendere lui. Ricordava fin troppo bene l'espressione d'ira delineata per un fuggevole istante sul volto pallido dell'insegnante, poi l'improvviso e fulmineo cambio di atteggiamento e la letale determinazione con la quale aveva modificato la mira del proprio sortilegio, non più per proteggere se stesso, bensì per impedire a Voldemort di uccidere il ragazzo che una profezia aveva eletto a salvatore del loro mondo.

- Il Professor Piton se n'è subito accorto e, invece di proteggere se stesso dal mortale attacco dell'Horcrux, ha eroicamente diretto il suo potente sortilegio contro l'Avada Kedavra che Voldemort stava lanciando contro di me!

- Non esistono sortilegi conosciuti che possono annullare l'Avada Kedavra! - obiettò il Giudice.

Nel silenzio teso caduto sull'aula, Hermione Granger si alzò in piedi e, con voce risoluta, spiegò:

- Il Professor Piton ha solo cercato di deviare e rallentare l'Avada Kedavra diretto contro Harry: poco tempo prima mi aveva spiegato la tua tesi, che quella notte si rivelò esatta: il frammento d'anima che risiedeva in Voldemort era stato distrutto al tempo in cui cercò di uccidere Harry, quando era solo un bambino.

Hermione riprese fiato nel greve silenzio dell'aula, lanciò una fuggevole occhiata al professore che aveva imparato a stimare a fondo, di cui colse l'orgoglioso lampo nello sguardo, e continuò:

- Mentre il Professor Piton rinunciava a difendersi dall'Horcrux, permettendo che le micidiali difese dello stesso lo colpissero, Nagini esplodeva portando con sé la contemporanea distruzione dell'ultimo brandello d'anima che teneva in vita Voldemort. In quello stesso istante sono svaniti anche i letali effetti del suo Avada Kedavra contro Harry che, per questo, è rimasto illeso!

- Ma Severus Piton non è stato ucciso dalle difese dell'Horcrux! – confutò ancora il Giudice.

Fu la volta di Minerva McGranitt di alzarsi nell'allibito silenzio dell'affollata aula e dichiarare, con voce chiara:

- Severus Piton è stato colpito in pieno dal maleficio difensivo di Nagini ed è stato sbalzato lontano, fino ai primi alberi della Foresta Proibita.

La maga per un istante incontrò lo sguardo di Crystal e vi lesse l'angoscia del tremendo ricordo:

- Sembrava morto. – sussurrò piano Minerva, - mentre sua moglie lo abbracciava piangendo disperata. Poi è arrivata Fanny, la fenice di Albus Silente, che ha pianto per lui le sue miracolose lacrime, restituendolo alla vita.

Seguì un lungo silenzio, che parve non finire mai.

Infine, Minerva McGranitt, gli occhi fissi nelle scintillanti iridi nere di Severus Piton, completò la testimonianza:

- La Fenice piange solo di sua spontanea volontà e Fanny, il famiglio di Albus Silente, ha pianto per l'uomo che voi tutti, con tremendo errore, credete sia stato il suo assassino!

*

La prima, infinita, interminabile e tremenda giornata di processo si era conclusa e il numeroso pubblico era sfollato adagio in un chiacchiericcio intenso e colmo di sbalordite esclamazioni, i visi curiosi rivolti verso il misterioso mago cui dovevano la libertà dall'oscuro e pericoloso potere di Voldemort.

Un assassino, forse.

Oppure un misconosciuto eroe.

Una volta rimasti soli nell'aula, il mago sempre rinchiuso nella gabbia, Crystal aveva allungato ancora la mano a sfiorargli le dita con tenero amore ed erano rimasti a lungo a guardarsi, muti, con Alastor in rigido imbarazzato al loro fianco.

Infine, il vecchio Auror si era deciso ad aprire la recinzione e la maga era volata tra le braccia di Severus, cuore contro cuore, le labbra appassionate sulle sue, le guance rigate dalle lacrime per tutto il giorno trattenute perché sapeva che era ciò che il mago si aspettava da lei.

Un lungo bacio, infuocato, e un sospiro ardente a soffiare sulle amare lacrime:

- Ti amo, Crystal!

*

Severus era di nuovo solo nella cella, l'oscurità intorno a lui, ma nelle iridi nere brillavano fiamme d'amore e di speranza che neppure i Dissennatori avrebbero mai potuto sottrargli.

Sospirò piano, le mani a coprirgli il viso, cercando ancora una volta il profumo di Crystal fra le dita.

All'improvviso la porta si aprì e il mago si alzò di scatto mormorando:

- Crystal!

L'esile figura entrò nella cella, incerta, avvolta da un elegante mantello grigio perla, i corti capelli biondi illuminati dai lampi che, come sempre, straziavano il buio opaco del cielo sopra la tetra fortezza di Azkaban.

- Draco. - sussurrò con affetto aprendo le braccia.

Il ragazzo si lasciò avvolgere dal rude abbraccio che per la prima volta aveva conosciuto in una notte di orrore, un anno prima, quando il mago aveva sacrificato la propria anima per salvare la sua.

- Cosa ci fai qui, – gli domandò aspro, scostandolo da sé, - in questo luogo orrendo? Dov'è Narcissa?

Il sorriso di Draco era triste e rassegnato sul volto pallido dai nobili lineamenti:

- Mamma è rimasta fuori. E venuta qua fin troppe volte, due anni fa... e anch'io conosco molto bene questo luogo agghiacciante. – rispose con un lieve tremito. – Ma da lei i Dissennatori non vengono, vero Professore?

Piton gli strinse con forza una spalla:

- No, niente Dissennatori per me: sono un prigioniero "raccomandato". – sussurrò, pensando che Lucius, nonostante tutta la sua ricchezza, non aveva avuto la sua stessa fortuna e per un anno aveva dovuto cercare di sopravvivere tra gli avidi succhiatori di felicità.

Draco assentì, sollevato:

- Sì, la signorina Storm... ehm, sua moglie, lo aveva detto a mamma. Ma volevo esserne sicuro. – rispose stringendosi nel mantello.

- Cosa sei venuto a fare? – chiese ancora il mago.

- Domani dovrò testimoniare...

Piton annuì.

- A suo favore, ovvio.

Il mago sorrise appena: non gli era difficile immaginare l'argomento della testimonianza del ragazzo e sapeva quanta pena Draco avrebbe provato ricordando i fatti di quella notte tremenda.

E il lancinante dolore da cui lui stesso sarebbe stato trafitto, messo a nudo davanti alla folla bramosa di carpire la sua intimità, il suo profondo affetto per Albus dato in pasto a tutti e presto trascritto con impietose lettere cubitali sulle prime pagine dei giornali.

Chiuse gli occhi e strinse i denti.

Avrebbe sopportato anche quello.

In fondo, non era nulla rispetto agli atroci brindisi cui era stato costretto da Voldemort in quella notte di lacerante sofferenza, di nuovo precipitato nell'orrore di un Inferno che aveva creduto senza fondo e senza possibilità di ritorno.

Invece era lì, nella raccapricciante Azkaban che, in confronto, era un benevolo Purgatorio, un breve tragitto ancora da percorrere per raggiungere il Paradiso dello sguardo di Crystal.

Riaprì gli occhi, ardenti di nera speranza.

Sì, ce l'avrebbe fatta.

E anche Draco avrebbe superato la difficile prova.

- Sei un ragazzo in gamba. – mormorò a fatica, imponendosi di continuare.

Com'era difficile dirlo.

Eppure doveva farlo. Lucius si era sacrificato per salvargli la vita e al ragazzo era rimasto solo lui.

Nessun altro avrebbe più potuto dirglielo, non come un padre, orgoglioso del proprio figlio.

– Sai che ti voglio bene, Draco, come a un figlio. - sussurrò piano guardandolo negli occhi lucidi di lacrime trattenute.

- Mi è rimasto solo lei! – esclamò il ragazzo soffocando i singulti sul petto del mago che, di nuovo, lo accolse stringendolo forte in un paterno abbraccio.

Draco aveva diritto a sapere com'era morto suo padre e solo lui poteva raccontarglielo: nemmeno Remus e Crystal, che pure erano vicini, avevano visto e compreso a pieno il sacrificio di Lucius.

Né potevano aver udito l'ultima parola che, in un sussurro accorato, l'invocazione del padre per il nome del figlio, Lucius aveva pronunciato mentre s'immolava, al suo posto, al fatale raggio dell'Avada Kedavra.

Con delicatezza lo sciolse dall'abbraccio e di nuovo lo fissò negli occhi, pallido argento colmo di composta pena.

- Tuo padre, Draco...

- E' morto tra i Mangiamorte. – lo interruppe, sconsolato. – Come sempre ha vissuto.

Severus scosse il capo, mesto:

- No, non è così, non è questa la verità. – sospirò.

Il ragazzo spalancò gli occhi, confuso:

- Ma tutti dicono...

Il mago scosse ancora la testa, con sicurezza:

- Tuo padre mi è sempre stato amico e ha sacrificato la sua vita per salvarmi. – affermò fiero davanti allo stupore del giovane. – Si è frapposto di sua volontà tra me e l'Avada Kedavra lanciato da quella pazza di tua zia Bellatrix!

Draco lo guardò, la bocca appena dischiusa, immobile, senza respirare.

- Tuo padre è morto con dignità e coraggio.

Una lacrima scese, lenta, sul volto immobile di Draco e il mago fu certo che fosse la prima pianta per la morte del padre.

Ora che poteva farlo, ora che la sua memoria era di nuovo sacra per lui.

Severus si morse piano un labbro.

Non gli avrebbe detto che Lucius era morto con il suo nome sulle labbra, che si era sacrificato per ricambiare l'amico che, un anno prima, aveva protetto il figlio salvando la sua anima dalla terribile lacerazione dell'omicidio, che lui e Lucius conoscevano fin troppo bene e che un padre mai avrebbe voluto per suo figlio.

No, non glielo avrebbe detto, non quella sera.

Ma sarebbe giunto il momento anche per quella dolorosa rivelazione e Draco avrebbe saputo affrontarla.

Ormai era un uomo: lo era diventato in quella notte tremenda, un anno prima, alla verde luce di un Avada Kedavra scagliato solo per amore.



[1] Sette secoli or sono fece la sua apparizione nella letteratura un singolare personaggio: Asvero, l'Ebreo errante. Le versioni dell'immaginaria vicenda cambiano secondo i tempi e i luoghi, ma nella trama originaria della storia Asvero è un calzolaio ebreo che ha bottega sulle pendici del Gòlgota. Il tema dell'Ebreo errante riappare spesso nella letteratura tra il XIII e il XIV secolo, in racconti e poemi spagnoli, francesi, inglesi e italiani, sotto vari nomi. Dopo Goethe e Schiller, i poeti romantici tedeschi e inglesi ne faranno il simbolo di un certo desiderio di morte.

[2] Fernando Pessoa, tratto da "Ode marziale".

[3] Si veda il precedente capitolo 16 "Non sono un codardo".

[4] Vedi il precedente capitolo 14 "Fiducia".

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