28. Anima in fiamme (REV 2022)

Proseguirono spediti per alcuni minuti, i raggi luminosi degli incantesimi a illuminare la via e il professore a tener stretta a sé la studentessa, il braccio ad avvolgere deciso l'esile vita.

Arrivarono al cuore del bosco, là dove la frondosa quercia sacra un tempo ombreggiava l'altare più importante, la cui piatta e spessa pietra istoriata giaceva a terra, spezzata di netto in tre tronconi.

Della possente pianta era rimasta solo una parte del tronco, nodoso e contorto, e pochi, grossi rami bassi. Il resto era caduto, tagliato di netto, il raggio di un sortilegio a imitare il fulmine, travolgendo altri alberi vicini nel rovinoso crollo.

A poco più di un metro da terra, sopra le grandi radici intricate, vi era una profonda cavità colma di densa nebbia nera.

Un ultimo fascio di luce eruppe dalla bacchetta del mago, le labbra sottili sempre serrate, e dissolse rapido la bruma scura permettendo di vedere all'interno.

- Lumos! – esclamò pronta Hermione puntando la bacchetta sul tronco.

Si curvarono entrambi verso la cavità e davanti ai loro occhi apparve l'antico e vagheggiato libro della saggia Priscilla Corvonero, arcana reliquia del sapere magico di tempi perduti.

L'amante,

del mondo e dei misteri,

di oggi e di ieri,

sono io, che distante

dal richiamo passato

seguo ragione e intelletto;

seguo l'istinto primordiale,

come un animale,

e brancolo nel buio

giro e m'aggiro

tra tenebre di conoscenza

e dubbi d'ambivalenza.

Combatto in quest'oscura danza

gli immaginari spettri,

metafora dei miei difetti,

per trovar nei libri

le risposte alle mie domande,

sempre in me parte costante.[1]

Con una stretta al cuore, Piton pensò che tutte quelle immense conoscenze sarebbero state inesorabilmente perdute quando Potter avrebbe annientato l'Horcrux. Avrebbe voluto poter sfogliare almeno per una volta le fragili pergamene, imprimerle nella memoria e farle per sempre sue.

Allungò la mano, esitante.

No, non era possibile: non c'era tempo e, soprattutto, dentro le preziose pagine viveva il frammento di un'anima dannata che aveva contaminato con la sua malvagità il sapere di cui solo Voldemort aveva potuto nutrirsi, scoprendone gli inestimabili segreti.

Doveva rinunciare all'arcana sapienza magica, come un tempo, invece, non aveva resistito alla tentazione del potere che le Arti Oscure gli offrivano, bruciando la propria innocenza.

Adagio e con grande sforzo di volontà ritrasse la mano.

Guardò Hermione: anche lei aveva avuto pensieri simili e la sua mano era ancora protesa verso il libro che l'attraeva irresistibile, sempre più pericolosamente vicina.

Allungò di nuovo il braccio e coprì piano con la sua la piccola mano, avvolgendola in una stretta delicata ma decisa, facendogliela ritrarre.

Si fissarono negli occhi, le profonde e meste iridi nere a incontrare le eccitate, giovani iridi nocciola:

- No... non possiamo permettere che quelle conoscenze vadano perdute! – gridò angosciata, cercando di sottrarsi alla stretta del mago che si fece ferrea.

Piton la prese per le spalle e la scrollò rude:

- No, è inutile! – esclamò con cupa fermezza. – La malvagità dell'Oscuro Signore le ha avvelenate: possono solo portare il Male.

La ragazza cercò ancora di ribellarsi.

- Hermione, no! – la implorò, l'angoscia incisa sull'esangue pallore del viso. - Non lasciarti irretire dall'Oscurità, ti prego!

La strinse a sé con forza disperata, contro il petto ferito, incurante del dolore, cercando di sottrarla a un destino che conosceva troppo bene per lasciare che la giovane vi si smarrisse alla ricerca di conoscenze che mai potevano ripagarla dell'innocenza che avrebbe perduto.

Nessuno, più di lui, conosceva il tremendo prezzo dell'Oscura conoscenza.

Non le avrebbe permesso di sbagliare: a qualsiasi costo glielo avrebbe impedito.

La strinse ancora più forte, come fosse sua figlia e il destino dipendesse solo dal baluardo del suo affetto:

- No, Hermione, no! - sussurrò, una lacrima a tracimare dalla profonda notte delle sue iridi. - Ti prego, piccola... no.

La sentì singhiozzare e allentò la stretta, accarezzandole piano la massa di capelli crespi. Infine le prese il viso tra le mani e, con la stessa dolcezza protettiva di un padre, le asciugò delicato le lacrime, incurante di quella che rigava la sua guancia.

La ragazza lo guardò sbalordita: non solo il professor Piton sapeva sorridere ma, in quella notte piena di terrore, aveva scoperto che sapeva anche piangere.

E stava piangendo per lei!

Non seppe trattenere la mano e le sue dita, tremanti, gli sfiorarono piano la guancia raccogliendo l'incredibile lacrima, dono inestimabile che mai avrebbe creduto possibile.

- Grazie... - sussurrò confusa, abbandonandosi sul suo petto e lasciando che tornasse a stringerla rispettoso tra le braccia.

Aveva compreso, tutto: il timore del mago per lei, i dolorosi ricordi di sbagli passati e tutta la determinazione a non lasciare che anche lei compisse gli stessi errori. E, soprattutto, ne aveva compreso l'affetto, inatteso eppure fortissimo, al punto che la lacrima aveva superato ogni barriera di controllo.

Il gelido, impassibile e sgradevole professor Piton sapeva volere bene perfino a una Grifondoro!

Si rilassò e ricambiò l'abbraccio, dapprima timida, temendone la reazione, poi, incoraggiata dalla silenziosa acquiescenza, lo strinse di più mormorando ancora:

- Grazie... grazie!

Era sicura che, in quel preciso momento, i profondi occhi neri del professore sfavillassero nella notte più delle stelle che brillavano oltre la malvagia oscurità del bosco stregato.

Il mago non solo aveva avuto la forza di controllarsi, ma era anche intervenuto con pronta efficacia in suo aiuto, impedendole di toccare il libro che, solo ora se ne rendeva conto, era stato intossicato dalla presenza dell'anima di Voldemort.

Eppure, solo pochi minuti prima, quando era stato assalito dai fantasmi del passato, aveva visto il professore restare immobile, inerme sotto le spietate sferzate degli alberi: era impallidito, la più cupa disperazione negli occhi e l'anima in fiamme, impietosamente arsa nell'atroce rogo del rimorso.

Hermione si rese conto che non era più solo stima che provava: l'ammirazione per il professore si era mutata in affetto ed era certa che anche per lui fosse lo stesso.

Sollevò il viso per incontrarne lo sguardo, cercando di nuovo la sicurezza che le profonde iridi nere sapevano infonderle, ma vi colse solo uno scintillio allarmato.

- Giù! – gridò Piton spingendola rude a terra e buttandosi sopra per proteggerla con il proprio corpo.

Dalla quercia cava uscirono sibilanti raggi luminosi che fendettero l'aria crepitando come scariche d'elettricità, diffondendo un acre odore di bruciato.

Piton si sollevò cauto sostenendosi sulle braccia, liberando la ragazza dalla scomoda posizione, quindi alzò il viso verso il tronco; Hermione lo vide spalancare gli occhi, neri d'orrore, mentre il volto perdeva ogni colore e con voce spezzata mormorava:

- No! Ellys, no... io non volevo... [2]

Lacrime disperate rigarono ancora le guance scarne del mago mentre il viso si trasformava in una maschera di dolore:

- Ho provato... ho cercato di proteggerti... non sono arrivato in tempo, - gemette, - mia piccola Ellys... non sono riuscito a salvarti.

Lo vide serrare gli occhi e urlare:

- No! No! Non un'altra volta... no!

Era in ginocchio, le braccia abbandonate lungo il corpo, i pugni spasmodicamente stretti. Tremava.

- E' stata colpa mia... Ellys - sussurrò con un filo di voce, gli occhi pieni di una tristezza infinita, - solo colpa mia... e non potrò mai chiederti perdono!

Hermione si avvicinò e gli posò la mano sulla spalla, ma negli occhi sbarrati colse un nuovo orrore, anche se davanti a loro vi era solo il tronco della vecchia quercia. Si chiese quanti altri tremendi incubi il mago avrebbe dovuto affrontare in quell'ultima prova.

- Meryl... ho dovuto, ho dovuto farlo, [3] - annaspò, - non ho avuto scelta... Meryl!

Piton si era alzato di scatto in piedi tendendo le mani tremanti verso l'albero, dalla cui cavità continuavano a erompere i crepitanti lampi degli incantesimi che, pericolosamente, lo sfiorarono.

- Stia giù! – lo strattonò Hermione con forza obbligandolo a tornare in ginocchio. – La colpiranno!

Il professore la guardò affranto, ma era un'altra la donna che i suoi occhi allucinati vedevano:

- Non volevo... Meryl, - gemette ancora tendendo implorante le braccia verso di lei, - ma è come se ti avessi ucciso con le mie mani!

Hermione cercò di sottrarsi ma, scorgendo il viso sconvolto del mago, rigato dalle lacrime, si fermò e si costrinse a mormorare:

- Ti perdono, Severus!

Udendo la voce della studentessa, Piton sembrò tornare in sé, ma negli occhi neri ardeva ancora una scintilla di follia:

- Tu non sai, - gridò, - tu non puoi perdonarmi!

Quindi si accasciò a terra accusandosi spietato:

- Loro sono morte per colpa mia... ed io non merito alcun perdono.

Hermione allungò la mano ad accarezzare quella del mago che rimase rigidamente immobile:

- Ma lei ha detto che non voleva...

Piton scosse il capo, mesto:

- Non fa alcuna differenza, Hermione, - sussurrò amaro, - non per me, almeno! – Quindi le strinse piano la mano e aggiunse - Ma grazie per le tue parole.

Nuovi incantesimi eruttarono violenti dal cavo della quercia falcidiando le piante circostanti: l'Horcrux cercava di debellare i suoi nemici. Alcuni principi di incendio si svilupparono tra gli ammassi di rami contorti.

- Aguamenti!

L'incantesimo era stato pronunciato all'unisono e due getti d'acqua sprizzarono dalle bacchette.

- Sei una ragazza in gamba. – constatò spostando il getto della sua su un altro focolaio. – Ma ora è tempo di debellare le difese dell'Oscuro Signore!

Evocò uno scudo protettivo e alzandosi da terra si diresse verso la sacra quercia, i raggi dei sortilegi che s'infrangevano, spezzandosi, sulla barriera invisibile che lo difendeva.

Puntò la bacchetta sul prezioso libro dell'antico sapere, ormai maledetto, ma un bagliore emerse dalla cavità prima che il mago pronunciasse l'incantesimo: fu Hermione che urlò, quando la figura di donna apparve all'improvviso. Questa volta anche lei la vedeva, perché sapeva chi era.

La mamma di Harry!

Lily sorrideva triste e la sua voce risuonò dolce nel bosco:

- Perché, Severus? Eravamo amici, tu ed io: perché mi hai tradito?

Piton socchiuse le palpebre e trasse un doloroso sospiro.

Quando li riaprì, gli occhi verdi di Lily lo fissavano con odio.

- Tu mi hai ucciso, Severus, sei stato tu, con le tue mani!

Piton strinse i denti:

- Non potevo saperlo, Lily. Non ti avrei mai fatto del male, lo sai. – la implorò. – Eri stata la mia migliore amica!

- Ti sei solo vendicato di James, vigliacco!

- No, non è vero! – gridò Piton, lo strazio palpabile nella voce.

- Sei solo un maledetto assassino!

Il mago abbassò il capo e si morse crudele le labbra: Lily aveva ragione.

- No, lui non sapeva, non voleva!

La voce acuta di Hermione si erse a difesa del professore.

Il fantasma di Lily la osservò per un attimo, maligno, quindi si dissolse in una sottile voluta di fumo bianco.

Come un serpente,

un dubbio strisciante

s'avvinghia e stringe,

mentre rivedo te, in un istante,

in ogni mio pensiero

tramuti un brivido in fiamme.

Ma in quest'oscuro sentiero

so che la tua anima è indenne

Addormentata nella strada d'un sogno.

Affronto il mondo

affronto il male

fiamma antica e letale

nei miei occhi ardendo

canterà forse un giorno la fine

di questo passato ostile. [4]

Il mago sospirò rassegnato e di nuovo puntò la bacchetta contro l'Horcrux: un'altra figura femminile apparve, lunghi riccioli biondi e luminosi occhi di cielo.

- La signorina Storm! – esclamò Hermione.

- Crystal! – sussurrò dolcissimo Piton, l'amore negli occhi e nella voce.

La sorpresa sul viso della ragazza si tramutò in infinito stupore: l'espressione del mago era inequivocabile, nessuna maschera, mai, avrebbe potuto nascondere la verità. Gli occhi splendevano nella notte, nere fiamme ardenti d'imperituro amore.

All'improvviso Hermione ricordò mille piccoli indizi e comprese ogni cosa. Negli ultimi mesi, dopo l'assassinio di Silente, la signorina Storm lo aveva sempre difeso, ostinata: come aveva potuto non scorgere l'amore di cui le sue parole erano pervase?

Il fantasma di Crystal sorrise al mago con amore:

- Dimmi che mi ami, Severus!

Piton rabbrividì e sospirò piano:

- Lo sai quanto ti amo! – sussurrò con intensità

- Più di chiunque altro? – chiese ancora.

Il mago annuì stancamente: aveva intuito cosa lo aspettava, quale sarebbe stata l'ultima, terribile prova da affrontare per debellare le difese dell'Horcrux.

- Quindi non mi farai mai del male, vero Severus?

Piton socchiuse le palpebre per un istante e sospirò di nuovo.

La sua mano tremò mentre sollevava la bacchetta e la puntava sul libro, difeso solo dal fantasma della donna amata, sempre più evanescente quanto più la sua strenua volontà cercava di escluderla dalle percezioni.

- Severus, cosa vuoi fare? – chiese Crystal all'improvviso terrorizzata.

Il mago strinse forte la bacchetta e gliela puntò sul cuore, dietro la cui trasparenza s'intuiva l'oscura luminosità dell'Horcrux che vibrava irrequieto nel cavo della grande quercia.

- Vuoi uccidermi! Assassino! – gridò Crystal e per un lungo momento la sua consistenza tornò a farsi corporea agli occhi angosciati dell'uomo che la amava.

Era un fantasma, solo un'ombra oscura. Non era la sua adorata Crystal. A lei non avrebbe mai fato del male.

Ma lui era davvero un assassino.

E la bacchetta di un assassino non trema.

L'incantesimo esplose potente con un grande schianto: il tronco prese fuoco tutto d'un colpo e le fiamme si levarono alte a illuminare di sangue la notte.

Crystal urlò di dolore e si contorse nel rogo mortale.

- Noo! – urlò Hermione slanciandosi verso di lei.

Piton l'afferrò per la vita e la strinse forte a sé, premendole il viso contro il proprio petto affinché non vedesse l'orrido spettacolo di Crystal, urlante, che si dibatteva impotente tra le fiamme.

- Severus... Severus... assassino! – urlò ancora mentre il viso si liquefaceva in una macabra maschera d'oscurità.

Il mago chiuse strette le palpebre mentre i denti scricchiolarono, tanta era la forza con cui li aveva serrati. Le sue mani, accorte, tapparono le orecchie di Hermione mentre le grida di Crystal gli squarciavano il cuore.

All'improvviso tutto finì e un'oscurità silenziosa piombò sugli esseri umani che avevano vinto gli spettri delle paure.

Quando riaprì gli occhi, allentando il soffocante abbraccio con il quale aveva protetto Hermione, la quercia sacra era solo annerita di fumo.

La ragazza tremava ancora tra le sue braccia: la notte era stata davvero difficile per lei.

Le accarezzò piano il viso, pulendolo delicato dalle lacrime mischiate a terra e fuliggine.

Sapeva che sul proprio volto c'era lo stesso doloroso impasto.

Sospirò a fondo cercando di trovare la forza per sorriderle rassicurante:

- E' finita, Hermione: le difese dell'Horcrux sono vinte.

La ragazza lo guardò, gli occhi nocciola spalancati, ancora sconvolta.

- Senza di te non ce l'avrei mai fatta. – ammise il mago. – Grazie di tutto.

- Io... io... ooh... mi dispiace che abbia dovuto passare tutto questo! – esclamò abbracciandolo. – E' stato terribile quello che le hanno fatto!

Piton sospirò amaro scuotendo piano il capo:

- E' stato terribile ciò che io, tanto tempo fa, ho fatto. – mormorò. – Per Harry non sarà difficile come per me. – spiegò, cercando di sviare il discorso.

Hermione gli sorrise e ancora una volta rimase affascinata dalla luminosa oscurità delle sue iridi, nei cui profondi abissi aveva imparato a leggere tante cose, quella notte, anche l'amore che il mago provava per Crystal.

Piton sorrise piano, senza riuscire a nascondere la preoccupazione:

- Nessuno deve sapere del nostro amore. – sussurrò imbarazzato. – L'Oscuro Signore non deve scoprirlo: saremmo entrambi in pericolo.

- Ma la signorina Storm dov'è? – chiese senza riuscire a trattenersi. – E' scomparsa da un pezzo!

- Crystal è in un posto sicuro. – rispose con orgoglio. – Mi occupo io di lei, – aggiunse con infinita dolcezza, - e non permetterò mai che le accada qualcosa di male!

La ragazza all'improvviso si accorse che la cappa di oscurità che avvolgeva il Nemeton era scomparsa e le stelle brillavano di nuovo nel velluto nero del cielo, ma la loro luce era nulla rispetto allo sfolgorante splendore che ardeva negli occhi innamorati del mago.

- Crystal è una donna molto fortunata, - sussurrò sorridendogli mentre lui la fissava interrogativo, - ad avere conquistato l'amore di un uomo come lei!

Piton s'irrigidì scostandosi imbarazzato dalla giovane donna che, troppe volte e troppo a lungo, quella notte aveva tenuto tra le braccia per tranquillizzarla.

Hermione sorrise ancora e non seppe più trattenersi:

- Ho scoperto molte cose di lei, questa notte, professor Piton: so che mi vuole bene, anche se sono un'insopportabile sotutto Grifondoro, e lei non lo ammetterà mai; ho conosciuto la sua protettiva dolcezza e il suo rispettoso e delicato abbraccio che mi ha confortato ogni volta che ne ho avuto bisogno, anche a prezzo del suo sangue per quella ferita che più volte si è dolorosamente riaperta a causa mia. – disse accennando al sangue che in larghe chiazze macchiava la camicia sporca e stropicciata. – Ho visto la sofferenza disperata e angosciata del rimorso distorcerle i lineamenti, ho percepito il tormento della sua anima lacerata e ho visto lacrime preziose solcarle le guance sciogliendo il ghiaccio della maschera che ha sempre celato ogni sua emozione. – mormorò sfiorandogli appena il viso là dove le lacrime si erano aperte la strada tra graffi, terriccio e nerofumo. – Ma ho ammirato anche il suo sorriso, dolcissimo e rassicurante, che ha saputo darmi forza ogni volta che stavo per cedere, e, infine, ho contemplato la luce dell'amore che illumina la profonda oscurità dei suoi occhi trasformandoli in sfolgorati cristalli neri. – concluse in un sospiro soffocato.

Il mago la osservava, un silenzioso accenno di sorriso adagiato sulle labbra sottili, il calore della tenera carezza ancora a scaldargli la guancia.

- Ma non racconterò a nessuno le mie scoperte, glielo prometto! – esclamò, timorosa della reazione del professore al suo inarrestabile flusso di parole.

- Soprattutto, non dovrai mai raccontare a nessuno che il severo e gelido Capocasa di Serpeverde, - sussurrò, il sorriso ad allargarsi sul viso stremato, - ha saputo meritarsi la stima e l'affetto di una petulante Grifondoro chiacchierona!

Hermione sorrise, mossa dall'istintivo desiderio di abbracciarlo ancora, trattenuta dal timore che il professore, passato il momento del reale bisogno, non volesse più abbandonarsi a gesti che avrebbero rivelato la sua profonda umanità.

Fece un passo, poi si fermò, incerta.

Piton dapprima rimase immobile, esitante, infine diede in un rassegnato sospiro:

- Avanti, piccola, vieni qua! – sussurrò a fior di labbra aprendo le braccia. – Ormai con te ho perso ogni reputazione di odioso insegnante costruita con cura in numerosi anni: non ho più nulla da nasconderti, - sorrise infine apertamente, - neppure che mi sono affezionato a una maledetta Grifondoro!

In un istante Hermione fu tra le sue braccia e il mago la strinse a sé, padre orgoglioso della figlia scivolata, non si sa come, nella Casa sbagliata. Del resto, la sua migliore amica, in un tempo ormai così lontano da appartenere a un'altra vita, era finita a Grifondoro.

Infine si scostò e si avvicinò guardingo alla quercia: tutto sembrava tranquillo. Passò adagio la bacchetta sul tronco, percorrendo attento il bordo e poi sondando l'interno, concentrato: non rilevò più alcuna traccia di magia.

Illuminò il libro che aveva perduto ogni intrinseca luminescenza e giaceva senza difese nel profondo della cavità: con la bacchetta stretta in pugno, infilò l'altra mano per prenderlo.

Ci fu un fulmineo guizzo nero, seguito da un urlo di dolore e dal lampo di un incantesimo.

Piton ritrasse di scatto la mano sinistra sul cui dorso, tra indice e pollice, risaltavano due buchini da cui stillavano piccole gocce di sangue.

- Maledizione! – sibilò.

Mosse la bacchetta all'interno della cavità ed estrasse la causa della ferita: un serpentello nero, sottile, lungo circa mezzo metro. Ucciso dal suo incantesimo, ma troppo tardi, quando ormai lo aveva morso.

- Un Aspide Melanico. – valutò con freddezza al primo colpo d'occhio.

- Una vipera? - chiese Hermione spaventata.

Piton annuì osservando meglio l'anomalo esemplare che penzolava inerte dalla bacchetta.

- La Vipera della Morte! – disse in un soffio preoccupato. – E' una pericolosa varietà di Acanthophis Antarcticus: inietta un veleno mortale che colpisce il sistema nervoso e conduce alla morte in poco più di un'ora.

Gettò a terra il letale serpente, ultima subdola difesa posta da Voldemort a protezione del proprio frammento d'anima, e puntò la bacchetta sulla mano sinistra: ne fluì una sottile fune che si avvolse stretta intorno al polso bloccando la circolazione.

Hermione lo guardava, la bocca spalancata in un urlo muto, le mani a stringerle il viso.

- Chiudi quella bocca e datti da fare, signorina Granger! – sibilò gelido. – Tra pochi minuti perderò la sensibilità della mano sinistra, che diventerà inutile.

Hermione deglutì a fatica: il professor Piton di un tempo era di nuovo davanti a lei, in tutta la sua sgradevole essenza.

- Cosa devo fare?

La fulminò con una delle solite occhiate, poi con sicura eleganza mosse la bacchetta nell'aria: i tre spezzoni della pietra dell'altare si radunarono ai suoi piedi formando un rozzo focolare, mentre corti rami secchi riempirono lo spazio triangolare e si accesero in un piccolo falò protetto.

- Devi distillare l'antidoto prima che io muoia tra atroci sofferenze. – rispose secco.

Messa così brutalmente sotto pressione, Hermione non aveva la più pallida idea da dove cominciare.

- Il calderone...

Lo sguardo di Piton metteva i brividi:

- Se desideri, puoi fare un rilassante giro di shopping a Diagon Alley, così potrai scegliere il modello migliore. – sibilò beffardo. – Io resterò qui ad attenderti cercando tra le mie pozioni qualcosa di utile per prolungare la mia agonia.

- Ma...

- Trova qualcosa di adatto da trasfigurare. – ordinò acido. – Considerando i tuoi ottimi voti, e il mio apprezzamento per la severità di Minerva, dovresti farcela senza particolare sforzo! – la punzecchiò sollevando maligno un sopracciglio.

Hermione si morse indispettita le labbra: il suo modo di fare complimenti era odioso.

Mentre lo osservava, la ragazza notò che la mano del mago tremava mentre rovistava tra le fialette nascoste nel mantello: non c'era tempo da perdere se voleva salvargli la vita.

Si guardò rapida in giro: gli avrebbe dimostrato di essere all'altezza dei bei voti di Trasfigurazione. E anche di quelli di Pozioni.

Un piccolo ceppo contorto, già cavo all'interno, era perfetto per essere trasfigurato e in pochi istanti un ammaccato calderone di peltro volò a scaldarsi sul fuoco.

Piton ne valutò con attenzione la dimensione socchiudendo appena gli occhi:

- Due dita d'acqua. – disse secco. – E so che conosci l'incantesimo necessario. – aggiunse ironico, il sopracciglio sempre beffardamente sollevato.

Hermione sbuffò squadrandolo di sottecchi:

- Aguamenti!

Possibile che il professore si stesse comportando in modo antipatico solo per distrarla dalla drammatica situazione in cui si trovavano?

- Tienila! – le ordinò porgendole la testa della vipera.

Hermione esitò: i serpenti le facevano ribrezzo.

- Sai cosa devi fare, ora? – chiese severo.

– Occorre individuare le caratteristiche del veleno, anche grazie al Rivelaincanto di Scarpin. – recitò. - Quindi, seguendo le indicazioni della Prima e della Seconda Legge di Galpalott, si procede a distillare l'antidoto più appropriato. – concluse sicura.

Piton annuì freddamente paziente, come se non fosse nel suo corpo che circolava il veleno mortale:

- Sì, so che conosci alla perfezione ciò che è scritto nei libri. – costatò pungente. – Ma io voglio sapere cosa bisogna fare adesso. – precisò calcando sull'ultima parola e facendole dondolare la testa del serpente davanti al naso.

- Si deve estrarre un campione di veleno dalle ghiandole poste nella bocca del serpente. – rispose la ragazza con evidente disgusto.

- E credi che possa farlo io, da solo, con una mano ormai inutilizzabile? – chiese con irritante ironia.

Il sopracciglio si era di nuovo sollevato, seccato, ma fu il lampo di delusione che gli incupì le iridi a addolorare Hermione. Scosse il capo allungando la mano per afferrare il serpente: aveva pensato che volesse umiliarla, come a scuola. Ma non era così: il mago aveva davvero bisogno di aiuto e con il suo sciocco comportamento lo aveva solo costretto a chiederglielo.

- Tienigli la bocca ben aperta. – ordinò. – Gli ficco io le dita dentro per estrarre la ghiandola, se a te ripugna così tanto. – sorrise quasi divertito, osservando la smorfia di ribrezzo sul viso della studentessa. – Ma solo perché non sono più il tuo professore di Pozioni.

Hermione arrossì violentemente e ubbidì chinando il capo:

- Ma come diavolo fa a essere così tranquillo, sapendo che potrebbe morire tra meno di un'ora?

- Io non morirò, Hermione, perché tu distillerai l'antidoto alla perfezione e mi salverai la vita. - sorrise ancora il mago, rassicurante, il braccio sinistro ormai abbandonato inerte lungo il corpo e le dita dell'altra mano infilate nella bocca del serpente.

- Non ho mai distillato un antidoto in condizioni così...

- Io non assegno un "Eccezionale" se non c'è un ben preciso motivo. – la interruppe aspro.

Hermione arrossì ancora.

- E sono certo che tu meriti quel voto. – affermò porgendole la ghiandola estratta. – Ma devi fare in fretta, perché il veleno sta cominciando a fare effetto.

La ragazza si rese conto che la fronte del professore era imperlata di sudore e il lieve tremito si era esteso dalla mano fino al braccio e al busto, facendosi più consistente.

Mentre Hermione esaminava il veleno accertandosi che Voldemort non avesse lanciato qualche maleficio sulla vipera, modificandolo, Piton si accasciò piano a terra e continuò a cercare tra le fialette riposte nel mantello, tentando di controllare il tremito delle dita. Scelse due fiale e gliele porse: la mano tremò e il cristallo tintinnò pericolosamente.

- Credo che ti serviranno entrambe. – disse a fatica, stringendo i denti.

Era evidente che soffriva.

Hermione lavorò con alacrità e la massima attenzione possibile: quell'antidoto doveva essere il suo capolavoro e, soprattutto, doveva salvargli la vita. Quando aveva dei dubbi, alzava lo sguardo verso il professore che sembrava prevederli e le forniva chiare ed esaurienti risposte prima ancora che ponesse le domande. Ma ogni volta la sua voce era più flebile e stentata e il dolore dilagava sul viso pallidissimo benché dalle sue labbra, serrate strette, non uscisse neppure il più piccolo lamento.

Ma il nero delle iridi, che non la abbandonava un solo istante, controllando con attenzione il suo operato e anticipando la soluzione di ogni problema, era colmo di lancinante sofferenza.

I minuti trascorrevano veloci, mentre il tremito si estendeva dolorosamente a tutto il corpo del professore.

Alfine l'antidoto fu pronto e Hermione glielo porse.

- Aiu... ta... mi... - sillabò a fatica, cercando di sollevarsi da terra.

Hermione si rese conto con orrore che il Professore era paralizzato fino al busto: riusciva a stento a controllare solo dalle spalle in su. Ancora pochi minuti e sarebbe morto soffocato, tra atroci sofferenze.

S'inginocchiò e lo aiutò a sollevare il capo appoggiandogli la fialetta tra le labbra sottili che lui, con tenace sforzo, dischiuse.

Sorbì il prezioso antidoto, il respiro ansimante che a fatica gli sollevava appena il petto.

Il sapore della pozione doveva essere ributtante e le labbra del mago si piegarono in una smorfia di disgusto.

- Ha un sapore così orribile? - chiese, sentendosi in colpa.

Il mago si sforzò ancora di sorridere, ottenendo un pessimo risultato:

- E' il gusto che deve avere... l'antidoto puro, quando non si hanno... a disposizione ingredienti per... migliorarlo. – la rassicurò con voce spezzata. – Ma vale la pena berlo... lo stesso, se ti salva... la vita. – terminò senza fiato.

Hermione rimase immobile, sostenendogli il capo in grembo e fissando disperata la contorta maschera di agonia che era il suo viso.

Solo gli occhi brillavano, incredibilmente neri di luce.

Poco per volta, i lineamenti del professore si distesero e sul volto rimase solo un estremo pallore: dopo tutto ciò che gli era accaduto, doveva essere a pezzi. Si sforzò di sollevarsi, mettendo di nuovo alla prova i muscoli appena ritrovati.

- Grazie! – disse in un soffio leggero. – A quanto pare, la tua testardaggine nel volermi seguire, - s'interruppe per un istante, il respiro ancora difficoltoso, - si è rivelata essenziale per la mia salvezza.

Hermione abbozzò un sorriso: sentirsi ringraziare, proprio da lui che aveva fatto così tanto per lei, era bellissimo. La commozione le tolse ogni capacità di rispondere.

Piton volle subito rimettersi in piedi e dovette aiutarlo: il corpo del mago era ancora percorso da un profondo tremito dall'aria piuttosto dolorosa, ma lui sembrava non farci caso.

Si diresse a fatica, ma determinato, verso la cavità della quercia e vi puntò la bacchetta con risoluzione: un lampo esplose dalla punta, con un breve scoppio, e l'albero fu avvolto da un'intensa luce seguita da diversi crepitii.

- Ecco, ora né magie oscure, né serpenti o altro possono far danno! - sibilò feroce, il respiro ancora affannato.

Erano infine usciti dal bosco stregato.

Piton aveva in parte ostruito il cammino sul sentiero, ormai già aperto e liberato da ogni vero pericolo, lungo il quale Potter avrebbe guidato gli amici alla ricerca dell'Horcrux. La spiegazione concordata con Hermione, per l'anormale facilità dell'impresa, era che qualcuno, prima di loro, doveva aver già cercato di raggiungere la quercia sacra, ma senza successo: un mucchietto di cenere composto ai piedi dell'Horcrux ne testimoniava macabro il fallimento.

Hermione si girò a osservare il Nemeton, ormai privo dell'impenetrabile barriera di rovi, quindi si rivolse al professore, sorniona:

- Ma non gli sta rendendo le cose troppo semplici? – chiese ridacchiando.

- In effetti, tenuto conto che si tratta di Potter, - il mago sollevò ammiccante un sopracciglio e puntò la bacchetta da cui eruppe una serie di lampi di luce che si diresse a raggiera verso gli alberi, - un po' di edera urticante non è una brutta idea!

Quindi Piton sorrise e tese la mano alla studentessa, uno scintillio di soddisfazione a illuminargli gli occhi neri nel viso pallido e stremato:

- Ma tu promettimi di stare ben al riparo alle sue spalle!

Hermione ricambiò il sorriso e gli strinse la mano lasciandosi avvolgere ancora in un rispettoso abbraccio:

- Ora ti riporto a Hogwarts.

Hermione annuì: sapeva che era sfinito, ma sapeva anche che avrebbe fatto il suo dovere.

Fino in fondo.



[1] Prima parte della poesia "Letale" scritta appositamente da Ale85LeoSign per questo capitolo.

[2] Vedi "Luci e ombre del Cristallo", cap. 10 – Sogni infranti. Ellys era la ragazzina di cui si era innamorato il giovane Severus prima di decidere di diventare Mangiamorte.

[3] Vedi "Luci e ombre del Cristallo", cap. 10 – Sogni infranti. Meryl è un sogno che il giovane Severus non ha avuto il coraggio di sognare ma che, come gli altri, si è infranto a causa sua.

[4] Seconda parte della poesia "Letale" scritta appositamente da Ale85LeoSign per questo capitolo.

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