26. Incontri notturni (REV 2022)
Il medaglione bruciava sul suo cuore.
Era la terza volta: Crystal doveva aver qualcosa di molto importante da comunicargli.
Lo strinse forte nella mano, attraverso la stoffa: in quel momento non poteva neppure risponderle, ma sapeva che lei avrebbe atteso, senza mai stancarsi, senza mai perdere la speranza.
Erano passate diverse ore e la notte era scesa col suo manto nero che tutto ricopre e sfuma.
Aveva infine potuto rispondere e andare da lei: sapeva che doveva essere una cosa essenziale, altrimenti Crystal non avrebbe mai corso il rischio di contattarlo.
La maga, infatti, dopo aver trascorso giorni immersa nella lettura dei libri che le aveva lasciato, aveva ritrovato le tracce dell'antico libro di Corvonero che stavano con insistenza cercando.
Adesso era lì, in alto, sulla soglia della casa, la gonna bianca dell'abito gonfiata dal tiepido vento notturno, in mano la pergamena con le informazioni da recapitare a Hermione per compiere l'ultimo e risolutivo passo della fondamentale ricerca.
Rimase immobile ad ammirarla, sogno d'estate che illuminava la sua fredda notte infinita.
E' così dolce! A pena ci si scorge tra noi:
il nero voi vedete di un mantello, di voi
io non vedo che il bianco di una gonna di estate:
io sono un'ombra, voi una luce. Restate.
Non sapete quest'ora che sia per me![1]
Essere di nuovo lì, vicino a lei, eppure così immensamente lontano, era l'estasi e la più dura condanna insieme: poteva guardarla, ed era pura felicità per gli occhi, ma non poteva stringerla a sé, ed era atroce tortura per il suo corpo.
Il suo tempo era contato e ingannare Voldemort diventava sempre più difficile: non poteva permettersi errori: la vita di Crystal dipendeva solo da lui.
Avrebbe voluto che il tempo si fermasse mentre i loro sguardi s'incrociavano, avrebbe voluto baciare la bocca che, muta, mormorava il suo nome in un singhiozzo spezzato, avrebbe voluto stringerla forte a sé e amarla con tutta la passione che disperata avvampava.
Avrebbe voluto avere un passato diverso, e ora la felicità non gli sarebbe stata negata.
Represse un sospiro e si sollevò in volo verso l'ingresso di quella che avrebbe dovuto essere la loro casa, ma in cui non aveva mai potuto vivere e dove aveva invece relegato, come in una prigione, la donna amata.
Atterrò a due passi dalla maga e ancora si concesse un istante per rimirarla in silenzio: com'era bella!
Era pallida e gli occhi brillavano, luminosi e resi vividi dalle lacrime: doveva aver pianto a lungo, preoccupata dall'interminabile attesa intercorsa tra il momento in cui lo aveva chiamato e quando era riuscito a risponderle.
Era confinata lì, nello scrigno trasparente, senza sapere cosa accadeva all'uomo che amava e senza poter fare nulla: una tortura incredibile per una donna come lei. Eppure, si era adeguata alla situazione senza ribellarsi, capendo che, in quel frangente, non esisteva altra valida soluzione.
A separarci un mondo,
ma attraverserei l'inferno
anche solo per guardarti,
e farò le imprese dei giganti
pur di vederti ancora mia,
libera come un dolce canto di primavera
nel quale cercare te
e trovare me stesso. [2]
Crystal era rimasta immobile per tutto il tempo, la vaporosa gonna bianca mossa dal vento e la pergamena strenuamente stretta fra le dita.
Severus avanzò adagio e allungò il braccio: la mano della maga tremò quando sfiorò il rotolo.
Trattenne il fiato: se Crystal avesse solo steso appena il braccio, le loro dita si sarebbero sfiorate e non sarebbe più stato padrone di se stesso.
Anche la mano del mago tremò, quando delicata sfilò il foglio dalle dita che, solo, avrebbe voluto stringere tra le sue per portarle alle labbra e baciarle con tutta la passione del suo amore.
Ma Voldemort era sul chi vive e il tempo a fatica strappato era già terminato.
Sospirò appena, premendo piano tra i denti il labbro inferiore e imponendosi di allontanarsi:
- Ti amo, Crystal, e ti desidero: infinitamente! – sussurrò librandosi ancora in volo, il mantello come una grande ala nera a sostenerlo nel vuoto, il cuore stretto in una morsa crudele.
*
Infine aveva trovato tempo per restare con Crystal: sempre troppo poco, per soddisfare il loro grande desiderio, ma almeno poteva stringerla tra le braccia e baciarla con infinita passione.
Cancellare con cura le tracce magiche delle smaterializzazioni in cui spezzava il percorso, sia per raggiungerla e poi per lasciarla, rubava tempo prezioso, che avrebbe volentieri impiegato restando con Crystal, ma era certo che Voldemort lo tenesse sempre sotto controllo e doveva riuscire a ingannare alla perfezione i suoi sorveglianti.
Inoltre, dopo essere da lei era costretto a farsi la solita lunga doccia: l'unico modo che gli permetteva, seppure con profonda sofferenza, di eliminare l'amato profumo dalla pelle in modo definitivo e che, con la magia, non poteva essere vanificato o scoperto.
Anche questo gli portava via molto tempo, così, di un paio d'ore rubate al controllo del suo padrone, gli rimaneva solo una manciata di minuti, insufficienti a soddisfare il loro desiderio di stare insieme.
Ma adesso era lì, Crystal fra le braccia, e per alcuni deliziosi momenti poteva dimenticare ogni altra cosa: voleva inebriarsi del profumo che avrebbe poi dovuto crudelmente strapparsi dalla pelle, voleva accarezzarla e baciarla, voleva stringerla a sé e impazzire di desiderio.
Doveva impedire che la magia gli sfuggisse di mano e facesse svanire gli abiti, altrimenti qualsiasi tentativo di controllo sarebbe stato a priori impossibile.
Si morse forte le labbra scostandosi un poco: era così bello anche solo guardarla!
- Severus, ti prego! – lo implorò cercando di trattenerlo tra le braccia. – Ti voglio!
Il mago sospirò scuotendo il capo:
- Mi dispiace, amore mio, - sussurrò, la voce resa roca dal desiderio, - non c'è tempo.
- Bastano pochi minuti...
- No! – si ribellò. – Io voglio amarti con tutto me stesso e pochi minuti ti lascerebbero solo insoddisfatta, - rispose in un ardente sospiro trattenuto, - e non basterebbero per placare il mio desiderio!
- Ma...
Severus la zittì con un altro bacio, intenso e bruciante, dolce e dolorosamente appassionato.
- Ti amo! – sussurrò rimirandola con intensità dopo aver ripreso fiato.
Crystal si perse nei suoi occhi, sconfinati abissi d'oscurità in cui il desiderio bruciava incontrollato, crudelmente imprigionato in una dimensione di sogno, al momento irraggiungibile.
Gli occhi della maga si riempirono di amare lacrime di sconforto e il cielo dei suoi occhi s'incupì.
Severus le carezzò il viso con tremante delicatezza:
- No, amore mio, non lasciarti abbattere, - sussurrò dolce, - non abbandonare i tuoi sogni, continua a combattere per loro!
- Sono inutile...
- Non è vero: hai ritrovato la traccia dell'Horcrux e presto Hermione mi fornirà l'ultima, preziosa ed essenziale informazione per trovarlo e distruggerlo. – disse sorridendole incoraggiante. – La vittoria è vicina, ne sono certo!
- Ed io, nel frattempo, cosa posso fare io, sempre chiusa qui dentro? – domandò sconsolata.
- Sorridere... e regalarmi la forza incrollabile della tua speranza!
Crystal si morse le labbra: dopo il tempo trascorso imprigionata nello scrigno di cristallo creato per lei dall'amore di Severus, la sua speranza cominciava a vacillare. Sapeva di non dover cedere, che il mago aveva disperatamente bisogno anche di lei, eppure, una lacrima di sconforto tracimò dalla barriera delle ciglia e scese a rigarle la gota, seguita dallo sguardo preoccupato del mago, che, con languida tenerezza, la fece svanire al delicato tocco delle dita.
- Ho bisogno del tuo sorriso, Crystal, della luce che solo il tuo amore mi sa dare. – sussurrò intenso. – Tu mi hai insegnato a sognare, ancora, quando credevo che tutti i miei sogni fossero ormai perduti! – esclamò con enfasi. – Tu mi hai insegnato che l'amore riporta in vita i sogni, ed io voglio amarti, e sognare, per tutta la vita! – terminò stringendola forte a sé in un delirante abbraccio d'amore.
I loro cuori battevano, forte, l'uno contro l'altro, pieni di sogni e d'amore.
Severus allentò la stretta e tornò a guardarla: negli occhi, lucidi di lacrime, nel cielo azzurro ancora denso di nubi, vide brillare la luce della speranza. Era il riflesso oscuro proveniente dalle fiamme ardenti dei suoi occhi, alimentato da un amore troppo grande per rassegnarsi a perdere, troppo forte per rinunciare a lottare, fosse anche stato contro l'impossibile.
Avrebbe vinto, per lei, solo per lei, per la forza di un amore che doveva trasformarsi da sogno a realtà.
- Vivremo il nostro sogno, amore mio, te lo prometto!
La notte trasparente
gira
come un molino
muto, elaborando
stelle....
La bella prigioniera
del villano
ha occhi di laguna
e voce di cigno...
Con l'anima
trepidante
attraversiamo
questi
cicloni
di violenza...
Noi
no, amore mio.
Non perdiamoci
nemmeno
questo sogno:
finché
saremo
vivi
faremo nostra
tutta
la vita vera
ma anche
i sogni:
tutti i sogni
sogneremo.[3]
*
La radura della Foresta Proibita era immersa in un'oscurità tenebrosa e la mano di Hermione tremava reggendo la bacchetta che, con tenue luce, rischiarava appena lo spazio intorno.
Il professor Piton era in ritardo di quasi un'ora e la ragazza, preoccupata di ciò che poteva essergli accaduto, non sapeva se rimanere ancora ad attenderlo, nella sera che diveniva notte, sempre più cupa, o tornare al castello.
E se il professore fosse stato in pericolo? Come poteva aiutarlo? Chi poteva avvertire?
Si strinse nel mantello, più per la paura che per il freddo: era maggio inoltrato e il caldo tepore della primavera si sentiva anche di sera.
Scosse la testa stringendo più forte la bacchetta; non poteva aiutare il professore, né chiedere aiuto: nessuno le avrebbe creduto, nessuno avrebbe aiutato un traditore assassino. Anzi, l'Ordine intero, Harry in testa, avrebbe brindato felice alla sua morte.
Sospirò sconsolata: lui rischiava ogni giorno la vita per loro, e loro lo odiavano.
Il rumore improvviso dell'incantesimo d'allarme la fece scattare all'erta, in posizione di difesa, la bacchetta levata proprio come il professor Piton aveva avuto modo di insegnarle l'ultima volta, quando le aveva consegnato la pergamena con le informazioni necessarie a risolvere l'ultimo complesso enigma e identificare il luogo in cui si trovava il perduto libro di Priscilla Corvonero.
Era il motivo per cui lo attendeva: consegnargli la preziosa risposta, sperando che sapesse decifrarla. Lei ci aveva provato, in ogni possibile modo, ma non era giunta a nulla.
Il mago apparve nell'aria tremolante, avvolto nel nero mantello, e vacillò vistosamente davanti ai suoi occhi spalancati.
Hermione si lasciò sfuggire un acuto grido e gli puntò contro la bacchetta aumentando al massimo la luce: il professore era sofferente, in parte ripiegato su se stesso, e la ragazza vide con raccapriccio che la mano, ma anche il volto, erano pieni di sangue.
- Professor Piton! – gridò spaventata, avvicinandosi per sostenerlo.
- Non gridare e abbassa la luce! – rispose secco, ma le permise di aiutarlo e, zoppicando per lo sforzo, in parte puntellandosi sulle spalle della ragazza, si diresse verso l'albero più vicino, appoggiandosi al tronco e lasciandosi sfuggire un doloroso sospiro.
- Cosa le è successo?
- Nulla di grave: solo un piccolo imprevisto con alcuni membri dell'Ordine ostinatamente insistenti nel voler catturare un pericoloso assassino. - borbottò. – Questi incontri diventano piuttosto lunghi, e fastidiosamente dolorosi, se l'assassino in questione non vuole usare maledizioni letali che gli sgombrerebbero il campo in pochi istanti. – terminò forzando il tono di pesante ironia della voce.
Hermione, memore della sgridata ricevuta, ricacciò a forza in gola l'urlo misto di paura e orrore che l'aveva investita e ridusse la luminosità della bacchetta levandogliela dagli occhi: nonostante le parole tranquillizzanti, il professore sembrava non stare affatto bene e ansimava anche leggermente.
- Mi spiace per il ritardo: non deve essere stato piacevole attendermi qui così a lungo e da sola. – aggiunse addolcendo la voce.
La fissò con intensità, cogliendo la paura che l'aveva assalita nell'interminabile attesa:
- Grazie per avermi aspettato. – aggiunse con un lieve cenno di ringraziamento del capo.
Fece un breve, sofferente respiro, e aggiunse, un lampo appena d'orgoglio a rischiarare la notte dei suoi occhi:
- La tua barriera d'allarme era piazzata alla perfezione.
L'inatteso complimento, ancor più della paura, sembrò toglierle la capacità di parlare: rimase muta a fissarlo, gli occhi spalancati e le labbra dischiuse dalla sorpresa.
Piton arcuò appena le labbra nell'accenno di un sorriso, quindi le fece cenno di illuminare il fianco sinistro e scostò il mantello: la camicia era lacerata e sporca di sangue all'altezza delle ultime costole.
Una smorfia di disappunto si disegnò sul volto pallido e stanco del mago che estrasse la bacchetta:
- Diffindo!
La stoffa fu tagliata di netto e rivelò la lunga ferita che, partendo appena sotto la spalla, gli lacerava trasversalmente la parte sinistra del petto fino quasi al ventre: il taglio non era profondo, ma stava ancora sanguinando copioso.
Piton passò la punta della bacchetta sulla lesione recitando arcane parole in una lunga cantilena a fior di labbra: ripeté adagio il passaggio altre due volte e la ferità si rimarginò in uno sfrigolio dall'aria molto dolorosa.
Hermione vide il professore stringere il pugno libero e serrare strette le labbra, affinché nessun lamento ne uscisse, quindi sollevò lo sguardo.
La ragazza deglutì a fatica, impressionata dal sangue.
- E' tutto a posto, – la rassicurò, - ora basta solo pulire...
- Gratta e netta! – esclamò rapida, la voce acuta e gli occhi chiusi, la bacchetta tremante puntata al petto del mago.
Piton osservò mesto il volto pallido della studentessa chiedendosi se anche un lui, un tempo, avesse avuto paura del sangue.
Scosse il capo: non lo ricordava.
Da troppo tempo era abituato ad avere le mani sporche di sangue.
Anche di sangue non suo.
Odiava le sue mani sporche di sangue.
Hermione riaprì gli occhi e lo fissò con intensità: sapeva che la ragazza avrebbe scorto l'immenso dolore dei suoi rimorsi, sparso per ogni dove nell'abisso tenebroso dei suoi occhi, se non si fosse subito protetto indossando la consueta maschera di fredda impassibilità.
Ma ormai odiava a fondo anche quella maschera e indossarla gli costava ogni volta più fatica, soprattutto se non doveva farlo al fine di salvarsi la vita, davanti a Voldemort e ai suoi compagni.
Le permise di leggere la sofferenza, lasciò che si affacciasse per un attimo sull'infinita pena della propria anima riflessa nelle tenebre di iridi che avevano visto troppo sangue innocente scorrergli tra le mani, sapendo che avrebbe compreso, tutto, anche se era ancora così giovane e avrebbe tanto voluto poterla tenere lontana da ogni orrore.
Ma era lui, l'orrore, lì, immobile davanti a lei.
Hermione fissava le sue mani.
Mani coperte di sangue.
Il suo sangue.
Un ghigno dolorosamente ironico si appoggiò appena sulle labbra sottili. Era stato fortunato: solo una lunga ferita sul petto, ma la sua anima era rimasta illesa.
Chissà se Hermione avrebbe capito?
Le lacrime negli occhi della ragazza gli diedero la risposta.
Si riscosse dalla mesta immobilità e terminò l'opera di pulizia iniziata dalla ragazza.
- Mi dispiace, - mormorò la studentessa a disagio, - ma il sangue... io... - cercò di scusarsi.
Piton annuì in silenzio, accettando di buon grado la falsa giustificazione che chiudeva un troppo complesso discorso: si dedicò a pulirsi gli abiti sistemandone anche le lacerazioni in una raffica di rapidi Gratta e netta e Reparo.
Quando la guardò di nuovo, Hermione indicò il volto con mano tremante:
- Sanguina... ancora.
Si sfiorò la guancia con la punta delle dita:
- E' solo un graffio. – disse con rassicurante dolcezza.
Bruciava appena e non se n'era neppure accorto.
- Perfino una studentessa del quinto anno potrebbe guarire a occhi chiusi un graffietto del genere! – la provocò con il consueto tono beffardo di sfida per indurla a reagire e distaccarsi dai cupi pensieri in cui l'aveva coinvolta.
Il pungolo andò a segno e Hermione raddrizzò le spalle levando la bacchetta:
- Epismendo! – esclamò con voce sicura. – Ma questo incantesimo non è neppure nel programma del settimo anno! – specificò puntigliosa scrollando la massa di riccioli cespugliosi.
Il professore sorrise, l'orgoglio negli occhi, ora, al posto della straziante sofferenza che le aveva permesso di leggere fino a pochi istanti prima, e Hermione si sentì stupidamente felice, anche se le lacrime di nuovo le pizzicavano gli occhi.
- Sei una ragazza in gamba, - mormorò con voce profonda, guardandola con tenero affetto paterno nei limpidi occhi nocciola, - e molto più forte di quanto credi d'essere.
Le parole del professore la colpirono a fondo.
Era certa che lui sapesse che, quando i loro sguardi erano rimasti a lungo incatenati, aveva compreso tutta la sua sofferenza e i rimorsi: doveva averglielo letto con certezza nella spaventata ingenuità del successivo sguardo rivelatore, quello irresistibilmente attratto dal sangue sulle sue mani. Il suo sangue. Per fortunata. Ma solo per quella notte.
La lacrima scese, gonfia di sofferenze non sue, e Hermione non la trattenne: se perfino il professor Piton si era levato la maschera, certo non sarebbe stata lei a fingere distacco e freddezza che non le erano mai appartenuti.
Il mago le sorrideva, con una dolcezza che aveva sempre ritenuto impossibile nel pallido volto perennemente serio e contratto in una rigida impassibilità: le sorrideva rassicurante e paterno, mentre la sua mano, anch'essa con un'imprevedibile e tenera delicatezza, le sfiorava appena la guancia per asciugarle la lacrima, dono prezioso di una giovane ragazza che aveva compreso l'infinito dolore di un uomo.
- Grazie. – sussurrò piano, senza smettere di sorridere, gli occhi neri scintillanti come non mai. – Grazie di tutto!
Rimase a fissarlo stupefatta, senza parole, il calore delle dita sottili e delicate ancora sulla pelle.
Fu il professor Piton a distogliere lo sguardo: cercò nel mantello e ne estrasse una piccola fiala che stappò e bevve d'un fiato. Quindi tornò a rivolgersi a lei, il volto serio e impassibile come sempre.
- Hai detto che hai trovato la risposta. – disse con voce atona e sguardo di nuovo indifferente.
Hermione sorrise dentro di sé: ecco, era tornato il solito Professor Piton, ma ora sapeva che, dietro la fredda facciata, c'era un uomo dall'anima lacerata che ancora soffriva per colpe commesse tanti anni prima, quando era solo un ragazzo poco più grande di lei. Adesso sapeva quale disperazione si celava dietro l'impenetrabile schermo di cristallo nero delle sue iridi.
- Sì, Professore! – rispose rapida allargando il mantello.
Diede un esperto colpo di bacchetta, la mente concentrata nel contro-incantesimo di disillusione inventato dal Principe Mezzosangue.
Le piaceva pensare a lui in quel modo, quando anche il professore era stato solo un ragazzo, soprattutto ora che sapeva che, del Principe Mezzosangue, poteva fidarsi ancor più di se stessa. Eppure, solo due anni prima, il libro di cui adesso non riusciva a fare a meno le era sembrato terribilmente pericoloso. Com'era cambiata la sua percezione della realtà!
Nell'istante il cui il piccolo rotolo di pergamena si materializzò sotto il mantello, Piton aveva già allungato la mano per prenderlo, ma si fermò all'ultimo momento, conscio della mancanza di rispetto che stava mostrando per la giovane donna. Ritrasse la mano e attese che fosse la studentessa a porgerglielo.
- Ecco, Professor Piton: questa è la Risposta, - esclamò in tono solenne, - ma io non sono riuscita a decifrarla, anche se ci ho provato a lungo. – ammise sconsolata.
Piton srotolò il foglio e lesse con attenzione le righe vergate dalla mano di Hermione:
Ci puoi arrivare con giusta sapienza
per un meritevole intento, evoca la libertà;
altrimenti il segreto custodito, tale resterà.
Racchiuso nel cuore di una selva antica
dove un legno ne cela l'anima magica,
ardua conoscenza di un mistero irto di spine.
Priscilla Corvonero
Rimase perplesso, la fronte aggrottata, incisa in profondità dalla ruga sopra il naso. Rilesse in totale concentrazione, astraendosi da tutto e soffermandosi sulle singole parole, sul significato nascosto o gli strani nessi dovuti a eventuali e impensati accoppiamenti.
Era una sciarada, un arcano enigma inventato da una delle Fondatrici di Hogwarts, la saggia e bella Priscilla Corvonero, per indicare, ma al contempo proteggere, il luogo che celava il prezioso libro in cui aveva trascritto la sua sapienza, affinché solo uomini altrettanto saggi potessero trovarlo e avvalersene a fin di bene.
Le ultime righe definivano il luogo: una selva antica già ai tempi della stessa Corvonero, in cui la magia era celata in un particolare albero.
- Un Nemeton. – sussurrò pensoso.
- Il bosco sacro dei Druidi! – esclamò Hermione battendosi la fronte con una mano. – Come ho fatto a non pensarci? – si chiese stizzita. – Ma quale? E come può esistere ancora? Erano boschi di quercia, ma le querce non vivono così a lungo...
- Sssh! – la interruppe Piton ponendo un lungo dito sottile sulle labbra, mentre ancora una volta tornava a rileggere le parole di Corvonero.
- Irto di spine... - mormorò a fior di labbra.
- Ma nei boschi celtici non c'erano...
L'occhiataccia del professore la zittì.
- Il Nemeton di Ylith Fhaad! – esclamò dopo un assorto silenzio.
Hermione lo scrutò interrogativa: il nome non le diceva nulla.
- Una vecchia leggenda celtica narra che il Nemeton fu abbandonato perché, durante il rito dei festeggiamenti della notte della vigilia di Samhain, accadde qualcosa di imprevisto e i druidi persero il controllo della situazione: un'orda incontrollata di demoni maligni lo invase e, dopo aver ucciso tutti i Druidi e i fedeli, imprigionò le loro anime negli alberi. – spiegò. – Sai cosa si credeva accadesse durante la notte che precedeva Samhain? – chiese interrompendosi.
Hermione annuì: non conosceva la leggenda di quel Nemeton, ma il resto lo sapeva bene.
- Per i Celti, Samhain era il periodo più magico dell'anno: "il giorno che non esiste". Durante la notte della vigilia, il grande scudo di Skathach si abbassava e le barriere fra i mondi cadevano: le forze del caos potevano invadere i reami dell'ordine e il mondo dei morti entrava in contatto con quello dei vivi. I morti potevano ritornare nei luoghi frequentati mentre erano in vita e si tenevano celebrazioni gioiose in loro onore.
Piton annuì:
- Sai anche a quale nostra festa corrisponde Samhain, suppongo?
- Halloween! – fu la pronta risposta.
Il professore fece ancora un cenno d'assenso e continuò il racconto:
- L'antica leggenda narra che nel Nemeton di Ylith Fhaad si ode nell'aria un sibilo lieve ma oscuramente inquietante: è la voce delle anime dei defunti che si lamentano e implorano d'essere liberate dalla prigione in cui le hanno rinchiuse i demoni maligni.
Hermione rabbrividì guardandosi in giro, scrutando tra i fitti rami scuri degli alberi.
Piton sogghignò appena:
- Tranquilla, signorina Granger, è solo una leggenda! – la canzonò con il solito tono beffardo, privo però della consueta nota maligna. – La leggenda narra che i Druidi giunti in seguito sul luogo, non riuscendo in alcun modo a liberare le povere anime, avvolsero il bosco in un intricato ammasso di rovi affinché nessuno potesse entrarvi e, almeno, le anime fossero lasciate in pace. – terminò di narrare con voce cupa.
Hermione sospirò turbata:
- Se si tratta solo di una leggenda, quel luogo non esiste e siamo di nuovo senza tracce del Libro! – esclamò scoraggiata.
- Il Nemeton di Ylith Fhaad esiste ed è davvero avvolto dai rovi. – rispose in tono altero.
- E lei sa anche dove si trova, immagino? – chiese Hermione, l'entusiasmo di nuovo ad animare le iridi nocciola.
Piton sorrise, compiaciuto:
- E' a Tlachtga, alle pendici della Collina Reale di Tara, l'antica residenza dei Re dei Celti: si trova nella contea di Meath, nell'Irlanda centro-orientale.
Hermione sorrise: erano infine riusciti a scoprire dove si trovava il Libro di Corvonero!
- Ma sarà davvero l'Horcrux mancante? – chiese incerta.
- Ne sono ragionevolmente certo. - rispose secco. – Ad ogni modo, tra poco lo scoprirò.
- Vengo con lei! – esclamò rapida Hermione.
- Non se ne parla nemmeno: è troppo pericoloso!
- Ma lei ha bisogno...
- Io non ho bisogno di nulla e tu, - aggiunse, un ghigno beffardo di nuovo sulle labbra, - tu avevi paura già solo di una sciocca leggenda!
Hermione si morse la lingua per non rispondergli male: in fin dei conti, il professore non aveva torto. Questo, però, non voleva dire che non avesse bisogno di aiuto: era molto stanco e il lungo taglio, sul petto, aveva ripreso a sanguinare, sporcandogli la camicia da poco pulita e riparata.
Alzò la mano e gliela indicò:
- La sua ferita sanguina di nuovo, con abbondanza. – annunciò con voce ferma.
Piton abbassò lo sguardo sul petto:
- Dannazione!
Si appoggiò di nuovo al tronco d'albero e sospirò: era vero, era stanco e ferito, ma non aveva intenzione di accettare l'aiuto della studentessa nella pericolosa missione. Però aveva bisogno di una medicazione, prima di partire alla ricerca dell'Horcrux.
Tolse il mantello adagiandolo a terra e si slacciò veloce i bottoni della camicia che stava di nuovo inzuppandosi di sangue; si sedette a terra, la schiena appoggiata al tronco e frugò nelle tasche nascoste del mantello estraendone una fiala che le allungò, quindi puntò di nuovo la bacchetta sul taglio, nel punto in cui si era riaperto, e lo ripulì dal sangue ordinando ruvido:
- Mentre avvicino i margini della ferita, versa alcune gocce della pozione cauterizzante.
- Ma... non c'è un modo meno... doloroso? – chiese, la voce resa stridula dalla tensione, mentre si inginocchiava al suo fianco.
- Questo è il più veloce e definitivo. – rispose rude.
Gli occhi nocciola di Hermione si spalancarono ma non disse nulla.
- Attenta che la tua mano non tremi, signorina Granger, o mi farai inutilmente soffrire. - aggiunse con durezza.
Ecco, non era proprio l'incoraggiamento che le serviva.
Il liquido scuro oscillò nell'ampolla e per un attimo le parve di scorgere il riflesso delle iridi del professore. Trattenne il fiato e alzò lo sguardo verso il volto pallido e severo, in cerca di un aiuto che non sarebbe giunto.
Invece, le stava sorridendo, rilassato, i profondi occhi neri che brillavano nel sofferente pallore illuminando la notte.
Senza smettere di sorriderle, le prese adagio la mano con la fiala e la guidò con sicurezza sulla ferita, quindi la lasciò piano, sussurrando dolce:
- Mi fido di te, Hermione.
Il sorriso cercava di negare sofferenza e stanchezza solo per rassicurarla; il tocco caldo e deciso, eppure delicato e rispettoso, della mano le aveva trasmesso sicurezza; dalle parole, e l'intensa dolcezza con cui le aveva pronunciate, traspariva una vera fiducia. Tutto l'aveva lasciata senza fiato: rimase a fissarlo nelle iridi nere che non le erano mai parsi così vive e al tempo stesso accorate, stelle nere ardenti in una notte senza fine, colme di dolore e rimorsi, ma anche di... sì, per quanto potesse apparirle strano, erano colme anche di amore. Ne era assolutamente certa.
La sua mano non tremava più e Piton continuava a sorriderle, incoraggiante.
Trattenne il fiato e, adagio, con tesa attenzione, versò poche gocce, il minimo indispensabile, proprio là dove le pallide dita sottili univano con fermezza i bordi slabbrati del taglio: ci fu un leggero sfrigolio, mentre la carne si increspava congiungendosi, sospinta senza alcuna esitazione dai polpastrelli.
Si levò un esile filo di fumo e l'inconfondibile odore di carne bruciata.
Seguì le volute di fumo e incontrò ancora il suo sguardo, limpido e nero, e il suo incredibile sorriso, forzato e a denti stretti affinché nessun lamento uscisse dalle labbra.
- Respira, Hermione! – le ricordò. – Sei stata bravissima!
La ragazza trasse un lungo respiro e si lasciò cadere al suo fianco con un sonoro sospiro.
- Tutto bene? – chiese il mago con voce preoccupata.
- Dovrei... dovrei essere io a chiederglielo! – rispose in un altro sospiro.
Piton si raddrizzò un poco per osservare lo stato della ferita:
- Sì, tutto bene. – rispose rassicurante, lo stentato sorriso stampato in faccia. – Sono sicuro che sai cosa è necessario fare, ora, per una lesione di questo genere.
Hermione deglutì a fatica:
- Serve del Dittamo.
- Brava, cinque punti a Grifondoro! – esclamò tentando di alleggerire la tensione.
Hermione lo fissò spalancando gli occhi e, dopo un attimo, scoppiò in una risata liberatoria. Il professor Piton sollevò stupito il sopracciglio e la ricambiò allargando un po' il rigido sorriso: la cauterizzazione della ferita era stata una procedura dolorosa.
- E serve anche un antidolorifico. – aggiunse appena tornata seria, le lacrime agli occhi per la commozione.
- Vuoi proprio guadagnare altri punti, signorina Granger? – le chiese con divertita ironia.
- Suppongo che nel suo mantello ci sia tutto l'occorrente, giusto? – chiese senza riuscire a reprimere uno smagliante sorriso.
Piton annuì:
- L'essenza di Dittamo dovresti riconoscerla con facilità, quindi non vale punti. – rispose con supposta serietà, continuando il piccolo gioco. – Ma ti assegnerò dieci punti se mi somministrerai l'antidolorifico invece del Distillato della Morte Vivente.
Hermione trattenne una risatina e cominciò a rovistare nelle tasche del mantello dove numerose fiale, ampolline e boccette era infilate in sacche protettive. Individuò il Dittamo a colpo sicuro, ma per l'antidolorifico dovette andare per esclusione, e la ricerca fu più lunga: in compenso scovò un'altra dose di Pozione Corroborante, la stessa che il mago aveva bevuto appena arrivato.
Gli porse soddisfatta le tre pozioni: il sorriso che il professore le rivolse denotava, però, oltre all'orgoglio per la bravura dell'allieva, anche profonda sofferenza e stanchezza. Per prima scolò rapido la Pozione Corroborante: aveva perso molto sangue e c'era una missione importante e pericolosa che ancora lo attendeva.
Quindi sorbì in un sol fiato l'antidolorifico, i pugni ancora stretti a lato del corpo e la ferita in bella mostra sul petto.
Infine le porse l'essenza di Dittamo dicendole burbero:
- Sai cosa farne.
Hermione annuì e, con cura delicata, la cosparse sul lungo taglio, attenta a non procurargli altro dolore:
- Ferula! – ordinò quindi con voce sicura e una candida benda, fluendo dalla punta della bacchetta, avvolse il petto del mago che, con un lieve cenno del capo, seguito da un breve sospiro, la ringraziò:
- Altri dieci punti a Grifondoro, signorina Granger! – sussurrò sorridendo a fatica. – E ora aiutami ad alzarmi, che abbiamo perso già troppo tempo. – aggiunse serio appoggiandosi al suo braccio per rialzarsi.
- Ma professore! – esclamò la ragazza trattenendolo. – Non può andare da solo, non in queste condizioni!
Piton la fulminò con uno degli sguardi capaci di intimorire un'intera classe:
- Non intendo portarti con me: è troppo pericoloso! – affermò in tono che non ammetteva repliche, strattonandola. – Però non ho tempo per riaccompagnarti alla scuola: sarà di nuovo il mio Patronus a scortati. – concluse evocando l'argentea Fenice e impartendole i necessari ordini.
- E lei...
- So cosa fare: non preoccuparti. - rispose secco, finendo di riallacciare la camicia ancora macchiata di sangue. – Quando tutto sarà sistemato, ti darò il via libera per Potter. – aggiunse raccogliendo il mantello da terra e avvolgendoselo attorno al corpo con un colpo deciso.
Hermione abbassò il capo: sapeva che si sarebbe smaterializzato affrontando da solo il pericolo, come sempre, nonostante la stanchezza e le ferite.
Eppure, questa volta non poteva permetterglielo, anche se era molto rischioso.
Mentre Piton si smaterializzava, Hermione allungò rapida la mano e si afferrò stretta al suo braccio.
[1] Edmond Rostand - Tratto da "Cirano de Bergerac", Terzo Atto, Scena XI.
[2] Earendil
[3] Pablo Neruda. Da "Tercer libro de las odas", tratto da "Ode a un cinema di paese".
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