22. Scrigno di cristallo (REV 2022)

Come obbedienti soldati, votati al totale sacrificio, Severus scelse con cura i ricordi più adatti e li schierò a difesa di una verità preziosa che doveva essere protetta a ogni costo: già una volta quelle memorie lo avevano salvato, quando Voldemort aveva ripreso possesso del proprio corpo ed era tornato dal vecchio padrone attestando una fedeltà in effetti mai esistita. La forza con la quale l'Oscuro Signore quella notte aveva frugato nella sua mente era stata devastante, ma ora sarebbe stata ben più selvaggia e distruttiva, al punto che quei ricordi rischiavano perfino di andare perduti.

Poteva essere l'ultima volta che li estraeva dal protettivo scrigno di cristallo nero nascosto dietro all'impenetrabile sguardo.

Si vergognava di quei ricordi, dei suoi pensieri lontani, così sofferti allora e poi tanto odiati, quando aveva infine capito che era a causa loro che si era rovinato l'esistenza. Ma facevano parte di lui, della sua infanzia infelice, della tormentata adolescenza e della folle giovinezza: lì c'erano gli affetti mancati e perduti, e l'innocenza che un tempo anche lui aveva avuto. C'erano le illusioni e le speranze, anche se erano state irrimediabilmente sbagliate. C'era la sua imperdonabile scelta che, in quel tempo lontano, invece, sembrava sfolgorare d'inebriante potere.

C'era la parte più oscura e pericolosa di sé, in quelle memorie, ma c'era anche la sua umana fragilità e insicurezza, l'insopprimibile bisogno di un bimbo che anela al calore di un abbraccio negato.

Avrebbe potuto perdere tutto o parte di quel passato sbagliato, ma sapeva che lo stava sacrificando per il futuro.

Un futuro giusto.

L'energia impiegata da Voldemort contro la barriera che lo escludeva dalla sua mente non aveva intaccato l'intensità della tremenda Cruciatus che, in pochi istanti, aveva costretto il suo corpo a terra, le membra tremanti, senza controllo, angosciati rantoli a sfuggirgli dalle labbra contratte con rigida ostinazione.

Severus non poteva resistere a lungo all'atroce supplizio e si augurò che l'esaltazione di Voldemort, una volta convinto d'essere riuscito a sfondare con successo le sue difese, fosse tale da fargli trascurare la tortura del corpo, quando avesse infine creduto di possedere per intero la sua mente.

A fatica cercò di riempire i polmoni nell'aria rovente di dolore che lo soffocava e con un ultimo, penoso sforzo si sollevò a sedere sostenendosi sulle braccia, cercando di sfidare ancora Voldemort con fiera dignità, le iridi nere che scintillavano dilatate nel volto di un cadaverico pallore.

Eliminò di colpo la barriera che ancora, con strenua determinazione, opponeva a Voldemort e gli diede in pasto i ricordi, senza pietà alcuna per se stesso, lasciando che il cristallo nero dei suoi occhi si liquefacesse in taglienti lacrime invisibili.

Nonostante l'avesse previsto, Piton fu sbalzato indietro dalla prepotente penetrazione, rotolò sulle pietre grezze fino a sbattere la schiena con violenza contro una colonna, gli infuocati rubini dell'Oscuro Signore, ombra tenebrosa incombente su di lui, che spazzavano i pensieri con spietata ferocia.

E i ricordi di Severus, le sue pungenti vergogne, i pensieri umanamente sbagliati, docili al suo ferreo comando, uno dopo l'altro si sacrificarono.

Un piccolo lampo di luce, involontario.

La bottiglia cade, rotola dal tavolo in disordine e va in mille pezzi: il liquido ambrato si spande piano sul pavimento sudicio.

Un urlo rabbioso, incontrollabile.

La donna dal viso pallido e arcigno corre in mezzo all'angusta stanza per proteggere il bambino, colpevole solo di non sapere ancora controllare la propria magia.

Una mano pesante si abbatte con violenza su di lei e la sposta gettandola a terra.

- Non è colpa sua! – grida cercando di rialzarsi per proteggere il figlio che, spaventato dall'imprevista potenza dei suoi desideri, arretra veloce e si ripara dietro la gamba del tavolo.

- Maledetta strega, sei tu che gli insegni queste diavolerie! – urla l'uomo dal naso adunco, respingendo la donna con un calcio.

Poi, con forza brutale solleva il tavolo e lo lancia contro lo smunto ragazzino che, terrorizzato, spalanca gli occhioni neri e alza le braccia per difendersi dal violento urto.

Il tavolo vola nell'aria, rimane immobile, troppo a lungo sospeso, poi torna indietro, con forza, verso chi lo ha scagliato:

- Piccolo mostro, tu non sei mio figlio! – urla l'uomo, appena prima d'essere colpito.

Le lacrime invadono i tristi occhi neri del bimbo, ma lui le trattiene: da qualche parte ha letto che i mostri non sanno piangere.

Piton si costrinse ad atteggiare il volto, che ancora mostrava i segni del recente tormento, in una sprezzante smorfia di odio verso quella che, per Voldemort, doveva invece risultare l'evidente dimostrazione dell'inferiorità dei Babbani.

Poi spinse avanti un altro ricordo da sacrificare, particolarmente importante per lui.

Una risata collettiva scoppia intorno al ragazzo, ancora una volta impotente, di nuovo solo e umiliato dagli spietati aguzzini di fronte all'intera scuola, colpevole solo della sua curiosità e dell'attrazione verso le Arti Oscure.

Anche la ragazza dai lunghi capelli rosso scuro sembra per un attimo ridere di lui.

- Non mi serve l'aiuto di una piccola schifosa Sanguemarcio.[1]

Tutto il suo mondo ride e lo schernisce.

Un mondo capovolto da un tradimento che mai si sarebbe aspettato.

I capelli neri del ragazzo oscillano disordinati nell'aria: è vittima del suo incantesimo segreto, rivelato ai suoi nemici purosangue da quella che un tempo era la sua più cara amica.

E l'odio brucia nei mesti occhi neri, che non piangeranno, neppure nella sua obbligata solitudine.

Un ghigno soddisfatto pervade il piatto volto serpentino di Voldemort: Severus sa che il suo signore ha incontrato e riconosciuto l'odio che cresceva tumultuoso nel ragazzo umiliato.

Ma non ha compreso il disperato dolore per il tradimento e la perdita della sua unica amica.

La Sala Comune di Serpeverde è gremita: il professor Lumacorno dorme un sonno imposto, mentre la voce strascicata e suadente di Lucius Malfoy racconta le meraviglie d'un mondo che verrà, dove nessun padre Babbano oserà picchiare il figlio e i traditori del sangue saranno puniti. Un mondo nuovo, all'insegna delle Arti Oscure, che solo i migliori sanno padroneggiare.

E lui, il giovane ombroso dai lunghi capelli corvini, sa di essere di gran lunga il migliore.

Bellatrix lo osserva, il fuoco della passione carnale nelle iridi spiritate: sensuale si passa la lingua sulle labbra e gli tende la mano.

Il giovane sa che, se soddisfarà ogni sua voglia, lei gli regalerà ancora sapere e potere racchiusi in nuovi e pericolosi sortilegi oscuri.

Un sorriso ambizioso dischiude appena le sue labbra sottili e gli occhi neri scintillano come diamanti nel volto pallido e magro del giovane che si alza piano per seguire la voluttuosa maga e scivola, s'immerge, sprofonda e scompare con lei nelle tenebre.

L'Oscuro Signore è la soluzione a tutto: gli darà la conoscenza di cui è così avido, gli darà il sapere proibito e potente delle Arti Oscure che spaventa i maghi comuni.

Ma non lui.

Negli occhi neri brilla l'attesa spasmodica per la vendetta che presto eserciterà su coloro che lo hanno sempre disprezzato e umiliato.

Voldemort, solo in parte appagato, stringeva la sua mente in una morsa opprimente, così come un tempo aveva stretto la sua vita tra sapere e potere. Severus si rese conto che la Cruciatus era cessata da un pezzo, ma il suo corpo ancora tremava.

No, non doveva pensare a Crystal, non doveva desiderare che le sue mani lenissero lo strazio delle sue membra: doveva lottare e sapeva che il peggio non era ancora arrivato.

A fatica si tirò di nuovo in piedi.

Doveva approfittare del momento in cui Voldemort era sicuro d'averlo in pugno, certo d'aver abbattuto le sue barriere entrando con forza devastante negli intricati meandri dei suoi pensieri.

Dalla verità, ora, doveva passare alle menzogne: erano pronte, nitide e perfette, ricolme di un intimo dolore che l'Oscuro Signore non doveva neppure immaginare.

Gli avrebbe servito un piatto a base di verità condite con spruzzate di bugie per sostenere una lealtà mai esistita. E poi, progressivamente, la parte dell'inganno avrebbe sovvertito il vero senza che Voldemort notasse alcuna differenza.

La Sala Grande sfavilla di luci, come sempre al banchetto di inizio d'anno.

Il ragazzo è là in fondo, in mezzo ai compagni Grifondoro.

Il Ragazzo Sopravvissuto, colui che ha causato la distruzione del suo Signore.

Un moto di odio serpeggia per un istante nei gelidi occhi del professore, proprio mentre incrocia quelli verdi del ragazzo.

Splendono nel visetto magro, le iridi incredibilmente verdi, condanna d'una perdita irreparabile di cui il mago sa di essere la causa prima, quando ha rivelato la profezia ascoltata per caso in una notte di avanzata primavera.

Distoglie lo sguardo: è colpa sua se il suo Padrone è scomparso e il Marchio è quasi svanito dal suo braccio lasciandolo alla mercé di quel babbanofilo di Silente, cui è stato costretto a mostrare sottomissione per non finire ad Azkaban.

Di nuovo l'odio brilla vivido nell'oscurità profonda degli occhi neri.

Piton represse secco un breve sospiro: Voldemort non avrebbe mai scoperto quanto gli costava quella parziale menzogna, dove l'odio celava solo il dolore ancora vivo per la perdita di una cara amica morta per colpa sua, a causa della profezia rivelata da un giovane ambizioso.

L'odio non era rivolto a Harry Potter o a Silente: era solo se stesso che il mago odiava, i suoi errori e le sue colpe, spietatamente.

Ma Voldemort si cibava con avidità dell'odio ed era facile ingannarlo, dandoglielo in pasto in grandi quantità.

Una serie di immagini sfilò veloce nella sua memoria.

- Siete stati visti! - sibila il professore mostrando il titolo di testa del giornale: "Una Ford Anglia volante sconcerta i Babbani."

- Sbaglio o tuo padre lavora nell'Ufficio per l'Uso Improprio dei Manufatti dei Babbani? - chiede alzando lo sguardo sul ragazzo dai capelli rossi, sfoderando un sorriso ancor più maligno.

- Per tutti i gargoyle... proprio suo figlio...

I ragazzi protestano e cercano di difendersi.

- Silenzio! - intima di nuovo il professore. - Con mio grandissimo rammarico, voi non appartenete alla mia Casa e la decisione di espellervi non compete a me. Ora vado a cercare qualcuno cui spetta questo felice compito. Voi restate qui.[2]

Era facile indurre Voldemort a credere che il suo servo cercasse di far espellere da scuola Potter, così il ragazzo sarebbe stato inerme e sua facile preda.

- ... il loro intervento avrebbe potuto consentire a Black di fuggire... Credo fossero convinti di poterlo catturare da soli. L'hanno passata liscia in un sacco di occasioni prima d'ora... e temo che si siano fatti un'alta opinione di se stessi... e naturalmente il preside ha sempre concesso a Potter un'eccessiva libertà...

- Ah, be', Piton... Harry Potter, sa... abbiamo tutti un debole per lui.

- Sì, ma è un bene concedergli un trattamento così speciale? Personalmente cerco di trattarlo come tutti gli altri studenti. E qualunque altro studente verrebbe sospeso, come minimo, per aver messo a repentaglio le vite dei suoi amici come ha fatto lui...[3]

Era facile mostrare a Voldemort ciò che voleva vedere: disprezzo per Silente e odio per Potter.

Gli occhi di Piton lampeggiano. Infila la mano nella veste nera e prende una bottiglietta di cristallo piena di un liquido trasparente.

- Lo sai che cos'è questa, Potter? - chiede, gli occhi accesi da un luccichio pericoloso.

- No. – risponde il ragazzo.

- E' Veritaserum: una Pozione della Verità così potente che solo tre gocce ti costringerebbero a rivelare i tuoi più intimi segreti davanti a tutta la classe. – minaccia in tono maligno. - Ora, l'uso di questa pozione è regolato da severissime disposizioni del Ministero. Ma se non stai attento a quello che fai, può anche darsi che la mia mano scivoli - e scuote leggermente la bottiglietta di cristallo - proprio sopra il tuo succo di zucca serale. E allora, Potter... allora scopriremo se sei stato nel mio ufficio o no.[4]

Voldemort avrebbe gradito vedere che per un Mangiamorte, pur senza il suo padrone, spaventare a morte uno studente era sempre fonte di sadico piacere, specialmente se si trattava del Ragazzo Sopravvissuto.

- Allora, - ripete Piton, stringendogli il braccio con tanta forza da fermargli la circolazione. - allora... ti stavi divertendo, Potter?

- N-no. - dice il ragazzo, tentando di liberarsi.

Piton è pallidissimo, le labbra tremanti ritratte sui denti.

- Un uomo spiritoso, tuo padre, vero? - ringhia, scrollandolo così forte da fargli scivolare gli occhiali sul naso.

- Io... non...

Piton lo scaglia lontano con tanta violenza che Potter ruzzola sui lastroni di pietra.

- Fuori! Fuori di qui! Non voglio vederti mai più qui dentro!

Mentre il ragazzo fila verso l'uscita, un vaso di scarafaggi morti esplode sopra la sua testa. [5]

Uno scoppio d'odio sarebbe stato gustato con piacere dall'Oscuro Signore, anche se gli aveva con abilità celato il motivo della sua esplosiva reazione.


- Voglio interrogarlo ora! - urla l'insegnante piccola e grassottella, stucchevolmente abbigliata di rosa. - Desidero che lei mi fornisca subito una pozione che lo costringa a dire la verità![6]

- Gliel'ho già spiegato. - replica imperturbabile il professore. - La mia provvista di Veritaserum è finita. A meno che non voglia avvelenare Potter, e le assicuro che in tal caso avrebbe tutta la mia simpatia, non posso aiutarla. Purtroppo la maggior parte dei veleni agisce troppo in fretta e non lascia alla vittima il tempo di dire la verità.

Voldemort sapeva che, da ottimo pozionista, Piton diceva la verità; però avrebbe apprezzato il luccichio malvagio dei suoi occhi: avvelenare Potter e vederlo morire tra mille tormenti sarebbe stato un piacere impagabile.

- Punizione per la tua arroganza, Potter!

Un lampo d'odio e disprezzo serpeggia negli occhi maligni del professore.

- Questa sera nel mio studio, Potter, per scontare la tua punizione!

Un ghigno perfido stira le labbra sottili del professore che pregusta il piacere di umiliare ancora l'odiato ragazzo.

- Un altro zero, Potter: vedo il tuo G.U.F.O. in pozioni allontanarsi con grandi battiti d'ali!

Un brivido di piacere scorre lungo la schiena del professore al pensiero di liberarsi infine dell'odiosa presenza.

- Venti punti in meno a Grifondoro, Potter, per essere arrivato ancora una volta in ritardo alle mie lezioni!

E' impagabile la sottile soddisfazione che illumina gli occhi del professore mentre si gode l'ira impotente dell'odiato allievo che sa d'essere arrivato in ritardo solo di pochi secondi.

Era il momento di lasciar perdere l'odio per Potter, già servito in abbondanza, e preparare altre gustose portate per soddisfare l'esigente palato di Voldemort che, ancora, dilagava insistente nella sua mente.

La Gazzetta del Profeta titola "Scene di terrore alla Coppa del Mondo di Quidditch" e mostra una foto balenante in bianco e nero del Marchio Nero sopra le cime degli alberi.

Gli occhi neri del professore brillano di perversa soddisfazione mentre si accarezza piano l'avambraccio sinistro. Nonostante il suo padrone sia scomparso da molto tempo, ora sa di non essere solo: altri compagni Mangiamorte lo ricordano e lo rimpiangono, proprio come lui, e inneggiano al Signore dell'Oscurità lanciando il suo simbolo di Morte alto nel cielo scuro.

Piton strinse i denti ricordando la sensazione di nausea e disgusto, ora celata nelle profondità dello scrigno che custodiva i suoi veri pensieri, provata leggendo la notizia. La sua mano era davvero corsa all'avambraccio: non per accarezzare il Marchio d'infamia, bensì, ancora una volta, per graffiarlo con violenta ira sapendo di non potersene liberare. Con la scomparsa di Voldemort anche l'emblema di schiavitù era sembrato svanire, ma poi, qualche ora dopo, era di nuovo affiorato sulla sua candida pelle, ombra indistinta ma pur sempre presente, a ricordargli che la sua maledetta scelta ancora lo incatenava senza pietà al padrone rinnegato.

Piton è nelle sue stanze, infine solo dopo la giornata densa di lezioni.

Con insolita fretta slaccia i bottoni della manica sinistra: fin dal primo pomeriggio l'avambraccio aveva pizzicato lieve e ora vuol vedere se il suo sogno, per tanti anni sempre desolatamente frustrato, sta avverandosi.

Libera il braccio dalla stoffa, impaziente, le dita tremanti per l'eccitazione, quindi allunga l'avambraccio ponendolo sotto la luce del braciere: il Marchio spicca di nuovo, nero sulla pelle candida, il serpente si muove nella carne e spunta dalle orbite del teschio.

- Sì! Finalmente! – grida esultante stringendo il pugno. – Sapevo che il Mio Signore sarebbe tornato, un giorno!

E' eccitato e parla a mezza voce, con se stesso:

- Devo solo attendere: prima o poi il Marchio brucerà a fondo la mia pelle, di nuovo, e potrò ricongiungermi con il Signore dell'Oscurità. – Un ghigno deliziato stira le labbra sottili. – Ho atteso per anni questo momento, sopportando ogni giorno Silente, obbligato a chinare il capo ai suoi ordini fingendo una fedeltà che, invece, riservo solo al mio vero Padrone. Ma la ripugnante finzione, oltre a tenermi lontano da Azkaban, - sospira soddisfatto, - mi ha permesso di conquistare la fiducia dell'ingenuo vecchio che si ostina a cercare la bontà dentro a ogni animo. Sembra convinto di averla trovata anche in me!

Un ghigno compiaciuto si dipinge sulle labbra:

- Quando l'Oscuro Signore mi richiamerà a sé, gli fornirò molte informazioni utili e, soprattutto, un'arma potente: un'abile spia perfettamente inserita nel covo dei suoi nemici.

L'ambizione scintilla negli occhi neri e sorride a se stesso e al futuro che, di nuovo, è nelle sue mani:

- Il Mio Padrone mi ricompenserà ed io sarò il più rispettato tra i suoi Mangiamorte!

Piton strinse i pugni sotto il mantello: di verità, ormai, ne era rimasta ben poca nei pensieri che stava mostrando a Voldemort e questo rendeva tutto più difficile. Doveva escludere le sue più vere e potenti emozioni, celare il torrente di angoscia scaturito quando, slacciando la manica, si era trovato davanti all'odioso simbolo che riprendeva vita nella sua carne, contro il suo volere, di nuovo preparandosi a renderlo schiavo e a ributtarlo nell'inferno da cui aveva invano creduto di poter fuggire.

Prese un lungo respiro, le membra ancora straziate dai tremiti della lunga e feroce Cruciatus subita e la mente in fiamme, invasa dallo spietato aguzzino: sollevò bene il viso e fissò gli occhi nei sanguigni rubini di Voldemort.

C'era ancora un ultimo ricordo, il più difficile di tutti da alterare, che ancora doveva servirgli su un piatto d'argento.

Piton è sulla Torre d'Astronomia e si guarda intorno: Draco è riuscito a disarmare Silente ma esita davanti al suo primo assassinio.

Piton esulta: è arrivato in tempo, prima che Draco compia l'irreparabile e si appropri di una gloria che spetta a lui, solo a lui.

Per sedici interminabili anni ha sopportato ogni assurdo arbitrio di Silente, ha dovuto sempre chinare il capo e obbedire. Ma adesso è arrivato il momento della rivalsa: non sarà quell'imberbe ragazzino di buona famiglia a portargli via la bramata vendetta.

Sarà lui a uccidere il maledetto vecchio, guardandolo fisso negli occhi, con tutto l'odio e il disgusto che, negli anni di obbligata sottomissione, si è accumulato fino ad arrivare così vicino all'esplosione.

- Severus... ti prego...

- Avada Kedavra!

Sul piatto offerto a Voldemort aveva dovuto servire gloria e vendetta, reprimendo dolore e disperazione.

E odio al posto dell'amore, lacerando ancora la sua anima nelle due ferali parole.

Piton chiuse gli occhi stremato, il viso pallidissimo, e si lasciò scivolare in ginocchio, incapace di reggersi oltre: Voldemort si era ritirato dalla sua mente, infine pago e convinto della persistente fedeltà del servo.

Crystal si slanciò verso di lui e lo sostenne tra le braccia, stringendolo a sé e aiutandolo a rialzarsi. Lo sentì tremare, così vicino al suo corpo, sfinito dalle torture subite e dalla devastante invasione subita.

L'Oscuro Signore sussurrò, in un sibilo offensivo e agghiacciante:

- Come vedi, Severus Piton, nessuno può sottrarsi al potere della mia mente, nemmeno tu!

Piton abbassò il capo, in apparenza sconfitto, ma strinse con decisione la mano di Crystal: doveva riuscire a farle capire che, ancora una volta, era riuscito a ingannarlo.

Le lanciò uno sguardo furtivo di nuovo ponendosi a difesa tra lei e Voldemort: un improvviso bagliore dorato lampeggiò per un fugace istante negli occhi della maga, rassicurandolo sulla piena comprensione del muto messaggio.

Represse un involontario moto d'orgoglio per la sua donna e si rivolse umile all'altro, la voce solo un faticoso e roco sussurro:

- Perdonami, Mio Signore, non oserò mai più oppormi: la mia mente resterà sempre aperta ai tuoi occhi, come finora era stato.

- Mi auguro di non aver fatto troppi danni, nella tua testa, Severus. – sussurrò subdolo, mentre un orrido ghigno allargava la ferita scura della bocca. - Sarebbe un peccato rovinare una mente che si è sempre rivelata così intelligente e lucida. – concluse con maligna ironia.

- Ho ceduto prima che accadesse, Mio Signore. – rispose secco Piton, ancora dolorosamente ansante, gli occhi bassi che, non più sotto il controllo di Voldemort, lampeggiavano orgogliosi della vittoria.

Voldemort sogghignò soddisfatto:

- Sapevo che potevo fidarmi anche della tua capacità di autoconservazione, - di nuovo lo trafisse con lo sguardo di brace, - non appena il tuo orgoglio avesse ceduto!

Piton si concesse infine di tremare, mostrando volutamente il proprio sfinimento, ma non rispose, continuando a sostenere impassibile il suo sguardo.

- Ora voglio marchiare la tua donna, – comandò Voldemort con un secco sibilo, - dammi il suo braccio!

Piton non si mosse.

Un fruscio gli rivelò che Crystal si stava muovendo: si girò di scatto lanciandole un'occhiata fulminante che la bloccò all'istante. Quindi si rivolse di nuovo a Voldemort, gli occhi di ardente fuoco nero:

- No! – ripeté ancora con secca e inalterabile decisione.

L'Oscuro Signore lo guardò, un incredulo stupore dipinto sul viso serpentesco.

Piton pensò che chiunque, a quel punto, avrebbe dovuto capire il profondo amore che provava per Crystal e lo spingeva a opporsi ancora al suo odiato padrone, anche nelle pietose condizioni in cui si trovava, incurante delle tremende conseguenze.

Ma Voldemort sembrava davvero incapace di comprendere il sentimento d'amore, e questa poteva rivelarsi l'arma vincente.

- No! Lei è la mia schiava, solo mia, e non sarà anche la tua, Mio Signore! – ribadì impassibile, il volto bianco come il marmo. – Puoi ucciderla, se vuoi, ma non te la cederò: non ti permetterò di possederla.

L'Oscuro Signore rimase immobile, sbalordito dall'impudenza delle parole di un servo che credeva di aver appena spietatamente soggiogato con atroci torture, rischiando addirittura di danneggiargli in modo irreparabile la mente.

- Se preferisci che la uccida, - sussurrò in un sottile sibilo minaccioso, come lama che incide il ghiaccio, - vedrò di accontentarti.

Si avvicinò adagio al mago che rimase impassibile:

- Hai preferenze, Severus? – chiese perfido, soffiandogli nell'orecchio. - Qualcosa di istantaneo e indolore o un lungo e ricercato sadismo?

Piton non respirava, il pallore d'un morto sul viso.

Voldemort lo aggirò lento e si diresse verso la donna: il mago ancora non si mosse, ma pregò che Crystal si fidasse di lui e non facesse pazzie.

L'Oscuro Signore indugiò: i due maghi si trovavano pericolosamente l'uno con le spalle girate all'altro, ma davanti a sé aveva la preda che tanto premeva all'altro.

Fece per alzare la bacchetta sulla maga, quando Piton infine parlò, senza girarsi:

- Tu ora sai con certezza che ti sono sempre stato fedele. – disse con un calmo tono piatto. – Sono stato io a uccidere il tuo più pericoloso avversario, sempre io a fornirti inestimabili informazioni sull'Ordine e sono ancora io a distillare misteriose e potenti pozioni che nessun altro conosce. –enumerò con sicurezza. – Sai bene che sono il tuo più prezioso servo, - affermò imperturbabile, - ma sei sicuro che continuerò a esserlo anche dopo che l'avrai uccisa? – insinuò subdolo.

Per un istante il silenzio fu rotto solo dalle fiamme che bruciavano nel braciere e nelle torce lungo le pareti: le ombre create serpeggiavano sulla volta del soffitto, intrecciandosi vorticose per perdersi nel nulla e rinascere ancora dal fuoco, invincibili.

Difficile dire, fra i due potenti maghi, chi era il fuoco e chi l'oscurità.

All'improvviso furono uno contro l'altro, le bacchette levate:

- Osi ancora sfidarmi, Severus Piton? – sibilò furente il mago dagli occhi di brace.

- Sì! – rispose fiero, nere fiamme tumultuose negli occhi.

- Crucio!

- Protego!

La maledizione di Voldemort s'infranse sullo scudo evocato da Piton, attizzando ancor più la sua oscura furia, mentre l'altro, rapidissimo, si spostava di lato parandosi ancora una volta davanti alla maga e proteggendola con lo scudo evocato.

Piton sapeva di star rischiando il tutto per tutto: si augurò di non aver commesso errori di valutazione ritenendo che Voldemort reputasse la sua fedeltà, e i suoi servigi, soprattutto, più importanti della vita di Crystal o del potere che avrebbe potuto esercitare su di lei.

Bacchetta in pugno, ancora una volta gli offrì in pasto la mente mostrandogli la propria determinazione a non cedere, preferendo la morte di Crystal alla perdita del potere assoluto su di lei, capriccio cui non intendeva rinunciare.

Era sicuro che Voldemort capisse bene la sua brama, al posto dell'amore che, invece, dimostrava di non saper comprendere né riconoscere.

- Vale la pena di rischiare di perdere il tuo servitore più fedele, valido e potente, solo per non concedergli un premio che si è ampiamente meritato? – sussurrò mellifluo.

Gli occhi di brace lo scrutarono, colmi d'ira e indecisione, incapaci di accettare l'inattesa insubordinazione che minava il suo potere assoluto.

- Sono certo che la vittoria sia vicina, Mio Signore. - aggiunse con la maggiore deferenza di cui fu capace. – Concedi che questa donna sia solo mia ed io rinuncerò a lei, per servirti fedelmente, fino al giorno in cui la tua supremazia sarà stabilita sul mondo dei maghi. Allora non ti sarò più di alcuna utilità, e potrai permettermi di tornare da lei.

Adagio, Piton abbassò la bacchetta, lasciando che lo scudo di protezione svanisse: doveva lasciar credere a Voldemort d'essere l'unico ad avere il potere di decidere delle loro sorti.

Crystal era dietro di lui, immobile, protetta dal suo corpo: poteva sentirne il respiro contratto dalla paura, ma sapeva che si fidava di lui, nonostante stesse pericolosamente giocando con la sua vita.

Gli occhi di Voldemort erano pozze d'ira infuocate che ancora indagavano nei pensieri del suo servo alla ricerca della verità, ma solo trovavano la più completa determinazione a perdere il proprio trastullo, pur di non doverne cedere e condividere il possesso. E il tarlo del dubbio, di intaccare una fedeltà di ferro, se l'avesse obbligato a piegarsi al suo volere.

E l'Oscuro Signore ancora una volta non colse il disperato amore di Severus Piton per la sua donna.

Adagio si ritrasse dalla sua mente e sibilò piano:

- E sia, Severus: avrai il tuo premio, giacché lo brami fino al punto di sfidare il tuo Padrone.

Piton si concesse appena di respirare, ma rimase immobile, nessuna espressione sul volto cereo.

Voldemort fece cenno a Crystal di avanzare.

La maga s'irrigidì e cercò gli occhi dell'uomo amato per il quale era disposta a tutto: avrebbe obbedito solo a un suo ordine, rafforzando in tal modo la recita condotta fino a quel punto.

Piton strinse la bacchetta nel pugno, sollevandola, ancora pronto a intervenire, ma solo fece un rigido cenno d'assenso con il capo, lasciando che Crystal avanzasse verso Voldemort.

Trattenne il respiro, deciso a tutto, gli occhi penetranti fissi nel rosso luccichio delle iridi di Voldemort, pronto a leggere nella sua mente, prima ancora di sentirlo dalle sue labbra, il destino della sua donna.

E risoluto a modificarlo, quel destino, a qualunque costo, se fosse stato necessario.

- Ti concedo che la schiava, cui tanto tieni, possa restare qui, di tua esclusiva proprietà, senza diventare una mia Mangiamorte. – sibilò infine il destino dal volto serpentesco. - Ma capisci che devo prendere le mie precauzioni, in caso tenti di fuggire.

Mosse appena la bacchetta nell'aria e un piccolo collare luminoso comparve: Voldemort lo diresse verso il collo di Crystal e fece per agganciarlo.

- No!

La bacchetta di Piton bloccò il collare nell'aria: se le avesse avvolto il collo, sarebbe stato di nuovo schiavo dei voleri di Voldemort, perché ancora l'odiato padrone avrebbe potuto disporre della libertà, e della vita, di Crystal.

La maga aprì la bocca e per un attimo temette si dicesse disposta ad accettare l'oltraggio, ma lo scintillio dei suoi occhi, a evidenza, fu un messaggio chiaro a sufficienza e Crystal deglutì, senza pronunciare parola.

- Non è un cane, cui è necessario mettere il guinzaglio! – sibilò indignato, rivolto a Voldemort che li osservava stupito. – Obbedirà a ogni mio ordine senza fiatare!

- Ma tu hai appena rinunciato a lei, non ricordi? – soffiò lento, con subdolo compiacimento.

- Solo finché la tua supremazia non sarà stata imposta sul mondo magico, Mio Signore, ma ciò non significa che nel frattempo sarà tua prigioniera. – rispose irato, la bacchetta di nuovo pronta in pugno. – La mia proposta contempla la sua totale libertà.

- Non riesco a capire per quale motivo sei disposto a obbedire a ogni mio ordine, ma non vuoi che anche lei faccia altrettanto. – chiese Voldemort, in cui lo stupore per l'incomprensibile comportamento del servo aveva ormai superato anche il livello della collera.

- Perché a lei gli ordini posso darli solo io, Mio Signore. – rispose stringendo i pugni, in apparenza in segno di possesso, ma in realtà solo per imporsi di continuare la frase con un'altra ripugnante menzogna. – E' la mia schiava, solo mia! E sono certo che tu puoi ben comprendere il mio sottile piacere in questo completo ed esclusivo potere di tenerla in mia schiavitù.

Di nuovo, il rubino sanguinante delle iridi di Voldemort s'immerse nelle tenebre spossate dei suoi occhi e Piton si chiese se avrebbe ancora avuto la forza di mostrargli immagini vergognose e pensieri che mai lo avevano sfiorato su Crystal, che con tanto rispetto amava.

Era a pezzi, le forze gli mancavano e l'orribile tremito, penoso strascico delle Cruciatus subite, gli torturava ancora i muscoli. Strinse i denti e si preparò ad affrontare la nuova invasione dei suoi pensieri, augurandosi di poter resistere ancora sufficientemente a lungo.

Ma fu solo un istante, un guizzo serpentino tra memorie addomesticate, false immagini ed emozioni contraffatte: lunghi anni di costante allenamento avevano reso la sua mente obbediente a ogni suo volere e pronta a soddisfare i dubbi di Voldemort che si ritrasse quasi subito, rimanendo a osservarlo dubbioso.

Piton non riusciva più a controllare il tremito delle membra: era esausto e sul punto di crollare. Eppure doveva riuscire a portare via di lì Crystal, anche se sapeva di non avere sufficienti forze, neppure per smaterializzare se stesso.

Mosse un passo, oscillando malfermo sulle gambe. La maga fu al suo fianco, a sostenerlo stringendolo a sé, e Severus si sentì quasi rivivere riconoscendo l'amore nei suoi gesti: Crystal non si era lasciata ingannare dalle parole, come Voldemort, e aveva riconosciuto ogni sua disgustosa menzogna, distinguendola dall'amore che aveva sempre brillato nei suoi occhi le rare volte che i loro sguardi si erano incontrati senza che l'Oscuro Signore li vedesse. Ma, forse, anche se li avesse intercettati non avrebbe compreso.

Muro contro muro,

e menzogne che avvolgono la verità.

Tu non puoi capire.

L'amore sfugge al tuo immenso sapere:

ti sfugge il più semplice dei modi

per essere un uomo. [7]

Severus sospirò, il corpo dolorante e la testa che scoppiava, ma un tenue sorriso si affacciò per un fugace attimo sulle labbra sottili mentre s'immergeva nel sogno azzurro degli occhi di Crystal abbandonandosi per un languido istante fra le sue braccia.

Poi, le parole di Voldemort, gelida e tagliente lama sul suo corpo, lo riportarono bruscamente alla realtà:

- Non avevo valutato che il potere t'interessasse così tanto, Severus Piton. – sibilò, insinuante. – Questo fa di te un avversario più temibile del previsto.

Piegarsi ancora al cospetto del mostro era sempre più difficile, ma per portare Crystal via da lì era disposto a tutto. Vacillò un poco mentre si chinava umile in segno di sottomissione e portava un'altra volta alle labbra l'orlo di tenebra della veste di Voldemort.

Poi si rialzò a fatica e lo fissò dritto negli occhi:

- Mio Signore, le tue parole mi offendono. – affermò con il fiero orgoglio del riuscito inganno inciso sul volto ormai esangue. - Io non sono un tuo avversario, ma il tuo più valente e fedele seguace.

Voldemort scrutò con attenzione il viso di Piton, che rimase impassibile, sfidandolo, ben sapendo che nulla, fino a quel momento, poteva destituire di verità le sue affermazioni. La sua forza stava proprio nel fatto che l'infinita arroganza dell'Oscuro Signore lo rendeva sicuro, oltre ogni ammissibile dubbio, d'essere l'indiscusso padrone anche della sua mente.

Inoltre, non riusciva proprio a comprendere l'amore.

Infine Voldemort sibilò:

- Verrà il momento in cui mi proverai la tua fedeltà, Severus, fino in fondo.

- Certo, Mio Signore! – rispose pronto Piton, anche se, ormai, il solo parlare gli costava un penoso sforzo.

- Farò portare la tua schiava in un posto sicuro: intanto ti consiglio di bere qualcuno dei tuoi potenti intrugli, perché hai l'aria di essere sul punto di svenire.

- No!

Dove avesse trovato la forza per opporsi ancora una volta non lo sapeva, ma non gli avrebbe mai permesso di portargli via Crystal.

- No? – ripeté Voldemort, ormai oltre ogni ragionevole stupore.

- No. La porterò via io e la rinchiuderò dove nessuno potrà trovarla, fino al momento in cui potrò tornare a prendere possesso di ciò che mi appartiene.

Un lampo passò negli occhi di Crystal e Severus fu certo avesse compreso dove intendeva portarla: se lo augurò di cuore, perché non avrebbe mai avuto la forza di smaterializzarsi e avrebbe dovuto farlo lei per entrambi.

- Attento, Severus! – minacciò gelido Voldemort. – Una volta tornato, non potrai mai più andare da lei, finché io stesso non te lo permetterò, quando il potere sarà infine nelle mie mani. – concluse in uno sbuffo stizzito.

- Come il Mio Signore ordina. – annuì spossato, piegando il capo.

- E se violi i miei ordini, - minacciò in un sibilo agghiacciante, - troverò la tua schiava, la farò mia davanti ai tuoi occhi e poi la ucciderò!

Piton sospirò: conosceva i rischi che correva, ma ne valeva la pena.

Addio mio Lou le mie lacrime cadono

Non ti rivedrò mai più

Tra noi due mia Lou si erge l'Ombra.[8]

- Sei un uomo troppo intelligente, Severus Piton, per non essere pericoloso, - sussurrò assottigliando gli occhi, il volto serpentino contratto in una smorfia, - anche se non sei un mio avversario!

- Non violerò i tuoi ordini e ti servirò con fedeltà, come ho sempre fatto, Mio Signore. – affermò secco, quindi arretrò di un passo finendo tra le braccia di Crystal che di nuovo lo sostenne. – Ma ho bisogno di tempo per trovare un rifugio adeguato.

- Trenta ore, Severus: dovrai essere qui dopodomani mattina, quando le protezioni notturne della fortezza saranno tolte.

Piton annuì ancora quindi incrociò lo sguardo di Crystal: era certo che la maga sapesse cosa fare e si abbandonò fiducioso tra le braccia che lo sorreggevano.

Un istante, un lampo, un sogno, e il cielo stellato fu sopra di loro: la luna, ormai addormentata, aveva lasciato libero corso alle stelle che avevano trapunto con il loro splendore il manto scuro della notte.

Avrebbero dovuto essere sulla spiaggia davanti alla scogliera su cui sorgeva la casa dalle pareti di cristallo, ma vi erano solo scogli aguzzi intorno a loro. Crystal non ebbe neppure il tempo di temere d'aver sbagliato destinazione nello smaterializzarsi:

- Severus! – gridò, quando cadde in ginocchio davanti a lei, tremante, incapace di reggersi ancora in piedi con le sue sole forze.

Si chinò sul mago semisvenuto, rallentandone la caduta e adagiandolo piano tra gli scogli spruzzati dalle onde, la fialetta con la Pozione Corroborante in mano, prelevata veloce dal suo mantello e già stappata: gliela fece trangugiare con delicatezza, tutta, e attese che riprendesse il respiro mentre osservava con preoccupazione il cadaverico pallore del viso.

- Grazie! – mormorò Severus, a fatica, gli occhi ancora socchiusi.

- Grazie? Tu ringrazi me? – quasi esplose Crystal. - Dopo quello che hai passato per salvarmi, tu mi ringrazi?

- Mi hai portato qui... non ce l'avrei mai fatta... da solo.

- Ti sei quasi lasciato uccidere per proteggermi, per salvarmi! Ti sei umiliato, gli hai permesso di torturati, gli hai mentito oltre ogni limite, hai...

- Ti amo, Crystal! - sussurrò con voce flebile, gli occhi neri cristalli scintillanti d'amore. – Nella mia vita ho perso tutto ciò che di bello abbia mai avuto, ho perso tutto ciò cui tenevo. Ma non tu, - s'interruppe un attimo, la voce sempre più roca, - a te non deve accadere nulla di male, mai! Tu sei il mio tesoro più prezioso e per proteggerti sono disposto a tutto, anche a rinchiuderti in questo scrigno di cristallo, sospeso tra mare e cielo.

Il mago mosse piano la mano nell'aria tersa della notte e, nel tremolio che ne conseguì, dove prima vi era soltanto il nulla, apparve la casa sulla scogliera.

- Il tuo inaccessibile rifugio, amore mio, protetto dall'Incanto Fidelius. Nessuno potrà trovarti, mai, neppure Voldemort! – sussurrò con orgoglio. – Io sono il tuo Custode Segreto.



[1] Ho modificato la traduzione della Salani da "Mezzosangue", termine completamente sbagliato, visto che Piton stesso è un Mezzosangue, in "Sanguemarcio", termine più fedele al "Mudblood" del testo originale inglese.

[2] Estratto da Harry Potter e la Camera dei Segreti, Capitolo 5

[3] Estratto da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban, Capitolo 21

[4] Estratto da Harry Potter e il Calice di Fuoco, Capitolo 27

[5] Estratto da Harry Potter e l'Ordine della Fenice, capitolo 28

[6] Estratto da Harry Potter e l'Ordine della Fenice, capitolo 32

[7] Earendil

[8] Guillome Apollinaire. Dalla raccolta "Poesie a Lou", tratta da: XXII – Di te da lungo tempo non ho più notizie.


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