21. Occhi di brace (REV 2022)
O Signore della Distruzione,
il tuo Messaggero di Morte venne improvvisamente
e mi scortò fin nella corte del grande tuo maniero.
Dinnanzi a me tutto era buio.[1]
La fredda oscurità della fortezza lo avvolse, angosciosa e opprimente, rischiarata solo dall'ondeggiante luce rossastra delle fiamme che serpeggiavano, in minacciosi crepitii, nel grande braciere al centro dell'ampia sala.
Prese un lungo respiro prima di alzare il volto, pallido come non mai, le emozioni seppellite nel fondo di se stesso e gli occhi profondamente neri, impenetrabile schermo di rilucente cristallo.
- Eccomi, mio Signore. – disse con fredda voce indifferente.
La penombra gli impedì di individuare, con una sola e veloce occhiata, i presenti e le loro posizioni: temeva di trovare schierati tutti i Mangiamorte contro di lui, ma c'erano solo due ombre dietro il rosseggiante baluginio delle fiamme.
Una era Crystal, immobile, avvolta in un bianco velo sacrificale.
L'altra era Voldemort, nembo tempestoso denso d'oscurità.
Erano vicine, vicinissime, pericolosamente troppo vicine fra loro.
Il mago rivolse una rapida occhiata dietro di sé: in apparenza erano soli. Avanzò ponendosi a fianco del braciere, un lato di sé in ombra e l'altro illuminato dal fuoco. La mano, sotto il mantello, stringeva spasmodica la bacchetta.
All'improvviso, a un pigro cenno delle lunghe e scheletriche dita di Voldemort, decine di torce si accesero lungo i lati della stanza, bruciando furiose nell'aria e rompendo la minacciosa quiete dell'ombra.
Severus si avvicinò ancora di alcuni passi, adagio, gli occhi fissi sui due, cercando di capire se Crystal era in qualche modo sotto il controllo magico di Voldemort, quindi s'inginocchiò a baciare l'orlo della sua veste di tenebra.
Non era un caso se la maga era là, immobile e costretta al suo fianco: Voldemort sapeva chi era. Illudersi era un'inutile e inconcludente tortura che a poco a poco avrebbe soppresso ogni sua residua speranza.
Il dolore che ho dimenticato
nell'animo sta bruciando,
nelle oscure
spiagge dei sogni.[2]
Il volto di Crystal sembrava sofferente, lo sguardo era spento, velato dal dolore.
Eppure, quando Severus rialzò il viso e incontrò gli occhi della sua donna, per un istante vide un bagliore dorato brillare appena nel cielo cupo.
Il volto pallido del mago rimase impassibile:
- Attendo i tuoi ordini, mio Signore. – disse con deferenza, fissandolo negli occhi che, rossi rubini, sfrigolavano d'ira alle fiamme delle torce.
- I miei ordini, Severus Piton, tu li hai violati. – sibilò piano, quasi senza muovere le labbra sottili che, come una ferita infetta, tagliavano il bianco volto serpentino.
Severus deglutì e strinse i pugni sotto il mantello, la bacchetta sempre salda in mano.
La furia delle crudeli iridi di sangue si rivolse repentina alla maga: una smorfia di dolore contorse il suo bel viso e un gemito di dolore sfuggì dalle labbra contratte senza che Voldemort facesse alcun gesto.
Piton impallidì ma s'impose di restare immobile. Rimanere impassibile era sforzo sovrumano, ma non avrebbe in alcun modo rivelato a Voldemort quanto Crystal fosse importante per lui: non gli avrebbe regalato un'arma così potente.
- L'hai fatta tua, l'hai perfino sposata, Severus Piton, – disse in un gelido sibilo accusatorio, - a mia totale insaputa.
L'Oscuro Signore riprese a fissare Crystal negli occhi, con indifferente intensità: sembrava che il suo perfido sguardo di sangue, mentre cercava di penetrarle nella mente, avesse il potere di infliggerle lancinanti sofferenze. Severus sapeva che la maga possedeva una rara predisposizione naturale per l'Occlumanzia: la vide tremare di dolore, nello sforzo di opporsi all'incursione di Voldemort. Dallo spietato e soddisfatto sorriso disegnato sul piatto volto di serpente, di colpo Severus si rese conto con orrore che, quanto più Crystal si opponeva con successo alla Legilimanzia, Voldemort, tramite qualche oscuro sortilegio, riusciva a trasformare il proprio insuccesso in acuti spasmi che rovesciava contro la maga. Più lei gli resisteva, più soffriva, ma sembrava che, fino a quel momento, Voldemort non fosse ancora riuscito ad abbattere la sua barriera di protezione.
Anche Crystal difendeva strenua l'inestimabile segreto del loro amore.
Severus provò un moto d'orgoglio per il coraggio e la determinazione della sua donna.
Il segreto ci appartiene.
L'ora della prova infine giunge:
ma l'amore ci ha portato troppo oltre,
per tornare indietro,
e nessuno di noi vuole rinunciare. [3]
Poi si sentì morire: da quanto tempo Voldemort la stava torturando?
Era trascorsa quasi un'ora da quando aveva visto il suo sorriso felice sul cristallo nero del medaglione.
Crystal sembrava allo stremo delle forze: vacillò mentre un lungo gemito roco straziava la sua gola.
- No!
Il grido disperato gli sfuggì incontrollato, mentre si slanciava verso la donna amata per proteggerla, per sorreggerla, per frenare la sua caduta.
Una forza brutale lo respinse facendolo ruzzolare all'indietro sulle dure pietre del pavimento. Batté con violenza la spalla e la tempia ma si rialzò rapido, un sottile rivolo di sangue sul lato sinistro della nivea fronte.
Voldemort era intervenuto al suo posto e Crystal si dibatteva impotente nella ferrea presa delle sue braccia.
La maga aveva inutilmente combattuto per difendere un segreto ormai perduto.
Con le mani sempre nascoste sotto il mantello, Severus si conficcò le unghie nei palmi per impedirsi di sbagliare ancora e di urlare a Voldemort di lasciarla, di non osare toccare la sua donna. La bacchetta gli tremò nella mano nell'immenso sforzo di dominare le emozioni, ma il suo volto tornò impassibile, lo sguardo di nero cristallo impenetrabile.
- Allora è vero, Severus: questa donna è davvero tua moglie! – sibilò subdolo il serpente, la soddisfazione mista a sorpresa nella voce.
Il "no" disperato sfuggito alle sue labbra innamorate vedendo Crystal soffrire, sul punto di crollare a terra, lo aveva irrimediabilmente tradito, ma, già da prima, qualcuno li aveva venduti a Voldemort.
Chi poteva essere stato?
Solo Remus e Minerva conoscevano l'amore profondo che lo legava a Crystal.
Ma non riusciva a credere che uno dei due avesse tradito la fiducia riposta in loro.
No, non era possibile.
Poi, subitanea e raggelante, un'intuizione gli squarciò la mente: era stato il funzionario che aveva celebrato il matrimonio. Lui doveva aver rivelato tutto a Voldemort! O, forse, vi era stato costretto.
In quel momento Piton vide l'Oscuro Signore stirare le labbra in un orribile ghigno, pregno di crudele perfidia, e con raccapriccio si rese conto, che, per la prima volta in tanti anni, Voldemort era penetrato a fondo nei suoi pensieri leggendovi la verità.
La verità vera, che fino a quel momento aveva sempre celato alla perfezione.
Il panico l'attanagliò per un breve attimo, mentre il pallore scoloriva ancor più il suo viso: doveva mantenere il controllo di sé e delle sue emozioni, a tutti i costi. La vita di Crystal dipendeva solo da lui: non poteva più permettersi errori. Ne aveva già commessi fin troppi.
Era evidente che Voldemort avesse capito che un legame speciale lo legava a Crystal: negare era inutile. Eppure, l'Oscuro Signore sembrava incredulo e stupito, come se qualcosa di importante gli sfuggisse, come se non riuscisse a comprendere la natura del profondo vincolo, anche se Severus sapeva che lo aveva letto nella sua mente nel fugace istante in cui glielo aveva permesso.
Il mago, infine, si rese conto di "cosa" non quadrava: amava Crystal, ed era disposto a tutto per lei, anche a morire tra mille tormenti, ma l'amore non era un sentimento che Voldemort comprendeva. Né ora né mai!
Gli occhi di brace dardeggiavano ancora nei suoi, feroci e furiosi come non mai: l'Oscuro Signore aveva visto la verità, ma non l'aveva afferrata.
Severus realizzò, agghiacciante ironia della sorte, che pur se era disposto a rivelare la verità a Voldemort, e ammettere l'intenso amore per Crystal, non poteva farlo perché l'Oscuro Signore non gli avrebbe mai creduto.
Sospirò a fondo e osservò Crystal leggendo la disperazione negli occhi stanchi: come poteva salvarla?
Doveva trovare un modo per convincere Voldemort, qualcosa che il Signore dell'Oscurità avrebbe potuto capire.
Un lampo d'intuizione illuminò la mente di Piton mentre Voldemort rimetteva in piedi Crystal e, ancora, con ripetuta e nauseante violenza, cercava di invadere la mente della sua donna che, con ostinato coraggio, ancora una volta si oppose, pur allo stremo delle forze.
Voldemort non riusciva a comprendere l'amore, ma una cosa intendeva benissimo: il potere!
Nei confronti di una donna il potere poteva essere interpretato nel completo possesso carnale, nella totale sottomissione sessuale.
Severus lasciò scorrere lo sguardo, dolce e appassionato, sulla sua donna: possesso carnale era la parola meno indicata per spiegare la relazione che lo legava a lei, ma se solo quello Voldemort era in grado di comprendere, quello gli avrebbe dato, anche se sarebbe stato costretto a violentare i propri profondi e delicati sentimenti nei confronti di Crystal.
Ma non aveva altra scelta.
- Sì, lei è mia moglie, la mia donna, solo mia! – rispose con secca sicurezza dopo un silenzio infinito, avvicinandosi deciso di un passo.
La barriera di Voldemort lo respinse ancora, ma questa volta era preparato all'ostacolo e vacillò appena all'impatto.
L'Oscuro Signore lo guardava con attenzione, riflettendo sul significato delle parole:
- Solo tua?
- Sì. Io sono il suo unico e solo Padrone. – ribadì. – Farla mia moglie è solo una conveniente comodità, fumo negli occhi per gli stolti. – concluse soddisfatto, un ghigno lascivo ad arricciargli le labbra sottili.
Crystal spalancò gli occhi e Severus si augurò comprendesse lo scopo della rivoltante recita.
Voldemort lasciò il braccio della maga, che aveva tenuto stretto con una mano fino a quel momento, e si avvicinò al servo ribelle:
- Severus - sibilò piano, terribilmente minaccioso, - credevo che qui esistesse un solo Padrone.
Gli occhi di brace di nuovo cercarono di penetrare le sue difese, ma il mago sapeva di avere il pieno controllo di sé. Doveva averlo!
Invisibili rostri straziarono con atrocità il suo cuore mentre mostrava a Voldemort le schifose bugie che avrebbero forse potuto salvare la donna amata:
I loro corpi avvinghiati nel sudore di un amplesso infuocato...
Lui che torreggia su Crystal, una frusta tra le mani e la schiena abbronzata della maga striata di sangue...
Gemiti angosciati e sofferenti lamenti, mentre coglie con violenza il proprio piacere, Crystal a carponi davanti a lui, soggiogata ai suoi più turpi desideri...
Per un istante Severus chiuse gli occhi e serrò stretti i denti, fino a farli scricchiolare; poi sibilò, un maligno sorriso a deturpargli il volto pallido, mentre sempre più a fondo lacerava il cuore:
- Lei è la mia schiava!
Lacrime di fuoco bruciarono i suoi occhi, che a Voldemort dovevano apparire spiritati e smaniosi, atti a dipingere una bestia immonda che godeva nel possedere con dolorosa violenza una donna inerme.
Una preda che doveva essere rigorosamente solo sua.
Il fuoco ardeva anche nell'aria che respirava: con quale coraggio avrebbe potuto guardare ancora il cielo azzurro degli occhi di Crystal, dopo quelle ributtanti parole?
Eppure, la maga lo conosceva bene, sapeva quale intenso e delicato amore nutriva per lei, e che mai, mai avrebbe potuto mancarle di rispetto o procurarle dolore!
Severus si aggrappò angosciato a questo dolce e potente pensiero e lo nascose nel profondo della mente, lontano dai baluginanti occhi di Voldemort, ben protetto dall'orrore delle menzogne che gli stava rifilando.
Ma non cercò gli occhi della sua donna: sarebbe crollato davanti al suo sguardo, ai dubbi che avrebbe potuto trovarvi.
Si concentrò sulle iridi di brace, sull'odio verso il mago che l'aveva ridotto in schiavitù. Sotto il mantello, la mano continuava a stringere spasmodica la bacchetta.
All'improvviso Voldemort si ritirò dalla sua mente: Piton oscillò per un attimo, libero dall'invasiva presenza, ma rimase a fissarlo, immobile, il volto pallido da far paura, gli occhi neri e brucianti e uno strano sorriso a stirargli le labbra sottili.
Finché Voldemort era occupato a frugare nella sua mente, la sua adorata Crystal era al sicuro: non avrebbe dovuto opporsi a Voldemort e, quindi, lui non avrebbe potuto continuare a torturarla.
Doveva trovare un modo per interrompere il crudele tormento, ora che aveva un'idea precisa del sortilegio che lo operava.
Solo, avrebbe prima dovuto avere il coraggio di guardarla negli occhi.
- Voglio marchiare la tua donna, Severus!
La voce acuta di Voldemort graffiò il silenzio, rubando un battito al cuore del mago e mozzandogli il respiro. Il pallore del suo viso si fece, se possibile, più intenso.
- Perché io, io solo, sono il Padrone!
No, quello no!
Non l'odiato marchio sulla pelle delicata di Crystal!
Non il vincolo di schiavitù, non la catena che, dopo tanti anni, ancora lo avvinceva, giogo maledetto, al padrone che aveva con coraggioso orgoglio ripudiato.
- No!
Di nuovo l'urlo era nato dal profondo del suo cuore, insopprimibile, a difesa del suo amore.
Finalmente trovò il coraggio per guardare nel cielo dei suoi occhi: era tremendamente provata, ma l'amore brillava nitido, senza nubi a oscurarlo, così come la piena fiducia in lui.
Per un istante fiamme nere avvamparono nelle iridi del mago, piene d'amore e d'orgoglio per la sua bellissima e coraggiosa Crystal che, nonostante ogni contraria apparenza, continuava sempre a credere in lui e ad affidargli la vita.
Distolse lo sguardo per fissarlo ancora, con rinnovata forza, in quello crudele e sanguigno di Voldemort:
- No! Lei è solo mia e non diventerà mai una tua Mangiamorte!
L'ira brillò incontrollata negli occhi del mago oscuro che puntò la bacchetta:
- Crucio!
Un impercettibile sorriso ammorbidì le labbra di Severus, mentre si ripiegava su se stesso, sferzato dall'intenso tormento della maledizione, la bacchetta sempre salda in mano: fintanto che Voldemort se la prendeva con lui, la maga avrebbe avuto requie.
La sua splendida Crystal, la sua insostituibile compagna, la donna per la quale era disposto a tutto, non solo aveva stoicamente sopportato le torture di Voldemort, ma non si era lasciata ingannare dalle terribili parole da lui stesso pronunciate: Crystal lo amava e aveva compreso la ripugnante simulazione.
Il lancinante spasmo della Cruciatus bruciò in profondità ogni fibra del suo corpo: nessuno riusciva a concentrare tanto dolore in pochi istanti come sapeva fare l'Oscuro Signore. E in quel momento era davvero furioso: un suo servo aveva osato contrapporsi a lui sul piano che, più di ogni altro, gli premeva. Il potere.
A fatica, Severus riuscì a riporre la bacchetta nel mantello, ben protetta: se Voldemort avesse continuato a torturarlo a lungo, alla fine il prezioso legno sarebbe sfuggito alla sua stretta e non poteva permetterselo.
Ormai si trovava in ginocchio, senza più fiato, e l'Oscuro Signore incombeva spaventoso su di lui, nero demonio dagli occhi di brace, che crudele gioiva dell'atroce strazio che gli stava infliggendo. Gli puntò ancora contro la bacchetta:
- Io sono il tuo Padrone!
Le parole piombarono sul mago, strali lancinanti che lo schiacciarono al suolo, lame infuocate che incisero a fondo la sua carne, illusione ottica che diventava sofferente realtà, ferite che si aprivano in profondità per rimarginarsi con lancinanti spasmi pochi istanti dopo.
Severus riconobbe la maledizione cui Voldemort l'aveva già sottoposto anni prima, quando era tornato portandogli in dono una falsa fedeltà: una tremenda punizione alla quale, senza l'aiuto di Silente, non sarebbe mai sopravvissuto perché, quella volta, le ferite non si rimarginavano affatto da sole e aveva rischiato di morire dissanguato.
- No!
Questa volta era stata Crystal a urlare, terrorizzata dal sangue che sgorgava copioso dalle ferite di Severus, ma che pochi secondi dopo svaniva nell'aria in sbuffi di acre fumo nero, strappandogli intensi gemiti di dolore.
Si slanciò verso il suo uomo e gli sostenne il capo per impedire che battesse ancora sui lastroni di pietra grezza del pavimento, sconvolta dalla feroce magia che Voldemort aveva spietatamente sovrapposto alla Cruciatus.
I loro occhi s'incontrarono ancora, dolore e amore a intrecciarsi, luce e tenebre a confondersi, ognuno disposto a tutto per la salvezza dell'altro.
Severus sorrise appena, il volto pallido e sudato contratto dalla sofferenza, mentre con facilità leggeva amore e fiducia nella mente di Crystal che Voldemort non era ancora riuscito a violare, ma che lei gli offriva.
Fu solo l'impulso d'un istante, il desiderio intenso che Crystal non soffrisse più, l'offerta del proprio dolore in cambio dell'amore che lei gli donava e Voldemort non riusciva a comprendere.
Severus individuò l'aggancio magico che permetteva all'Oscuro Signore di punire dolorosamente il rifiuto di Crystal all'accesso ai propri pensieri e pose il suo amore, invalicabile baluardo, a riflettere e deviare verso se stesso il maleficio di Voldemort: il potente mago non era in grado di contemplare l'amore, quindi non avrebbe potuto capire in che modo aveva modificato l'oscuro sortilegio.
- Ma che schiava affezionata! – li canzonò maligno. – Scommetto che è disposta a offrirmi il suo braccio, purché io smetta di torturare il suo Padrone!
Crystal lo osservò con disprezzo, poi si alzò di scatto liberando il braccio sinistro dai soffici veli del virgineo abito:
- Eccolo! – enunciò con enfasi, protendendolo con aria di sfida.
La gelida risata di Voldemort, tagliente e offensiva, ferì le orecchie di Piton, mentre la bacchetta dell'Oscuro descriveva un elegante cerchio nell'aria e ogni tortura cessò all'improvviso.
Severus si risollevò a fatica da terra, il corpo dolente e tremante, poi, con un movimento inaspettatamente rapido dopo il supplizio subito, spinto solo dalla propria disperata determinazione, si frappose tra lui e Crystal, la bacchetta levata contro il suo signore di un tempo.
- No, non la marchierai! – affermò fiero, sul volto il pallore della morte.
Ancora, la risata sprezzante del Signore dell'Oscurità graffiò l'aria fredda illuminata dalle fiamme vorticanti delle torce, mentre Piton vacillava, stremato dalle torture appena subite:
- La tua schiava si è offerta a me, spontaneamente, Severus! Perché non dovrei accontentarla? – chiese minaccioso, - Visto che tu neppure riesci a reggerti in piedi?
- Severus! – lo implorò Crystal.
Lo sguardo nero di Piton fulminò la maga, quindi si rivolse a Voldemort, stringendo la bacchetta, senza paura:
- No! Lei è mia e non ti permetterò di esercitare lo Ius possessio Mangiamortis!
Voldemort sorrise inclinando un poco il capo, sottilmente divertito:
- Eppure, tu stesso ti sei assoggettato al mio predominio, a suo tempo, come tutti gli altri miei servi.
Gli occhi di Piton scintillarono pericolosamente e la bacchetta vibrò nella mano.
Indifferente, l'Oscuro Signore si avvicinò e sibilò piano, quasi sensuale:
- Mi offristi il tuo fresco e prestante corpo, come un bravo schiavo sottomesso, – sussurrò passandosi la lingua sulle labbra sottili, appena increspate da un irridente sorriso, - e anche la tua bocca, al mio semplice comando, ha accolto golosa il seme della mia supremazia, affinché la tua mente fosse fecondata dalle mie idee!
Piton rabbrividì al ricordo di quella lunga notte orribile, quando il Marchio, per la prima volta, aveva bruciato in profondità la sua carne e il giovane Severus aveva dovuto piegarsi agli osceni voleri di Voldemort, come un burattino senza altra volontà se non quella di compiacere il perverso padrone; fino ad arrivare a offrirgli anche il sangue innocente che mai, prima d'allora, aveva macchiato le sue mani, levato in alto in un brindisi immondo, più volte ripetuto; finché non si era sentito soffocare dalla vergogna di se stesso, e tardive e inutili lacrime erano sgorgate dagli occhi neri che, infine, erano riusciti a mostrargli il baratro in cui di sua volontà era sprofondato.
Ghermito m'hai dall'intrico
dell'edera, mano straniera?
M'ero appoggiato alla vasca
viscida, l'aria era nera,
solo una vena d'onice tremava
nel fondo, quale stelo alla burrasca.
Ma la mano non si distolse,
nel buio si fece più diaccia
e la pioggia che si disciolse
sui miei capelli, sui tuoi
d'allora, troppo tenui, troppo lisci,
frugava tenace la traccia
in me seppellita da un cumulo,
da un monte di sabbia che avevo
in cuore ammassato per giungere
a soffocar la tua voce,
a spingerla in giù, dentro il breve
cerchio che tutto trasforma,
raspava, portava all'aperto
con l'ombra delle pianelle
sul fango indurito, la scheggia,
la fibra della tua croce
in polpa marcia di vecchie
putrelle schiantate, il sorriso
di teschio che a noi si frappose
quando la Ruota minacciosa apparve
tra riflessi d'aurora, e fatti sangue
i petali del pesco su me scesero
e con essi
il tuo artiglio, come ora.[4]
No, Crystal non avrebbe mai subito l'oltraggiosa profanazione, né sarebbe stata costretta a recidere una vita innocente a sangue freddo e ad arrivare a odiare se stessa: l'avrebbe impedito, a costo d'ucciderla con le sue stesse mani, se prima non fosse riuscito a distruggere Voldemort!
Arretrò di un passo, fino ad afferrarle la mano e a stringergliela forte: la senti tremare dietro di sé, inorridita da quanto appreso, e ancor di più si vergognò di quel suo lontano, tremendo errore, per il quale ancora stava pagando l'esorbitante prezzo.
- Tu sei solo un mio schiavo, Severus Piton, proprio come allora, e non puoi opporti al mio volere! – sibilò Voldemort, la bacchetta mollemente rilasciata lungo il fianco.
- No! – gridò ancora Piton, fiero, gli occhi neri fiammeggianti alla luce delle torce, angelo caduto ma non ancora sconfitto. – Io non sono un tuo schiavo! Non lo sono mai stato!
Avere ciascuno di noi la bocca libera dal bavaglio!
Sentire oggi e ogni giorno che io basto come sono.
Oh, qualcosa di mai provato! Qualcosa di simile all'estasi!
Sfuggire del tutto a ogni ancora e a ogni presa!
Andare libero! Amare libero! Precipitarsi incauto, pericoloso!
Corteggiare la distruzione con sarcasmi, con inviti!
Ascendere, saltare verso i cieli dell'amore indicati a me!
Salire sin lassù con la mia anima inebriata!
Perdermi se così deve essere!
Nutrire il resto della mia vita con un'ora di pienezza e di libertà!
Con un'ora breve di pazzia e gioia![5]
Il suo orgoglio, e l'amore per Crystal, l'avevano spinto a ribellarsi apertamente al suo padrone di un tempo e a gridare la verità.
Ma non era ancora giunto il momento di scoprirsi.
Riprese il dominio di sé e di nuovo s'impose, inflessibile, un odioso controllo: si prostrò umile davanti a colui che ancora doveva continuare a credere d'essere il suo signore, come in un maledetto tempo lontano, breve eppure infinito, quando quella era stata l'orrida realtà.
Il tempo delle sue imperdonabili colpe, che ancora lo incatenavano all'Oscuro Signore.
Il tempo in cui le sue mani si erano ricoperte di sangue innocente.
Voldemort non doveva dubitare della sua fedeltà, altrimenti il sacrificio di Silente sarebbe stato vano.
Abbassò la bacchetta e chinò il capo mordendosi feroce le labbra e, violentando ancora una volta se stesso e il proprio orgoglio, di nuovo si preparò a mentirgli.
Con lenta e sofferta deferenza, per la seconda volta baciò l'orlo della veste del Signore dell'Oscurità e sollevò adagio il viso, il cristallo nero dei suoi occhi pronto a fronteggiare e respingere la brace infuocata delle iridi di Voldemort:
- Io ho scelto di seguirti di mia volontà, Mio Signore, allora come adesso. - affermò rinnegando se stesso. – Non è il Marchio impresso sul mio braccio che m'incatena a te, ma la mia consapevole scelta, che anche tre anni fa ho voluto replicare.
Come nella notte in cui era stato marchiato, quando il sangue della sua prima vittima, con il quale era stato obbligato a brindare, lo aveva strozzato, anche adesso Severus si sentiva soffocare dalle proprie bugie e dalla tremenda consapevolezza che Crystal stava assistendo all'immonda recita.
- Obbedirò fedele a ogni tuo ordine e combatterò fino alla morte per i tuoi ideali, ma io sono un uomo libero, e tale deve essere la mia donna. – affermò infine con enfasi, in una menzogna che si trasformava in orgogliosa verità.
Voldemort rimase a lungo a fissarlo, più sospettoso che mai.
Piton gli offrì la propria mente, ricordi, pensieri ed emozioni, tutto minuziosamente predisposto per l'inganno che anni perpetrava ai danni di un mago che confidava troppo in se stesso, e nelle proprie capacità di Legilimante, per ammettere che qualcuno fosse in grado di contrastare il potere della sua magia.
Severus aveva sacrificato gli anni migliori della propria esistenza a quello scopo, per pagare il debito delle sue colpe e lenire almeno un poco i rimorsi, per vendicarsi dell'uomo che aveva corrotto, con il suo tenebroso potere, l'innocenza di un giovane deluso dalla vita, ma troppo ambizioso per fermarsi davanti al pericoloso potere insito nelle Arti Oscure. Il giovane Severus aveva teso le mani verso le fiamme dell'inferno e si era irrimediabilmente bruciato.
Scelte
che incatenano per sempre,
e nessuna fuga per sfuggire a se stessi.
La vera prigione
siamo noi stessi,
ma tu non mi piegherai. [6]
I lancinanti rimorsi, il dolore per tutto ciò che aveva perduto e l'odio per Voldemort gli avevano insegnato a disciplinare la mente e a piegarla al proprio volere, come un libro dalle pagine bianche sul quale poteva scrivere e riscrivere a piacimento, cancellando le umane emozioni e sostituendole con schifose falsità.
Anche se, ogni volta che rinnegava una parte della sua umanità, gli sembrava perderla per sempre, e sentiva la maschera della sua folle recita inchiodarsi dolorosamente sempre più a fondo sul volto.
Voldemort lo fissava con sguardo acuto, il sospetto serpeggiante negli occhi di brace, ancora non fugato nella chiara consapevolezza che un uomo, nella sua libertà di pensiero, può essere ben più temibile di uno schiavo.
Piton si rese all'improvviso conto che l'Oscuro Signore cominciava a valutare l'assurda eventualità che qualcuno potesse mentirgli: glielo leggeva nelle rosse iridi dilatate nello sbalordimento dell'impossibile.
Doveva tentare il tutto per tutto: non poteva permettere a Voldemort di soffermarsi razionalmente su un sospetto che avrebbe potuto condurlo alla svolta vincente. Se l'arrogante mago avesse cominciato a dubitare della propria potenza di Legilimante, non avrebbe più potuto utilizzare l'arma dell'Occlumanzia per mentirgli impunito.
Sarebbe stata la fine della sua carriera di spia.
E la fine della sua vita.
Non aveva altra scelta.
Prese un lungo respiro e si preparò a scatenare l'ira furiosa di Voldemort, augurandosi di riuscire a sopravvivere e, soprattutto, che quel pazzo se la prendesse solo con lui, dimenticando Crystal.
- Mio Signore, i tuoi dubbi sulla mia fedeltà mi offendono. – asserì altero. – Non ti ho mai mentito e ti ho sempre consentito il pieno accesso alla mia mente. Ma, se voglio, - lo sfidò in un sibilo minaccioso, - sono in grado di respingerti.
L'Oscuro Signore lo guardò allibito, incredulo che qualcuno avesse il coraggio di sfidarlo. Poi, quando Piton dalle parole passò ai fatti e lo respinse con violenza, escludendolo risoluto dalla mente, barcollò all'indietro, spinto dall'energia che l'altro gli aveva riversato contro.
Piton era pallidissimo, ma sulle sue labbra sottili, impercettibile, aleggiava un sorriso di scherno.
La reazione di Voldemort, però, lo sbalordì: si aspettava che cercasse in ogni modo di penetrargli ancora nella mente, con inaudita violenza, ma non accadde nulla.
L'Oscuro Signore lo fissò di nuovo con occhi di brace e ricambiò il sorriso, che si allargò malvagio sul viso:
- Conosco fin troppo bene la tua mente, Severus. – disse in un minaccioso sussurro. – Quindi mi divertirò a devastare quella della tua donna!
Con un guizzo serpentino sollevò la bacchetta puntandola contro Crystal:
- Legilimens!
Piton vide la maga irrigidirsi, decisa a contrastare ancora una volta l'incursione di Voldemort nella mente e pronta a sopportare l'intenso dolore che ne sarebbe derivato.
Non accadde nulla.
Severus sorrise, orgoglioso, mentre l'atroce ondata di sofferenza lo raggiungeva al posto di Crystal: non era riuscito ad annullare il sortilegio di Voldemort, ma lo aveva deviato su di sé, con completo successo, liberando la donna che amava.
Voldemort fissava la maga con sguardo penetrante, la bacchetta rigida tra le mani, cercando senza successo di violarle la mente. Crystal fissava invece il mago dagli scintillanti occhi neri, affascinata dall'incredibile sorriso che, per qualche istante ancora, rimase aggrappato ostinato alle sue labbra sottili, prima che l'incontrollabile smorfia di dolore le contraesse facendolo svanire nel diffuso pallore del viso, ripetutamente provato dalle sevizie subite.
Nel fugace battito di ciglia, che celò le impetuose fiamme nere degli occhi di Severus, la maga comprese tutto: l'angoscia contrasse i bei lineamenti lasciando che, per un attimo, Voldemort la scambiasse per dolore.
- Continua a resistergli. – sillabò il mago senza che alcun suono uscisse dalle labbra.
Gli occhi della maga si dilatarono appena e Severus, nello sguardo turbato, nel cielo grigio colmo di paura ma, anche, di determinazione a resistere, colse tutto l'infinito amore della sua donna.
Con tenace sforzo le sorrise ancora, con amore, cercando di tranquillizzarla, accarezzandola con le dolci fiamme nere delle sue iridi, ma di nuovo, caparbio, ribadì il silenzioso ordine impartito.
L'amore negli occhi della sua donna sembrava schermarlo dal dolore, mentre Crystal, obbediente e rassegnata, eseguiva l'ordine stringendo forte i pugni, quasi le fosse più difficile resistere a Voldemort adesso che a soffrire era l'uomo amato.
Di colpo Voldemort si girò, un furore incontrollato negli occhi iniettati di sangue: aveva compreso che Crystal non era più soggiogata al suo sortilegio.
Di nuovo la sua bacchetta guizzò nell'aria, diretta verso la maga, alla ricerca della vendetta, ma Severus era pronto, la bacchetta già levata:
- Protego! – urlò, e uno scintillante scudo respinse il lampo di luce esploso dalla bacchetta di Voldemort, mantenendo indenne Crystal.
- Crucio!
Non ebbe tempo per proteggere anche se stesso e una nuova ondata di lancinante sofferenza lo investi, sostituendosi a quella che solo da pochi istanti lo aveva abbandonato: era più possente, fuoco liquido che gli invadeva vene e arterie sommergendogli il corpo in un crescendo di ardenti spasmi.
Piton aveva già provato l'ira di fuoco dell'Oscuro Signore[7], in una notte in cui voleva solo morire.
Ma ora voleva vivere, e salvare Crystal!
In un attimo si ritrovò in ginocchio e la bacchetta rotolò a terra, fuori dalla sua portata: si ripiegò su se stesso mentre la mente di Voldemort di nuovo premeva con furia contro la barriera eretta a baluardo della sua incursione e che, come occlumantica difesa di base, non poteva durare a lungo contro la furibonda potenza dell'altro, pronto a distruggere la mente di un uomo pur di appropriarsi dei suoi segreti.
Aveva a disposizione pochi istanti per organizzare le vere difese, frutto della sua rara maestria ai livelli più elevati dell'arte dell'Occlumanzia, ma lo straziante dolore avrebbe giocato a suo favore, producendo uno stato confusionale che, per primo, si sarebbe opposto a Voldemort nel momento in cui la barriera protettiva sarebbe crollata sotto i furiosi colpi d'ariete dell'altro: avrebbe rallentato un po' la penetrante incursione che, con la forza devastante di un treno lanciato alla massima velocità, sarebbe avvenuta a quel punto nella sua mente, spazzando via ogni cosa.
Severus poteva contare su lunghi anni di estenuante e ossessivo allenamento e su una ferrea volontà, ma sapeva anche di non poter bloccare subito Voldemort, lanciato nella distruttiva invasione: si preparò a dargli in pasto alcuni ricordi, intimamente veri, di cui l'altro si sarebbe cibato con avidità quando gli avrebbe infine permesso di entrare nella mente. Memorie da sacrificare, che potevano davvero dare all'Oscuro Signore l'impressione che il suo servo gli fosse sempre stato fedele.
Aveva bisogno della pura verità, per costringere il suo padrone di un tempo a credergli ancora e, con consapevole orrore, Severus sapeva che tale ripugnante verità esisteva nel passato dannato dal quale sembrava non riuscire mai a liberarsi.
[1]Tagore – Tratta da "Ali della morte".
[2]Tagore, tratto da "Sfulingo".
[3]Earendil
[4]Eugenio Montale. Da "La bufera e altro", Parte V, Silvae: "Ezekiel, saw the wheel...".
[5]Walt Whitman. Dalla raccolta "Figli di Adamo": Un'ora per la pazzia e per la gioia.
[6]Earendil
[7]Vedi "Luci e ombre del Cristallo" nella parte finale del capitolo 20 – Nell'anima lacerata del mostro.
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