18. Riflesso di stelle(REV 2022)

Severus rimase tra le braccia di Crystal, mentre la maga lo stringeva a sé e accarezzandogli i lunghi capelli neri che in parte gli adombravano il viso. Teneva le palpebre chiuse strette, e i pugni serrati, imponendosi di riprendere il controllo di sé e non cedere alle lacrime.

Non era in quella stanza che voleva piangere, non sarebbe servito a nulla: era sulla tomba di Albus che, alfine, voleva lasciare andare le sue lacrime.

Ma Hogwarts gli era preclusa.

O, per lo meno, fino a quel momento lo era stata.

Ma, forse, Minerva poteva esaudire il suo desiderio.

Doveva provare.

Rilassò adagio i muscoli tesi del corpo, si staccò da Crystal e raddrizzò le spalle rivolgendosi a lei con voce sommessa.

- Ho una preghiera da rivolgerti, Minerva, una cosa molto importante per me.

La maga si protese verso di lui ed esclamò, disponibile:

- Dimmi, Severus: farò tutto ciò che posso!

- Io vorrei... non ho mai potuto farlo, - sospirò piano, - vorrei... inginocchiarmi davanti alla sua tomba. – chiese accorato.

Minerva spalancò gli occhi: non avrebbe dovuto sorprendersi, non dopo ciò che aveva appena scoperto. La richiesta del mago, però, la colse impreparata. Sembrava anche difficile da esaudire, così rispose, incerta:

- E' pericoloso, Severus! Nessuno deve vederti, e neppure sospettare che tu sia lì.

Sollevò lo sguardo cercando Remus per avere il suo aiuto.

- Possiamo trovare il modo: un incanto di dissimulazione, oppure uno oscurante. – abbozzò Lupin.

- Potrei chiedere a Harry il Mantello dell'Invisibilità. – propose Minerva.

- Niente Mantello. – intervenne Severus, secco. – Un Obnubilius andrà benissimo. Posso lanciarlo io stesso, dalla Foresta fino alla sponda sul lago, - aggiunse rivolto a Remus, - magari con il tuo aiuto, visto che lo spazio da coprire è grande e l'incantesimo deve reggere per un certo tempo.

Lupin annuì con sicurezza.

- Questa notte stessa? – incalzò Severus, impaziente.

Minerva annuì, comprensiva. Gli occhi di Piton scintillavano come avesse la febbre: la maga non lo aveva mai visto così turbato e incapace di mantenere il solito gelido e impassibile atteggiamento.

- Ora, però, devo andare. – rispose, a disagio. – Rafforzerò le ronde di controllo per evitare che studenti troppo esuberanti decidano di fare qualche puntata non autorizzata verso il lago, questa notte. – spiegò, cercando di giustificarsi. – Ci rivediamo stasera.

Ma rimase immobile, incapace di andarsene, restando a fissare il mago che desiderava infine piangere sulla tomba dell'uomo che aveva dovuto uccidere.

Avrebbe voluto stringerlo a sé in un materno abbraccio, ma temeva rifiutasse l'intimo contatto, come poco prima aveva sottratto le mani alla sua stretta.

Quel giorno aveva scoperto molte cose su Severus Piton, soprattutto la sua incredibile capacità di indossare perennemente una maschera d'impassibilità per celare la sua intensa umanità.

Ma quella maschera si era incrinata davanti a lei, pochi minuti prima, e le lacrime di Severus, piccoli, brillanti stendardi della sua colpevolezza, le avevano rivelato tutta l'umana sofferenza che il mago imprigionava dietro lo scintillante cristallo nero degli occhi.

Sembrava che Severus si fidasse solo di Crystal, e solo a lei permettesse di superare ogni barriera protettiva e condividere la sua sofferenza.

Ma il coraggio del mago, che per mesi aveva considerato solo uno sporco vigliacco, l'aveva toccata nel profondo, così come lo straziante dolore, così facile da leggere adesso nei lineamenti tesi del volto pallido.

Mormorò solo, in un soffio rapido e leggero:

- Grazie per aver aiutato Albus a morire.

E si smaterializzò.

Severus rimase immobile a fissare il punto in cui Minerva era scomparsa, fino a quando un rumore lo riscosse: Lupin stava salutando Crystal e si apprestava ad andarsene.

I loro sguardi si incrociarono per un istante, negli occhi di Severus una muta richiesta che l'altro colse subito.

- Vai da lei, Remus! – lo esortò

- Non intendo lasciarla sola, non temere! So quanto è forte il dolore di Minerva per la perdita di Albus.

- Nessuno lo supponeva, – mormorò Severus. – ma avevano un rapporto più stretto di quanto chiunque immaginasse.

- Già, - constatò stanco Remus, - proprio come nessuno poteva immaginare il forte legame tra te e Silente.

Un sorriso amaro incurvò le labbra sottili di Severus, che sussurrò piano, quasi parlando tra sé:

- A volte veniva da me, la sera, per bersi un bicchiere di whisky. Minerva glielo aveva proibito, impartendo rigide disposizioni affinché gli elfi glielo negassero sempre. – scrollò un poco il capo, il sorriso a addolcirsi al ricordo. – Ma io glielo distillavo personalmente con i miei alambicchi e lui affermava che era il migliore mai bevuto!

Remus sorrise e gli appoggiò appena una mano sulla spalla, prima di smaterializzarsi per raggiungere Minerva.

Erano rimasti soli.

Crystal allungò il braccio e gli afferrò la mano, stringendogliela. Severus ricambiò la stretta traendola verso di sé e indirizzandola quindi verso il divano:

- Siediti: finisco di sistemare i libri.

Un'affermazione che non accettava replica.

La maga obbedì e si sedette, rassegnata: non se ne sarebbe andato finché tutti i libri non fossero stati riparati con amorevole cura dalle sue stesse mani, e non avrebbe mai accettato aiuto.

Lo vide inginocchiarsi piano sul pavimento, le dita ad accarezzare le pagine calpestate, gli occhi a riconoscere il libro cui appartenevano e la sua magia a ricomporre parole di arcani incanti spezzati dalla inutile furia indagatrice degli Auror.

Fu un lungo lavoro assolto in perfetto silenzio e con totale dedizione, la schiena piegata sulle uniche cose che aveva amato in quella casa da quando i suoi genitori erano morti.

*

Quell'anno l'inverno sembrava non finire mai: a marzo inoltrato, la neve era di nuovo scesa abbondante imbiancando le torri di Hogwarts. Il prato che digradava verso il lago era una candida distesa uniforme, scintillante sotto la falce di luna.

La tomba di Albus Silente, bianca nel bianco, si distingueva appena, anche se qualcuno aveva badato a tenerla sgombra dalla nivea coltre.

Una leggera nebbiolina uscì dagli alberi della Foresta Proibita, in folate successive, e si dispose lenta a semicerchio, guidata con perizia dalle bacchette dei maghi, fino a sottrarre la Tomba Bianca, e il lago alle sue spalle, alla vista degli abitanti del castello.

Solo le persone rimaste al limitare della Foresta, protette dalla folta ombra degli alberi, avevano la visuale libera sulla sponda del lago che, tremulo, rifletteva il luminoso spicchio di luna.

Una figura scura si staccò dalle ombre e avanzò con passo risoluto nella nebbia, il lungo mantello nero, dai panneggi profondi, solenni e austeri, drappeggiato elegante alle sue spalle a sfiorare la neve in una languida carezza.

Davanti a Piton, a separarlo dalla tomba di Silente, vi era solo un bianco manto di neve incontaminata: gli sembrava un delitto calpestarne l'innocente candore, proprio lui, anima nera e perduta. Così estrasse la bacchetta e liberò il cammino, aprendo uno stretto sentiero davanti a sé. Al ritorno avrebbe rimesso tutto a posto, cancellando ogni traccia del passaggio e lasciando di nuovo la neve immacolata, come doveva essere.

Nell'avvicinarsi, il passo rallentò, il cuore ad aumentare i battiti.

Giunse alla tomba e per un lungo momento rimase immobile, il mantello sollevato da un'improvvisa folata di vento, figura scura stagliata nella bianca luce lunare, ombra nera a rompere la candida nitidezza della compatta coltre di neve che brillava nella notte.

Per un attimo si strinse nell'ampia cappa nera, rabbrividendo, sentendosi estraneo all'immacolato biancore, respinto dalla barriera di purezza che circondava la Tomba Bianca.

Il Nero incede verso il Bianco,

ma nulla contamina la nera purezza.

La vita che mi hai chiesto

è la morte che mi hai dato.[1]

Una musica soave si diffuse nell'aria tersa: sorta dal nulla, melodia tenue e armoniosa, pianto e sorriso insieme, per accompagnarlo e sospingerlo.

Adagio mosse gli ultimi passi e, piano, s'inginocchiò a lato del tumulo posando la mano, pallida e sottile, sul freddo marmo bianco. Fu una lunga, intensa carezza: percorse le nervature chiare della lapide fino a raggiungere le lettere dorate del nome. Le dita tremarono appena, mentre le sfiorava delicate e un sussurro accorato sgorgò dalle labbra:

- Albus!

La musica era cessata e solo il silenzio dei ricordi avvolgeva il mago nel buio della notte.

Tremendi ricordi di un verde lampo di morte nato nelle sue mani, figlio d'un padre troppo stimato per non rispettarne il fatale ordine.

Strinse i denti e deglutì.

Sospirò.

Si morse le labbra e, ancora, solo il nome ne uscì, sussurro d'addolorato affetto:

- Albus!

Un'implorazione, come se il vecchio preside avesse mai potuto rispondergli.

- Ti voglio bene.

La musica riprese, dovunque nell'aria, dolcissima e struggente, sorriso d'un padre per lo straziante coraggio del figlio, sincero affetto per una vita non voluta ma accettata per dovere.

Solo per dovere.

La musica, gentile nell'aria, sembrava sussurrare il suo nome.

E ancora sono il prodigo che ascolta

dal silenzio il suo nome,

quando chiamano i morti.

Ed è morte

uno spazio nel cuore.[2]

Severus alzò gli occhi, stelle nere ravvivate da lacrime di profondo affetto per l'uomo che aveva saputo essere un padre.

Nella lontana volta celeste gli astri parvero sorridergli, luminosi e benevoli come gli occhi di Silente, incoraggianti come il suo sereno sorriso. L'intero firmamento era riflesso nelle profonde tenebre degli occhi del mago, nel dolore intenso e struggente che illuminava e purificava la sua anima, nelle lacrime che, splendenti, brillavano sul volto pallido, ancora caparbiamente trattenute dalle ciglia corvine.

- Ho fatto ciò che mi hai chiesto... tutto. Ma non puoi immaginare quanto mi sia costato. La tua voce, là sulla torre, il tuo sguardo, - sussurrò roco, - la fiducia nei tuoi occhi, solo per me, mentre mi chiedevi l'impossibile... ed io l'ho fatto... solo per te!

Un gemito sfuggì dalle labbra sottili del mago che si ripiegò su se stesso, oppresso da una sofferenza impossibile da arginare:

- Il sorriso orgoglioso d'un padre che solo io potevo vedere... e lo strazio infinito nel cuore mentre puntavo la bacchetta su di te, richiamando un odio che in me non esisteva più... che non volevo esistesse ancora!

La musica s'interruppe, l'accorato silenzio a rimarcare l'angosciante pena.

Anche il mago si arrestò ancora, per un lungo sospiro, la lacrima a rigargli lenta il viso scavato.

- Ma voglio ringraziarti, Albus, per la vita che non volevo e mi obbligasti ad accettare. – la voce gli tremò appena. - Per la speranza d'un futuro che mi donasti con il tuo sacrificio e per l'amore di Crystal: l'hai spinto tra le mie braccia, regalandomi una felicità che non sapevo neppure potesse esistere!

L'ombra di un sorriso aleggiò sul viso di Piton mentre, inconsapevole ma con infinita delicatezza, continuava a carezzare le lettere dorate del nome di Albus.

La melodia riprese all'improvviso, più forte e vicina, intensa e appassionata, avvolgente e calda come un abbraccio, ammiccante come il sorriso d'un vecchio canuto e testardo che gli aveva sempre voluto bene.

All'improvviso un'ombra passò davanti alla luna, una, due, tre volte, in lenti e larghi cerchi concentrici che sempre più si stringevano.

Tra gli alberi della Foresta le tre figure si mossero e Minerva indicò il cielo, gridando allarmata:

- Fanny!

La fenice di Silente stava scendendo in picchiata su Piton, quale folgore vermiglia pronta ad abbattersi sull'assassino del suo padrone, alla ricerca di una tardiva vendetta.

Ma, all'ultimo momento, Fanny raddrizzò la testa dalle lucenti piume dorate e spalancò le ali dall'intenso piumaggio rosso, planando con delicata precisione sulla tomba di Silente.

Piton rimase immobile, senza ritrarre la mano: la Fenice lo fissò per un lungo istante con gli acuti occhietti neri, quindi zampettò sul marmo raschiandolo leggermente con gli artigli dorati e inclinò un poco la testa davanti a lui, in un buffo inchino, per poi avvicinarsi alla sua spalla e appoggiarvi il capo dorato, richiudendo le ali.

Il mago sollevò la mano dal nome di Albus e le lisciò le piume in una lenta e sicura carezza.

Minerva, sul limitare della Foresta, rimase a bocca aperta: non solo Fanny non aveva attaccato Severus, ma gli stava tributando gli omaggi riservati solo al suo padrone. Era come se anche la fenice conoscesse la verità e, in quel momento, attestasse l'innocenza di Piton scegliendolo come nuovo padrone.

Il mago si rialzò in piedi, Fanny a strofinare il capo sul dorso della mano abbandonata lungo il fianco:

- Ti ho odiato, Albus, a lungo e intensamente, per ciò che mi costrinsi a fare, per la devastante disperazione in cui quel gesto obbligato mi scagliò. Ti ho odiato, quasi quanto me stesso per averti ubbidito. Ti ho odiato, Albus, perché per la terza volta mi hai rimandato da lui e ho creduto che sarebbe stato per sempre, fino alla mia dannazione.

Severus socchiuse le palpebre e sospirò:

- Troppe volte ho temuto di non farcela a continuare a vivere nell'inferno cui mi avevi condannato, mentre la morte mi circondava ed io stesso, ancora, tragica maschera impassibile, dovevo versare altro sangue innocente. Ho violentato a fondo la mia anima, per farlo, Albus, e ti ho odiato quasi quanto ti ho voluto bene. Mi sono chiesto molte volte se ti eri mai reso davvero conto quale tremenda tortura sarebbero stati per me quei giorni, settimane e mesi fra i Mangiamorte, costretto a brindare sghignazzando al tuo assassinio, obbligato ancora a essere ciò che tanti anni fa avevo rinnegato con tutto me stesso. – il mago serrò stretti gli occhi e strinse forte i pugni. - Ma tu lo sapevi, Albus, avevi pianificato tutto. Immaginavi la mia lancinante sofferenza, gli insopportabili rimorsi che, miracolosa panacea, avrebbero sanato le lacerazioni della mia anima, restituendomela dolorosamente integra, come quando il mio braccio ancora non portava il marchio dell'odiato signore dell'oscurità!

L'angoscia distorceva i lineamenti del mago e Fanny riprese a cantare dolce per lui, strofinandogli di nuovo il capo sul dorso della mano. La melodia delle note si diffuse nell'aria e Severus cominciò a rilassare il corpo irrigidito. Tornò a inginocchiarsi e ancora sfiorò piano il marmo con la punta delle dita:

- Non ti chiederò perdono, Albus. Non lo farò. Perché tu mi perdoneresti. – sussurrò sospirando. – Lo hai già fatto, sorridendomi sereno. Ma io, ad ogni modo, nonostante tutto, no, io non riesco a perdonarmi. Non per averti ucciso, - aggiunse a fatica, mordendosi piano le labbra e scrollando il capo, - perché ti ho solo maledettamente ubbidito... ma per non essere riuscito a salvarti!

Il mago strinse di colpo il pugno e Fanny smise di cantare, arretrando irrequieta dalla parte opposta.

- Sai cosa mi sono sempre chiesto, Albus, e che più di ogni altra cosa mi fa sentire colpevole per la tua morte? Tu lo sai, vero? L'hai sempre saputo! Mi lasciasti solo a cercare una soluzione per la maledizione della tua mano, perché tu quella soluzione non volevi trovarla. – sussurrò accorato, il pugno stretto a far sbiancare le nocche. - Perché la tua guarigione, a causa del Voto che avevo stretto, poteva solo significare la mia morte. Perché tu lo sapevi benissimo che, se solo fossi riuscito a debellare il sortilegio mortale, mai e poi mai avrei obbedito all'ordine di ucciderti. Mai!

Gli occhi di Severus erano tenebra scintillante di dolore e rimorso: in loro vi era la totale consapevolezza che solo un suo errore di valutazione, davanti alla follia sfegatata di Bellatrix e alle materne lacrime di Narcissa, l'aveva spinto a giurare la morte di Silente e, poi, gli aveva impedito di salvare la vita all'unica persona che credeva totalmente in lui.

- Hai voluto morire, Albus, hai scelto fin dall'inizio di non lottare, di non provare nemmeno a cercare un rimedio: hai subito deciso di salvare la mia vita sacrificando la tua! – gridò il mago, la voce incrinata dalla certezza della propria colpa.

Fanny si era di nuovo avvicinata e lo fissava con il vivido sguardo nero: inclinò un poco il capo dorato, gli occhi sempre più lucidi di umana comprensione e riprese a cantare con struggente leggiadria. Era una melodia d'amore, era il canto di chi muore per dare la vita e in quel gesto generoso vive per sempre. Era il sorriso sereno di Albus Silente, il cielo azzurro dei suoi occhi, la quieta sicurezza della sua voce, la decisione inflessibile della sua mente.

Era la risposta che Severus attendeva, la condanna e il perdono, l'affetto intenso di un padre e l'ordine spietato di un condottiero.

Era Albus Silente, era la voce della speranza che non poteva morire, risorta con lui uscendo dalle fiamme dell'inferno in cui aveva vissuto per tanti mesi.

Un'altra lacrima scese lenta sul volto pallido di Severus, piccola gemma d'iridescente cristallo illuminata dalla luna.

- Ma avevi ragione tu, Albus, come sempre. Ho fatto ciò che volevi, tutto ciò che volevi. Ho usato la vita che mi donasti per fare il mio dovere, fino in fondo, come continuerò a fare finché sarà necessario, disposto a pagare qualsiasi prezzo per ricambiare il valore della tua vita e pagare le mie colpe. – sussurrò, un lieve sorriso a addolcirgli i lineamenti ancora contorti da strazianti ricordi. – Ma infine ho impiegato quella vita anche per imparare a essere felice, con la mia Crystal. Proprio come volevi per me, come continuavi a ripetermi che, prima o poi, anch'io avrei avuto il diritto d'essere felice.

La melodia di Fanny si fece tenue, incanto di note appena accennate nell'aria, sorriso d'un padre per la gioia del figlio.

Il mago lasciò sfuggire un ultimo breve sospiro dalle labbra sottili, appena dischiuse:

- E per questo, Albus, per il sogno che hai reso realtà, non potrò mai ringraziarti abbastanza!

La lacrima infine scese dal pallido viso, gonfia d'amore, riflesso di stella scintillante nella notte: volò nell'aria, leggera, seguita dagli occhi acuti di Fanny, fino ad adagiarsi vicino alla "A", brillante cristallo per sempre incastonato nel nome, dolore che diventa gioia, ricordo d'un sorriso sereno, omaggio d'un figlio che non è più solo e non dimenticherà mai.

Il mago si rialzò piano, tenebra di sofferenza intimamente integrata nel candore d'innocenza. Sollevò il braccio destro e lo piegò con il gomito in fuori: Fanny spiccò un breve volo e vi si appollaiò. Severus rivolse un ultimo sguardo alla Tomba Bianca, un tenue sorriso sul volto stanco, e sussurrò:

- Grazie, Albus!

Quindi si diresse adagio verso la folta ombra della Foresta, cancellando dietro di sé ogni traccia di passaggio. Crystal gli corse incontro e Fanny si ritrasse con un fischio risentito quando Severus la strinse forse a sé, affondando il viso nei lunghi riccioli biondi. La fenice attese per un attimo, sospesa nell'aria, infine, vedendo che il mago stava languidamente baciando la sua donna, indifferente alle sue sonore proteste, si rassegnò ad appollaiarsi su un basso ramo sporgente.

Minerva osservava la scena allibita: da quasi nove mesi la fenice era sempre rimasta vicina alla tomba di Silente, senza lasciarsi avvicinare da nessuno né dando confidenza ad alcuno. Quando l'aveva vista lanciarsi su Severus, aveva temuto volesse attaccarlo, poi era rimasta stupita dalla riverenza con la quale Fanny si era rivolta al mago: mai e poi mai avrebbe immaginato che l'altezzosa fenice avrebbe accondisceso a utilizzare il braccio di Severus come trespolo e, tanto meno, a essere poi bruscamente spodestata da Crystal.

L'abbraccio dei due innamorati si protraeva e Severus stringeva stretta a sé la maga, gli occhi chiusi e un sorriso appena accennato sulle labbra: sembrava voler stemperare il dolore dei ricordi in quell'amore così vivo e reale, così disperatamente essenziale per lui.

La stringeva come avesse timore di perderla da un momento all'altro, come se la sua vita dipendesse solo da quell'abbraccio, e null'altro fosse più importante di quell'intimo e sospirato contatto.

*

Minerva era rimasta sola: Severus e Crystal si erano smaterializzati, teneramente abbracciati, e Fanny era scomparsa con loro, dopo aver rivolto un ultimo breve canto di saluto al suo vecchio padrone.

L'anziana maga aveva convinto anche Remus ad andarsene, promettendogli che sarebbe subito tornata al castello.

Invece era rimasta lì, nel buio freddo e luminoso della notte, la nebbiolina magica ormai dissolta: voleva parlare con Albus.

Lo aveva già fatto altre volte, per sfogarsi, per dirgli quanto le mancava, per piangere lacrime che nessuno doveva vedere.

Ma quella notte, ora che sapeva la verità, voleva proprio dirgliene quattro.

Con passo deciso si diresse alla tomba, aprendosi la strada nella neve con la bacchetta: si sedette sul bordo e cominciò a parlare con tono rigidamente impettito.

- Si può sapere perché non mi hai mai detto nulla, Albus?

Era decisa a fargli una bella ramanzina, come ai vecchi tempi, quando quel mago così serio, eppure bizzarramente folle, il deciso comandante dell'Ordine, ma al tempo stesso il vecchietto incosciente, ne combinava come al solito una delle sue.

Ma lo sguardo cadde sulle lettere dorate del nome: qualcosa brillava con intensità, qualcosa che prima non c'era.

La riconobbe subito: la scintillante lacrima pianta da un figlio sulla tomba del padre. Offerta d'amore e di dolore a ricambiare una vita donata con il sorriso sulle labbra.

Riflesso di stelle azzurre in una lacrima di cristallo nero.

L'anziana maga scosse piano il capo e mormorò:

- Oh Albus! Credevo di aver sofferto più di chiunque altro per la tua morte... fin quando non ho visto quel povero ragazzo! Come hai potuto... come hai potuto chiedergli d'ucciderti e poi lasciarlo solo con la sua devastante angoscia, e pretendere che ancora compisse il suo orrendo dovere in mezzo ai Mangiamorte, resistendo alle spietate incursioni di Voldemort nella sua mente? Sei stato orribilmente crudele con lui, Albus, l'hai spinto oltre ogni umano limite.

Minerva s'interruppe un attimo per asciugarsi le lacrime, quindi proseguì:

- Tu lo sapevi, lo sapevi quanto bene ti voleva, che eri come un padre per lui... e anche tu gli volevi bene! So anche questo, Albus, maledizione, perché non mi hai raccontato anche il resto? Perché hai lasciato che odiassi Severus così a lungo, quando lui aveva un infinito bisogno di affetto mentre si dibatteva in tutto quell'odio? Perché, Albus, perché?

*

Severus stringeva a sé Crystal, lasciando libero sfogo alle lacrime che, silenziose, scivolavano sulle guance fino a bagnare il cuscino.

Fuori, nella notte che lenta si trasformava in alba, Fanny cantava nel bosco e leniva il dolore del mago.

*

La maga lasciò scivolare sulle spalle l'elegante cappuccio di pelliccia, rivelando i lunghi capelli, biondissimi e lisci, quindi si gettò tra le sue braccia che l'accolsero rispettose:

- Ti prego, Severus, dimmi che è vero, che puoi salvarlo, sottraendolo per sempre all'influenza dell'Oscuro Signore!

Piton annuì, serio e teso, gli occhi socchiusi, una profonda fessura nera fissa negli occhi di ghiaccio dell'altro mago:

- Tutto dipende solo da Lucius: non posso farlo senza la sua collaborazione e, fino ad ora, non mi ha ancora assicurato il suo consenso.

Narcissa si rivolse al marito, gli occhi azzurri lucidi di lacrime a stento trattenute:

- E' nostro figlio, Lucius! E' più importante di qualsiasi orgoglio di famiglia, siano i Malfoy o i Black!

Lucius sospirò, rigido, senza rispondere.

- E' solo quello che vuole Draco! – insistette Narcissa, assillante. - Non vuole essere schiavo dell'Oscuro Signore per tutta la vita: lui non vuole essere marchiato!

- Così, mio figlio non vuole seguire il cammino che io intrapresi. – precisò Lucius con voce controllata, guardando fisso davanti a sé il mago dai capelli corvini che gli offriva la libertà del figlio all'inaccettabile prezzo della sua definitiva perdita.

- Draco non è un assassino, lo sappiamo tutti fin troppo bene. – rispose Piton sostenendo fiero il suo sguardo glaciale. – Non imporgli una scelta impossibile, Lucius, non obbligarlo a diventare ciò che non è e non potrà mai essere, solo per dimostrare che ama suo padre. L'ho visto quella notte sulla torre. - spiegò sospirando. - Non è come me, o come te: non sa uccidere, e non imparerà mai!

Un lampo di luce attraversò la nera profondità delle iridi del mago:

- Per questo l'ho fatto io, al suo posto.

- E per salvare la sua anima. – aggiunse Narcissa, con voce tremante, gli occhi bassi e le lacrime a rigarle le guance.

Lucius la fulminò, ma poi sospirò e sussurrò appena:

- Grazie, Severus.

- Ti vuole bene, Lucius: sei suo padre, e lo sarai per sempre, anche di là di ogni insormontabile barriera.

Piton vide Narcissa rabbrividire e stringere i piccoli pugni: in quel momento seppe con certezza che anche lei, se solo avesse potuto, sarebbe passata al di là di quel confine che, al momento, le sembrava insuperabile. I loro occhi s'incontrarono per un breve istante, cielo luminoso e notte cupa.

Nulla sfuggì agli occhi di ghiaccio di Malfoy che, solo, proferì:

- Fai ciò che è meglio per mio figlio, Severus: ti assicuro il mio completo appoggio, - la voce s'incrinò appena, mentre il ghiaccio degli occhi rimaneva orgogliosamente fisso nelle profonde tenebre dell'altro, - e la mia riconoscenza.

Severus non sapeva quanto poteva fidarsi di Lucius, soprattutto adesso che si trovava in così grossa difficoltà con il suo padrone, quindi aveva sempre cercato di scoprirsi quanto meno possibile: non aveva idea di cosa Malfoy avrebbe fatto una volta che il suo rampollo fosse stato in salvo.

Avrebbe anche potuto freddamente decidere di venderlo all'Oscuro Signore, per quanto ne sapeva, per recuperare almeno parte della considerazione che avrebbe perduto se mai fosse stato scoperto dov'era finito Draco.

Ma Severus teneva al ragazzo, moltissimo.

Proprio per questo motivo, le ultime parole di Lucius, che andavano a costituire l'inatteso ringraziamento, l'avevano piacevolmente sorpreso.

Ma il suo pallido volto, impassibile, non lasciò trapelare nulla.

Ancora non poteva permetterselo.



1] Earendil

[2] Salvatore Quasimodo. Dalla raccolta "Ed è subito sera – Oboe sommerso", tratta da "Fresche di fiumi in sonno".

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