16. Non sono un codardo! (REV 2022)

L'incontro con Minerva era fissato nella sua malandata casa di Spinner's End.

Lupin aveva assicurato che Auror e Ordine ormai non la tenevano più sotto controllo e si era occupato di rimuovere gli allarmi magici: era un posto sicuro per il loro incontro e Remus aveva già fatto rapporto positivo dopo la preliminare visita di controllo.

Severus sospirò e strinse a sé Crystal: dovevano smaterializzarsi insieme perché lei non conosceva il luogo di destinazione, eppure non riusciva a decidersi a farlo.

Il pensiero di rivedere Minerva lo agitava. Aveva imparato a volerle bene durante i lunghi anni di insegnamento a Hogwarts, ed erano diventati amici: entrambi rigidi e severi, ordinati e controllati si fidavano l'uno dell'altra.

E lui l'aveva orribilmente tradita, uccidendo Albus.

Sapeva quanto bene Minerva volesse al vecchio preside ed era certo che nessuno avesse sofferto quanto lei per la sua perdita. L'anziana maga sapeva controllare bene le emozioni, ma Severus era certo che nei suoi occhi verdi avrebbe scorto ancora odio verso l'ignobile assassino.

Si morse un labbro e strinse ancora di più a sé Crystal, che, paziente, attendeva la smaterializzazione. Non gli avrebbe chiesto nulla, né gli avrebbe messo fretta: percepiva il suo turbamento.

Si disse che aveva imparato da anni a sfidare l'astio nello sguardo altrui, che aveva fatto di tutto per farsi odiare, persino dagli allievi, e ci era sempre riuscito, con innata facilità.

Io amo sui miei passi far ogni dì più rari

i saluti e i sorrisi, e con gioia mi dico

a ciascun che ne perdo: - Ecco un altro nemico!

... ... ...

Dispiacer mi piace, dell'odio mi diletto!

Se tu sapessi come s'incede più gagliardi

sotto il fuoco di fila dei malevoli sguardi;

quali sul giustacuore, quali macchie gentili

fan gl'invidi il fiele e la bava dei vili!

... ... ...

Me l'odio senza posa fascia il collo, e mi appresta

il rigido colare che tiene alta la testa;

cresce una crespa ad ogni nemico, al cui passaggio

mi s'aggiunge una pena, ma mi s'aggiunge un raggio;

ché, simile al colare spagnuol, se il collo spinge

come una gogna, l'Odio anche di un nimbo cinge![1]

Ma l'odio e il rimprovero, proprio nel suo sguardo severo, lo avrebbe ferito, gli avrebbe fatto male, nel profondo.

Erano diventati amici con il lento trascorrere del tempo, ma lei era anche rimasta la sua vecchia insegnante, della quale aveva sempre cercato l'approvazione per ricevere ora, invece, la peggiore delle accuse: essere un vigliacco.

Remus gli aveva spiegato tutto, mentre Crystal gli stringeva forte la mano e lui guardava fisso davanti a sé, vedendo solo le torri di Hogwarts e il sole che tramontava traendo riflessi d'ambra sulle acque calme del lago.

Severus chiuse gli occhi e affondò il viso nei morbidi riccioli dorati di Crystal, aspirandone il profumo. Lupin gli aveva riferito i pensieri di Minerva, gli stessi che già la maga gli aveva rivelato, l'accusa infamante che l'aveva spinta, per la seconda volta, a fuggire in Africa: Severus aveva ucciso Silente, cui voleva bene, solo per salvare la propria vita minacciata dal Voto Infrangibile contratto con Narcissa. Severus, forse, non era un traditore ma, di sicuro, era un viscido codardo.

Poi, la preziosa informazione, che aveva salvato la vita ai membri dell'Ordine, aveva all'improvviso cambiato una situazione stabile da mesi: un vigliacco non avrebbe mai corso il rischio di fare l'orribile fine riservata da Voldemort a chi osava tradirlo e Minerva aveva infine ascoltato le quiete e chiare spiegazioni di Remus e, dopo qualche giorno, gli aveva comunicato di voler incontrare Severus.

Lasciò scorrere le mani sulla schiena di Crystal, risalendo verso le spalle, fino al viso che sollevò verso di sé, stringendolo piano fra le dita: aveva bisogno d'immergersi nei suoi occhi, di vedere la luce della speranza, di sapere che c'era chi lo amava, nonostante tutto.

La maga gli sorrise, stringendosi a lui e sussurrò:

- Non temere, anche lei capirà. E tornerà a volerti bene.

Il mago socchiuse gli occhi stringendo lieve il labbro inferiore tra i denti e sospirò piano: era proprio quello che aveva bisogno di sentirsi dire, l'incoraggiamento necessario, la speranza che non avrebbe mai osato esprimere e Crystal, come sempre, l'aveva fatto per lui.

Con il pollice le sfiorò le labbra, sorridendole per ringraziarla d'esistere. Infine la baciò, un lungo bacio colmo di delicata passione, in cui i suoi timori si stemperarono nel sicuro ottimismo di lei.

Ancora un breve sospiro e si smaterializzò portandola con sé.

*

Si era materializzato all'interno della casa, con Crystal stretta tra le braccia e la bacchetta levata, salda in pugno, pronto a reagire a qualsiasi pericolo.

Era pronto a tutto, ma non a quello che vide.

Intorno a lui la stanza mostrava la furia del passaggio degli Auror: il divano era sventrato, una poltrona aperta in due e l'altra rovesciata, il tavolino ribaltato e la porta-libreria, divelta dai cardini, ingombrava il passaggio verso le scale.

Molti libri erano stati estratti dalla libreria e accatastati in disordine sui ripiani o gettati a terra: diversi erano rotti, le pagine strappate e sparse un po' dovunque sul pavimento, come un tappeto di foglie morte.

Severus aveva lasciato Crystal e osservava il disastro, dandosi dello stupido per non averlo previsto: era logico, era un assassino e traditore e gli Auror avevano cercato anche lì le prove della sua evidente colpevolezza.

Provò una stretta al cuore: non gli importava nulla della casa, che aveva sempre odiato, fin da bambino: l'unica cosa di cui gli importava erano i suoi amati libri.

Ma c'era un altro luogo che, invece, amava profondamente. Socchiuse gli occhi per un istante e rabbrividì, immaginando il suo sotterraneo, il suo studio, tutte le sue cose, i libri rari, le antiche pergamene, le pericolose pozioni, gli introvabili ingredienti: tutto nello stesso penoso stato di sfacelo.

Sospirò e strinse i denti, quindi riaprì gli occhi.

Adagio si chinò a raccogliere un libro e la vicina risma di pagine che gli era stata strappata, alla ricerca di chissà quale indizio o, forse, solo per spregio. Rimase a lungo in ginocchio, muto, raccogliendo i suoi libri e ricomponendoli, con amorevole cura, lisciando le pagine spiegazzate e accarezzando le copertine con dita attente e leggere.

Crystal lo osservava, impotente: ne percepiva il profondo dolore, ma sapeva di non poter fare nulla per Severus. Era certa che il mago, se solo avesse voluto, avrebbe potuto sistemare tutto con pochi colpi di bacchetta magica. Ma lui amava quei libri e solo il suo dolente e faticoso impegno, là per terra, curvo sul pavimento come un penitente, poteva restituire alle sue cose la dignità loro sottratta.

Aveva usato la magia solo per riattaccare i pezzi delle pagine strappate, ma non aveva usato la bacchetta e il potere magico era scaturito direttamente dalle sue dita che con delicatezza sfioravano le laceranti ferite inferte alla fragile carta che conservava così bene i suoi segreti: erano libri di pozioni e incantesimi, ma anche di storia della magia. E libri di poesie Babbane, con le loro struggenti liriche d'amore e di dolore.

Severus aveva raccolto buona parte dei testi al centro della stanza, e li aveva amorevolmente rimessi al loro posto nella libreria, quando Lupin si materializzò per annunciare con anticipo, come concordato, l'arrivo di Minerva.

Gli bastò uno sguardo al viso di Severus, pallido e tirato, le labbra sottili strettamente serrate e i lunghi capelli neri in parte ad adombrargli gli occhi, per intuire l'addolorata amarezza e si reputò un cinico insensibile per non averne previsto la reazione: era già stato lì a controllare che non ci fossero pericoli e avrebbe potuto mettere un po' d'ordine impedendo che l'altro vedesse con quale disprezzo erano stati trattate le sue cose.

L'espressione del viso di Crystal ribadì in modo chiaro l'accusa e Lupin farfugliò scuse:

- Mi dispiace Severus... gli Auror cercavano...

Gli occhi del mago erano tenebre profonde e gli congelarono le parole sulle labbra: Remus rimase immobile a osservarlo mentre estraeva la bacchetta e, con pochi e secchi colpi, rimetteva a posto divano e poltrone, tavolino e porta divelta, ma non i libri che, in parte, ancora rimanevano a terra. Quelli no, erano stati gli unici amici che gli erano stati vicini quando aveva abitato nella casa: li avrebbe raccolti con le sue mani, a uno a uno, rendendo loro l'onore di compagni caduti in battaglia.

Minerva stava arrivando: al centro della stanza il pavimento era sgombro e divano e poltrone avevano una parvenza di decenza. Arretrò di un passo, avvicinandosi a Crystal che era sempre rimasta vicina alla libreria, e qualcosa scricchiolò sotto le scarpe in un rumore di cristalli infranti.

Si bloccò irrigidendosi e socchiuse gli occhi: sul ripiano basso della libreria c'era stato un set di provette di diverse misure, con alcune beute e ampolle. Strinse forte i pugni, finché le mani di Crystal non arrivarono ad avvolgerli nelle sue. Riaprì gli occhi, neri di rassegnato dolore, e le permise di trascinarlo via, verso il divano, mentre sussurrava pianissimo:

- Non importa, non è mai stata questa la mia vera casa...

Crystal ebbe una stretta al cuore: sapeva che Severus considerava solo Hogwarts la sua vera casa e lei c'era stata, nel suo studio nel sotterraneo, per recuperare il candido violino, e le condizioni in cui si trovava quella stanza, che Severus non chiamava casa, erano nulla rispetto al desolante sfacelo del suo studio e del suo appartamento. Si ripromise di sistemare tutto, prima che Severus potesse mai vedere quella rovina e mantenne basso lo sguardo, affinché non potesse intuire nulla dall'espressione del suo viso.

Non piangere la rovina:

farò in modo di ricostruirti,

perché insieme sarà facile andare oltre.

Una promessa che non s'infrange,

un voto che risuona di amore,

quando ogni altra luce sembra spenta. [2]

Rimasero in silenzio, in piedi, nei pochi minuti che mancavano all'arrivo di Minerva.

E restarono in silenzio anche quando la vecchia insegnante si materializzò nella stanza, Severus con le mani strette sullo schienale della poltrona, Crystal al suo fianco e Lupin di fronte, vicino al divano.

Minerva lo guardò, gli occhi verdi, leggermente annacquati dall'età ma sempre penetranti, fissi solo su Severus e una strana espressione mutevole sul viso: un misto di paura e speranza, di odio e affetto, di delusione e ammirazione.

Il mago resse lo sguardo, il pallido volto come sempre impassibile in uno sforzo supremo, ma le sue dita artigliarono la stoffa della poltrona.

- A differenza d'altri non ho mai creduto che tu ci avessi tradito, Severus, – affermò Minerva traendo un lungo e doloroso sospiro, - ma non ho potuto pensare altro che fossi uno schifoso codardo, disposto a uccidere il tuo migliore amico per salvare te stesso. – La voce le tremò e s'interruppe un istante, infine continuò, decisa. – Ma hai salvato la vita a tutti noi, con la tua informazione: sono qui affinché tu mi convinca che ho sbagliato a crederti vigliacco.

Severus era immobile e sembrava non respirare: le parole dell'insegnante e il tono della sua voce gli avevano confermato tutto il dolore e la delusione provati a causa del suo gesto.

Ma Minerva voleva ancora avere fiducia in lui, era lì perché gli aveva voluto bene, perché non voleva rassegnarsi a odiarlo.

Il mago deglutì, poi trasse un lungo respiro e rilasciò la tensione nelle mani, smettendo di stritolare convulso lo schienale della poltrona; cominciò a parlare, la voce bassissima, solo un sussurro e le chiese:

- Ricordi cosa accadde la notte in cui Voldemort tornò?

Minerva sbatté gli occhi poi li spalancò, fissi nei suoi, tenebre scintillanti:

- Hagrid ti riportò al castello, ma solo il pomeriggio seguente, quando ormai Albus disperava che tornassi: temeva che Voldemort ti avesse ucciso. – rispose con voce soffocata. – Ti aveva trovato nella Foresta Proibita, più morto che vivo: eri stato torturato con crudele ferocia.

Crystal sussultò, ma Severus annuì rigido e chiese, la voce atona:

- Sai perché mi torturò in quel modo, fin quasi a uccidermi?

Le labbra di Minerva tremarono al ricordo.

Severus giaceva rannicchiato sul letto, il corpo magro scosso da un orribile tremito e diverse ferite, ancora sanguinanti, disseminate ovunque; Il respiro era un rantolo sofferente, le labbra lacerate strette fra i denti a soffocare ogni lamento e gli occhi neri spalancati, dilatati ed enormi nel volto esangue.

Silente si affannava intorno a lui, apprensivo, la bacchetta che seguiva lenta il profilo spigoloso del mago: cercava di individuare le maledizioni che gli avevano causato le profonde ferite che, non solo non si rimarginavano, ma se ne aprivano di continuo altre, sul povero corpo già tanto martoriato.

Ogni tanto Albus interrompeva l'indagine e puntava la bacchetta su un punto preciso del corpo di Piton, proprio nel momento in cui una nuova piaga si apriva, e pronunciava con forza un incantesimo per contrastarla, sconosciuto a Minerva.

Il preside si chinò sul mago sofferente per fargli sorbire un altro abbondante sorso di pozione Corroborante e colse appena un sussurro:

- E' un Vulneris Infligere Sempra: è molto potente, ma ha detto che tra qualche ora l'effetto si esaurirà da solo.

Albus annuì sospirando:

- E' più potente di quel che pensi, Severus: si esaurirà prima il tuo sangue, se non tengo il sortilegio sotto controllo.

Minerva osservava inorridita, torcendosi le mani, impotente di fronte alla maledizione che stava lentamente e dolorosamente uccidendo il mago: doveva aver utilizzato le ultime energie per materializzarsi nella Foresta Proibita e poi trascinarsi verso la capanna di Hagrid.

- Non puoi proprio fare nulla per lui? – chiese con voce resa acuta dall'angoscia.

- Solo restargli vicino e bloccare il sangue delle nuove ferite affinché non muoia dissanguato, – spiegò rassegnato, – attendendo che il maleficio si esaurisca da sé: non posso né annullarlo né attenuarlo. – rispose desolato puntando rapido la bacchetta sulla nuova piaga che si era aperta per cicatrizzarla al meglio.

Il corpo di Severus fu scosso da un altro profondo tremito, doloroso ricordo della Cruciatus da poco subita, e si mosse con uno spasmo involontario sulle lenzuola, ormai impregnate di sangue: era debolissimo, ma si ostinò a parlare, a fatica.

- C'è l'ho fatta, Albus, l'ho ingannato!

A Minerva parve impossibile, eppure, sul viso esangue e distorto dalla sofferenza di Severus brillava un sorriso tirato, innegabilmente pieno d'orgoglio.

- Ne ero certo, ragazzo mio, lo sai! – sussurrò il vecchio mago ponendogli con dolcezza la mano sul capo. – Altrimenti non ti avrei mai rimandato da lui!

Gli occhi azzurri di Silente erano lucidi di commozione mentre guardava con affetto il coraggioso mago che aveva inviato dal risorto Voldemort a rischiare una morte orribile.

Sì chinò, avvicinandosi al suo viso e chiese:

- Com'è?

- Più forte e potente di quanto ricordassi. – sussurrò in un penoso sospiro.

- E i suoi Mangiamorte?

- Sempre tanti... troppi! – rispose con una smorfia di disprezzo.

Silente sbuffò stizzito e tornò a bloccare il sangue che sgorgava da una nuova ferita.

Minerva prese il suo posto, vicino al mago, per dargli un altro sorso di pozione Corroborante, poi gli deterse delicata la fronte, imperlata di sudore: doveva avere la febbre alta e, forse proprio per quello, i suoi occhi neri brillavano.

Oppure, era un altro il motivo dello scintillio.

- Sei riuscito a riconoscerli, nonostante la maschera? – chiese di nuovo Silente, secco.

- Quasi tutti.

- Harry ha quindi visto bene, per i nomi che ha riferito?

Severus annuì, lasciandosi sfuggire un altro penoso gemito dalle sottili labbra contratte.

- Albus! Ma lo devi interrogare proprio ora? Non vedi che non riesce neppure a respirare?

Silente la fissò, gelido, e rispose duro:

- Devo sapere, ora! E' troppo importante per la causa.

Quindi si rivolse di nuovo a Piton:

- E le mie precise supposizioni?

Severus esitò solo un attimo, come per radunare le forze residue per rispondere, mentre un gemito di dolore accompagnò l'apertura di una nuova lacerazione sulla spalla, la fuoriuscita del sangue ancora bloccata con prontezza dalla bacchetta di Silente.

- Credo siano esatte: è fin troppo sicuro di sé! – mormorò con un filo di voce, un rivolo di sangue che gli scendeva sul mento.

- Dobbiamo trovarli! – esclamò Silente con grave determinazione.

Severus annuì, un lamento sofferente di nuovo a sfuggirgli dalle labbra contratte: sembrava sul punto di perdere conoscenza, eppure, continuava a fissare Silente con un orgoglioso scintillio negli occhi neri.

Minerva fissò con riprovazione il preside, sempre più stupita dal comportamento così poco umano nei confronti dell'altro.

- Albus! – lo richiamò ancora. – Lascia in pace questo povero ragazzo e cerchiamo di aiutarlo! – esclamò con forza.

Silente la ignorò e si rivolse di nuovo a Piton, fissandolo negli occhi:

- Sei sicuro di averlo convinto? – chiese con lenta gravità.

- Non sarei vivo, altrimenti. – rispose, un gemito soffocato a sfuggirgli dalle labbra insieme alle parole.

- Fino in fondo? – chiese il preside con voce bassa, serissimo.

- No, ancora dubita. Questa è la punizione inflitta per farmi capire da che parte devo stare. – sospirò. – Allo stesso tempo, mi rimanda a te sotto l'effetto di questa maledizione, da tutti creduta mortale, lasciandoti l'illusione d'avermi salvato la vita, – spiegò con una smorfia di dolore, – ma con il chiaro messaggio che, come tua spia, sono ormai bruciato perché lui non mi ha creduto.

Quest'ultima lunga frase sembrò aver consumato ogni briciolo di energia: Severus si accasciò sul letto e chiuse gli occhi con uno straziante gemito, un nuovo lungo tremito a scuotergli le membra.

Ma Silente continuò, imperterrito e spietato:

- E la tua mente?

Severus riaprì gli occhi e lo fissò con sguardo penetrante:

- Schermata in modo perfetto.

Di nuovo Minerva colse un lampo d'orgoglio negli scintillanti occhi neri del giovane mago.

- Quindi, è possibile mentirgli? – chiese il preside con un sorriso compiaciuto.

- Io l'ho fatto! – esclamò fiero.

- Nonostante le sue torture? – insistette Silente.

Il mago represse un lamento all'apertura di una nuova, sanguinante ferita, che il preside subito contrastò con la bacchetta: sembrava una lotta impari e infinita, tra la determinazione di Silente ad aiutare Piton, e la maledizione di Voldemort che continuava ad accanirsi sul suo corpo già così intensamente provato.

- Può sembrare strano... ma è stato il dolore stesso ad aiutarmi, all'inizio. - mormorò a fatica, con voce flebile e spezzata. - Era più facile mostrargli immagini confuse... senza che sospettasse...

Gli occhi del mago si chiusero: stava per perdere conoscenza.

- Severus, rimani vigile! – ordinò duro Silente.

Il mago rantolò, ansimante, poi riaprì gli occhi, devastati dall'intenso dolore che da troppe ore lo straziava:

- Era sicuro d'avere libero accesso ai miei pensieri, – spiegò con penoso sforzo, - e ha travolto la mia mente con violenta determinazione.

Respirava a fatica e s'interruppe per prendere aria:

- All'inizio ho dovuto permettergli di vedere davvero i miei ricordi, - sospirò, - quelli d'un bimbo trascurato, odiato dal padre Babbano. – Trasse un faticoso respiro, il corpo ancora scosso da un lungo tremito. – Quelli d'un ragazzo ambizioso, disposto a tutto per possedere il Sapere.

Severus chiuse gli occhi:

- E lui ha calpestato tutto, frugando furioso in ogni angolo in cui gli ho lasciato accesso, là dove non c'era pericolo che scoprisse qualcosa che poteva tradirmi. – Uno spasmo lo bloccò per un istante, ma riaprì gli occhi e continuò. – Ha violato irrispettoso ogni mio ricordo, doloroso o felice che fosse, spremendolo e poi gettandolo via, avido solo di risposte, mentre la mia ira cresceva e la voglia di vendicarmi mi dava nuove forze per resistergli.

Severus boccheggiò, gli occhi neri sempre più scintillanti:

- Gli ho fatto credere solo ciò che volevo, ho evocato per lui le immagini che mille volte avevamo provato insieme, ho sepolto le mie vere emozioni sotto anni di duro allenamento e gli ho mostrato la maschera del mio viso, la finzione del mio essere, il servo che lui crede io sia!

Il mago si rizzò a sedere, i pugni stretti e gli occhi neri splendenti d'orgoglio:

- L'ho ingannato, Albus, l'ho fatto e saprò rifarlo, ogni volta che servirà: perché sono più forte di lui, perché voglio la mia vendetta, perché...

Uno sbocco di sangue lo interruppe, seguito da un colpo di tosse e un penoso rantolo: Severus si accasciò su se stesso, privo di forze e di conoscenza, mentre Minerva lo guardava agghiacciata, un pugno premuto sulla bocca per non gridare.

Sì, Minerva ricordava bene, fin troppo bene, cos'era accaduto e quale orgoglioso coraggio aveva letto nelle scintillanti iridi nere di Severus.

Le stesse che ora la fissavano dal suo volto, sempre pallido e stanco, ma sicuro e deciso.

- Credevo di saperlo, Severus, credevo che tu fossi nostro amico... ma hai ucciso Albus!

- Sai quante altre volte l'Oscuro mi ha torturato, Minerva? In modo terrificante? Anche se mai come quella notte, forse? – chiese Severus a denti stretti, gli occhi neri che emanavano bagliori. – Come quando la profezia è andata in mille pezzi, grazie all'intervento dell'Ordine, giunto in tempo al Ministero solo per merito mio! Anche ieri notte, Minerva, mi ha cruciato, insieme con altri, perché i membri dell'Ordine si sono salvati e il suo piano è fallito, a causa mia! - concluse levando un pugno, quasi in segno di vittoria.

Gli occhi neri di Severus ancora scintillavano, pieni d'un orgoglio che non sapeva trattenere, che non voleva più nascondere. Era il premio del suo dolore e ne era orgogliosamente fiero!

- Sospetta di te?

Nella voce della vecchia maga c'era, innegabile, l'apprensione della madre per il figlio.

Piton sorrise, un'ombra del suo beffardo atteggiamento sulle labbra sottili:

- Se solo l'Oscuro sospettasse che lo tradisco, e sono stato la causa del fallimento del suo piano, mi avrebbe già torturato fino alla morte. - sussurrò guardandola a fondo negli occhi. - Tu sai bene come agisce, Minerva: si sarebbe accertato che la mia morte arrivasse adagio, molto adagio, e nel modo più atroce, crudele e doloroso possibile. Lo ricordi, vero?

L'anziana insegnante spalancò gli occhi e di nuovo si premette la mano sulla bocca, nello stesso convulso gesto di anni prima, quando Severus giaceva davanti a lei, quasi in fin di vita.

- Credi ancora che io sia un codardo, Minerva? – chiese con voce all'improvviso altera, ma spezzata dal dolore. – Uccidere Albus mi è costato tutto il mio coraggio... - s'interruppe mordendosi le labbra, gli occhi lucidi di un dolore che non poteva dimenticare, - e la devastante disperazione d'un insostenibile rimorso!

- Perché lo hai ucciso? – chiese, le lacrime a rigarle il viso. - Perché?

- Me lo ha ordinato lui - rispose, gli occhi lucidi delle stesse lacrime trattenute. – e mi ha lasciato una missione da compiere. – aggiunse con voce soffocata.

- Quale? – gridò la maga alla ricerca d'una verità che ancora le sembrava impossibile.

- La stessa che ha affidato a Harry Potter. – rispose con voce di nuovo controllata, stringendo i pugni e indurendo l'espressione del viso, ricacciando indietro ogni lacrima per l'uomo che era stato il suo più caro amico.

- Harry non vuole dirci di cosa si tratta! – esclamò irritata.

- Temo che anche io non potrò rivelarlo. – soffiò rassegnato. – Ma, se glielo chiedete, Potter ammetterà di aver ricevuto un aiuto insperato, nella sua difficile ricerca.

- Il Patronus di Silente! – esclamò Minerva.

Dietro di lei, Remus, che era sempre rimasto immobile, sorrise: le cose stavano evolvendosi nel modo che si attendeva e Minerva presto avrebbe abbandonato ogni sospetto.

Anche Severus piegò le labbra sottili in un sorriso, amaro e dolce al tempo stesso:

- Non dirlo al giovane Potter, Minerva, o temo che non potrò più aiutarlo. – sussurrò guardandola a fondo negli occhi.

- Ma il tuo Patronus è sempre stato un Falco! – esclamò.

- Da quanto tempo non lo vedi? – chiese gentile, mentre estraeva la bacchetta.

Il viso di Minerva sbiancò mentre il mago evocava il suo nuovo Patronus: l'argentea Fenice emerse sinuosa dalla punta della bacchetta e si librò elegante nell'aria, volteggiando sopra di loro, incantata polvere di stelle, ultimo gesto d'affetto di un padre verso un figlio.

La vecchia insegnante si lasciò cadere sul divano, tremante, sostenuta da Remus: stava vedendo l'impossibile, ciò che da alcuni giorni desiderava con forza vedere: l'innocenza di Severus, il chiarimento del suo inaccettabile gesto sotto la forma del vecchio Patronus di Silente, ora incredibilmente ereditato proprio dal suo assassino.

Doveva esserci una spiegazione, un perché, un motivo!

- Non ho ucciso Albus per salvare la mia vita, Minerva. Non m'importava, - sospirò, gli occhi di nuovo lucidi, ricordando che era stato pronto a rinunciare alla propria vita e anche alla sua Crystal, proprio per Albus, e solo per lui, - e non lo avrei mai fatto, se lui non me lo avesse ordinato.

Fissò a lungo la vecchia maga, ancora abbandonata sul divano, avvicinandosi infine a lei: s'inginocchiò piano e le prese la mano.

- Albus era convinto che il Voto Infrangibile fosse aggirabile. L'avevo stretto a favore di Draco, e se il ragazzo avesse di sua volontà deciso di non uccidere, se si fosse rifiutato di farlo, quello non sarebbe stato il suo fallimento, sosteneva Albus, ma la sua vittoria. – spiegò, gli occhi neri che scintillavano, orgogliosi per la scelta del ragazzo cui voleva bene, quel ragazzo che, a differenza sua, non aveva fatto irreparabili scelte sbagliate. – Quando arrivai sulla torre, Draco aveva già abbassato la bacchetta. Harry potrà confermartelo: il giovane Malfoy aveva già deciso di non uccidere Silente e il Voto Infrangibile, in tal modo, era già stato aggirato.

Severus diede un lungo respiro, poi continuò a spiegare:

- Se così non fosse stato, io sarei morto prima di giungere sulla sommità della torre, perché già avrei infranto il giuramento. Lo sai bene, Minerva, che il meccanismo punitivo del Voto è immediato. – Severus trasse ancora un lungo sospiro, il dolore di quella notte di nuovo a opprimergli il cuore. – Quando l'ho visto con la bacchetta rivolta a terra e Albus inerme davanti a lui, e Amycus mi ha detto che Draco non ce la faceva, - per un attimo il mago chiuse gli occhi e si morse le labbra, il ricordo di quell'istante che di nuovo l'angosciava, - ho capito che il Voto non mi vincolava più! - esclamò infine, la disperazione d'un rimorso indimenticabile a incrinargli la voce, gli occhi neri lucidi di lacrime ostinatamente trattenute.

Minerva lo fissò, gli occhi dilatati, poi pose la terribile domanda:

- Vuoi dire che... sapevi con certezza che non saresti morto, - per un istante restò con la bocca aperta, senza parlare, senza respirare. Infine concluse, - anche se non avessi ucciso Albus?

Severus si rialzò in piedi arretrando di alcuni passi e la fissò, nei profondi occhi neri il ricordo della notte ancora a torturarlo:

- Sì, lo sapevo. – ammise infine. – E lo sapeva anche Albus. – Deglutì a fatica, - E' per questo che mi ha implorato... affinché mantenessi la promessa fatta, che mi aveva obbligato a fare.

Severus s'interruppe e chiuse gli occhi, stretti, per impedire alle lacrime di scendere, e strinse feroce le labbra fra i denti: non voleva piangere, non doveva cedere.

Crystal, dietro di lui, gli strinse un braccio: gli era vicina, e lo sapeva, anche senza quel gesto. La sua donna conosceva tutta la devastante disperazione che quella notte l'aveva assalito, prima di avere il coraggio di pronunciare le due terribili parole che avrebbero distrutto per sempre la vita del suo unico amico, della sola persona che sempre aveva avuto fiducia in lui.

- Quella notte Albus mi ha implorato di dargli la morte pietosa che gli avevo promesso, sottraendo il suo corpo al doloroso e offensivo dispregio dei Mangiamorte.

Severus strinse disperato i denti e i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani, gli occhi pieni di lacrime, impossibili da trattenere ancora, e gridò:

- Ed io l'ho fatto, l'ho ucciso... anche se gli volevo bene!

Di colpo si girò e abbracciò Crystal, affondando il viso tra i suoi capelli, le lacrime che scorrevano sul volto pallido, negate a tutti e rivelate solo alla sua donna che lo accolse tra le braccia con silenzioso amore.

Infine Severus si riscosse e, imponendosi di nuovo un difficile controllo, le guance ancora rigate da lacrime di dolore frettolosamente cancellate, si girò verso la sua vecchia insegnante e sussurrò, una nota d'implorazione nella voce tesa:

- Non sono un codardo, Minerva, non lo sono!



[1] Edmond Rostand - Tratto da "Cirano de Bergerac", Secondo Atto, Scena VIII.

[2] Earendil

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