1- terzo capitolo.
L'ultimo cliente se ne andò esattamente all'una, ma forse sarebbe più giusto dire che venne cacciato via. Ero stanca. La testa mi scoppiava, non riuscivo a ragionare.
Il locale si era completamente svuotato e, dalle due finestre di fronte al bancone, filtrava la tenue luce lunare, che si riversava dolcemente sulle superfici dei tavoli. Era stata una giornata intensa, sfiancante. Non avevo mai visto così tanti clienti in tutti i miei giorni lavorativi. Sapevo che avrei dovuto considerarlo un bene ma, in realtà, non riuscivo a godermi il fatto, perché la mia mente era concentrata sull'unica cosa strana capitata quella mattina: la conversazione con la donna sconosciuta. Avevo provato a scacciare quel pensiero, a dimenticare la sensazione della sua voce calda e suadente sulle mie orecchie, a liberarmi del presagio malevolo che mi si seguiva, adesso, come una seconda ombra. Ci avevo provato con tutta me stessa, ma non c'era stato niente da fare. La verità era che mi aveva spaventata. Per quanto fossero suonate assurde, quelle parole, per quanto mi fossi sforzata di convincermi che erano state semplicemente le parole di una pazza, in cuor mio sapevo che non era così. Che, in qualche modo, aveva detto la verità.
Devi stare attenta. Non era la prima volta che mi capitava di sentire quelle parole. Anche mio padre, una volta, le aveva pronunciate, quando da piccola gli avevo chiesto di insegnarmi ad andare in bicicletta. "Devi stare attenta, Kathie, oppure finirai per cadere e dovrai ricominciare daccapo." Solo che quella era una situazione diversa, e me ne rendevo conto, ogni minuto che passava, con insopportabile chiarezza.
Sospirando, mi sfilai la divisa del Joke e il cappellino, e afferrai la borsa per poi chiudere il locale. Fuori era buio, un piacevole venticello spirava da ovest. Sopra di me, nel cielo, le stelle apparivano minuscole, dei piccoli schizzi bianchi su di una tela scura. Mi persi ad osservare la bellezza di quel cielo, ammirandola con ardore, ma nemmeno quello spettacolo bastò a dissipare i miei dubbi.
Mi lasciai cadere sulla sedia di uno dei tavoli fuori dal locale e mi accesi una sigaretta, sperando così di rigettare nella nicotina la mia emicrania e la perplessità che animava ogni mio gesto. Osservai distrattamente gli anelli di fumo disperdersi nell'aria, battendo le palpebre per scacciare la stanchezza e, quando una mano si posò sulla mia spalla all'improvviso, sussultai per lo spavento.
-Ma che diavolo...?-
-Sono io, Kathie.-
Tirai un sospiro di sollievo e mi rilassai sulla sedia, nel constatare che la persona che aveva parlato la conoscevo bene.
-Jim- sussurrai, mentre lo guardavo sedersi accanto a me con un lieve sorriso. -Che ci fai qui a quest'ora?-
Lui si strinse nelle spalle, intrecciando le dita sotto il mento. -Sono passato a casa tua e tuo padre mi ha detto che ti avrei trovata qui, dato che avevi il turno continuato- disse, accavallando le gambe. -Così ti ho fatto una sorpresa e sono corso subito. Dovevo vederti.
Non mi aspettavo che avrebbe fatto tutta quella strada in macchina solo per vedermi, così abbozzai un sorriso sincero, mentre schiacciavo la sigaretta sulla superficie del tavolo. Non pensavo di essere diventata tanto importante per lui, dal momento che, onestamente, non ci conoscevamo poi da troppo tempo. Ma gliene fui grata: in qualche modo, la sua sola vicinanza mi aiutò a liberarmi da quella strana sensazione di disagio.
-Sei molto dolce, Jim.-
Dolce in realtà non era esattamente un aggettivo che gli si addiceva, ma nel suo gesto avevo colto semplicemente quella: dolcezza.
Jim sorrise di nuovo, regalandomi una scarica al basso ventre. Ogni volta che sorrideva gli si formavano delle fossette agli angoli della bocca, un particolare che lo rendeva ancora più attraente di quanto non fosse solitamente.
-Kathie, devo parlarti di una cosa- disse, diventando di colpo serio. Deglutendo nervosamente, gli rivolsi uno sguardo preoccupato.
-Che succede?-
-Io non... non lo so.-
Percepii la tensione nella sua voce, talmente profonda che mi scosse inevitabilmente, riportandomi sull'onda del panico.
-Che cosa vuol dire 'non lo so'?-
Ero agitata di nuovo, per due volte durante una giornata. 'Dio mio, sto diventando pazza.'
Jim si schiarì la gola, abbassando lo sguardo sulla tasca dei suoi jeans ed estraendone il cellulare, in un gesto titubante.
-Ho ricevuto un messaggio- mi spiegò, sbloccando lo schermo e aprendo il menù.
-Non so che cosa voglia dire, ma mi sono... preoccupato. Ho pensato che dovessi vederlo.-
Mi porse il telefono, mostrandomi lo schermo con il testo del messaggio, mentre lo fissavo con aria confusa.
Non appena lessi quelle parole, il sangue mi si gelò nelle vene. Cominciai ad ansimare, avvertii le tempie pulsare ritmicamente e l'oggetto mi tremò tra le mani, tanto che lo lasciai cadere sul tavolo involontariamente. Katherine è in pericolo. Non sfuggirà alla morte finché rimarrà lì.
-Che cosa diavolo significa?- sibilai, guardandolo con il terrore dipinto negli occhi. Nel suo sguardo ritrovai il mio spavento, scaturito da qualcosa a cui entrambi non sapevamo dare un nome.
-Kathie- mi prese le mani, stringendole forte tra le sue, -è successo qualcosa, oggi? Qualcosa di cui vorresti parlarmi?
-I-io... non lo so, Jim. No, non è successo niente- mentii, scuotendo la testa come per scacciare quel pensiero che mi tormentava. Sarebbe stato saggio confessargli cos'era successo, eppure c'era qualcosa che mi bloccava dal fidarmi completamente di lui. Non potevo rivelarglielo e, in qualche modo, lui si accorse che quanto avevo detto non corrispondeva alla verità.
-Kathie- ripeté il mio nome con tono più duro, questa volta, un tono molto più severo di quanto mi aspettassi.
-Che cosa sta succedendo?
Lo osservai con attenzione, prima di abbassare lo sguardo e scuotere ancora la testa.
-Niente di preoccupante, Jim. Va tutto bene. Quel messaggio sarà solo uno stupido scherzo.
Lui aggrottò la fronte, lasciandomi andare le mani. -Non me la racconti giusta.
Mi strinsi nelle spalle e, con un sorriso più finto di quello di una iena, mi sporsi verso di lui e lo baciai sulle labbra. Lui non si ritrasse ma percepii la sua tensione, come un muro che in qualche modo ci stava dividendo.
-Kathie- sussurró, quando mi staccai,
-sono preoccupato per te.
Gli accarezzai la guancia e battei le palpebre, per evitare che quelle lacrime di nervosismo mi scivolassero fuori dagli occhi. -Jim, sto bene. Alla grande, direi. Non c'è assolutamente bisogno che ti preoccupi.
Lui mi fece scivolare le mani sui polsi, chinandosi a baciarmi le nocche delle dita e quella reazione mi lasciò turbata: si stava comportando in modo inquietante, e quella smisurata gentilezza lo rendeva strano. Non mi aveva mai riservato troppe attenzioni, perciò trovai molto insolito quel gesto.
Ma, tuttavia, non mi dispiacque affatto.
-Andiamo, Kathie, ti riporto a casa.-
-Non c'è bisogno- lo fermai, alzandomi e stringendomi la felpa intorno al collo. -Ho la mia auto, non posso lasciarla qui.
Lui sospirò, alzandosi a sua volta.
-Potrei riaccompagnarti io a lavoro, domattina.
Mentre il disagio cominciava a divorare anche l'ultimo pezzetto di me, lo mascherai con un altro finto sorriso. -Domani non verrò a lavoro, Jim- gli dissi, avvicinandomi per dargli un bacio sulla guancia.
-Ma grazie del pensiero.
Pronunciando quelle parole mi diressi alla mia auto, parcheggiata poco dietro il locale e, prima di salire, mi voltai per rivolgere a Jim un altro sguardo per tranquillizzarlo. O, almeno, ci provai.
Non riuscivo a tranquillizzare me stessa, figurarsi qualcun altro. Lui mi sorrise, per poi voltarsi e dirigersi alla sua macchina. Rimasi a guardare la sua figura allontanarsi nella penombra di quella notte, osservai il sottile strato di polvere che si sollevò non appena la sua auto partì e la luce dei fari spegnersi lentamente man mano che si allontanava.
Non sapevo, allora, che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei visto Jim Kerdison, l'unico ragazzo che, mi resi conto in quel momento, si fosse mai veramente preoccupato per me.
Accesi il motore, aggiustando lo specchietto e sospirando nel rendermi conto che sembravo di nuovo un panda. Forse avrei dovuto smettere di truccarmi così pesantemente, riflettei nel notare le tracce di matita scura che il sudore aveva fatto sciogliere sotto le ciglia.
Feci partire la macchina e mi allontanai, lasciandomi alle spalle il Joke e quella giornata intensa, come mai ne avevo vissute prima.
Non avevo nemmeno il desiderio di spararmi qualche band nelle orecchie, perciò decisi di guidare in silenzio, umettandomi le labbra di tanto in tanto per cancellarne la secchezza.
Ad un tratto mi resi conto di non aver acceso i fari e realizzai che, se mi avessero beccato in quelle condizioni, mi avrebbero tolto la patente.
Mi sporsi in avanti per rimediare ma, all'improvviso mi squillò il cellulare. Con il cuore in gola risposi, trattenendo il respiro. -P-pronto?
-Katherine- sussurrò una voce, dall'altro lato del telefono. Impietrii, mentre sentivo l'ansia tornare a torturami il cuore e il cervello. Era di nuovo la sua. Quella voce.
-Katherine, devi spostarti di lì- disse agitata, mentre dubitavo sul fatto che la mia razionalità esistesse ancora, -spostati dalla strada. Katherine, Kathie. Vattene di lì.
E poi, prima che avessi il tempo di ribattere qualunque cosa, la vidi. Quella luce, talmente intensa che mi accecò, costringendomi a chiudere gli occhi.
Trattenni un grido. Con le mani incollate al volante cercai di sterzare, ma fu tutto inutile.
E in quell'istante che sconvolse la mia vita per sempre, sprofondai nell'oblio più assoluto.
Mi accolse il vuoto, terribile e spietato, come nient'altro avevo mai conosciuto.
Uno non sa mai quando sta per arrivare la propria ora. Non lo sapevo nemmeno io, e ancora oggi non riesco a capire come sia stato possibile ritrovarmi laggiù, dopo essere morta, senza più un passato, una famiglia, un'identità.
Forse è così che funziona.
Forse la morte non si avverte sulla pelle quando sta per avvicinarsi. Io non ho provato niente.
Ricordavo soltanto la voce, quella voce così bella, che nessuno avrebbe potuto eguagliare. Quella voce voleva salvarmi, ma non ci è riuscita.
Forse, in un altro mondo, apparteneva a qualcuno che conoscevo.
Ma questo, l'ho scoperto solo tanto tempo dopo.
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