1- settimo capitolo.
Dopo che Duncan aveva ravviato il fuoco, nel focolare, Layla aveva preso una pentola enorme, di un materiale scuro, che non conoscevo, ci aveva messo dentro dei pezzetti di pane raffermo, grano e orzo, e l’aveva posta sopra le fiamme, agganciandola ad una sbarra. Ero rimasta sconvolta dalla meticolosità e la rapidità con la quale quella donna aveva svolto il compito, l’avevo osservata rapita e curiosa dai suoi movimenti. Le avevo chiesto cosa stesse preparando e lei mi aveva risposto semplicemente “uno stufato”. Non avevo mai mangiato uno stufato, a casa mia si cucinavano principalmente cibi precotti o surgelati, che mio padre comprava al supermercato sempre in sconto, perché non avevamo tanta disponibilità economica.
Non riuscivo a capire in quale epoca mi trovassi, ma sapevo con certezza di non essere più nel ventunesimo secolo. Lo avevo capito da ogni particolare: quegli strani vestiti, di cui avevo letto solo nei romanzi storici presi in eredità da mia madre, le case costruite in maniera e con materiali instabili, il mobilio vecchio e consunto, l’assenza di elementi elettrici, di un bagno con water e bidet. Non c’era niente che potesse ricondursi a un’epoca moderna ma, nonostante non fosse il mio secolo, grazie alla gentilezza di quella famiglia il disagio stava pian piano allontanandosi. L’unica cosa che ancora mi turbava era il motivo per cui ero finita lì, dovunque fossi, e perché i miei capelli fossero tornati del loro colore naturale. Quando ero nel mio mondo li avevo tinti più e più volte per coprire quel rosso ramato che avevo sempre detestato; era il colore dei capelli di mia madre. Ogni volta che mi guardavo allo specchio, dopo la sua morte, la rivedevo nei tratti del mio viso, nei boccoli che mi scendevano lungo le tempie e un giorno avevo deciso di tagliare i ponti col passato, per attenuare almeno in parte la sofferenza e la nostalgia che mi avevano consumato, come fossero state la fiamma e io la candela.
-Spero ti piaccia lo stufato.-
Alzai lo sguardo su Layla, in piedi davanti al fuoco; stava mescolando il contenuto della pentola con un mestolo di legno e mi guardava, sorridente.
-Sicuramente mi piacerà- risposi con un sorriso appena accennato.
-Tua madre non lo preparava mai a casa tua?-
Mi bloccai, sentendo un groppo chiudermi la gola. La guardai sbattendo le palpebre e scossi la testa, per poi abbassare lo sguardo.
-Ecco, lei… lei non…- mi schiarii la gola, ricacciando indietro la bile. -Non ho mai mangiato uno stufato.-
Lei parve sorpresa dalla mia risposta, ma non chiese spiegazioni né provò a farmi pressione perché mi aprissi.
Ci eravamo appena conosciute e probabilmente non apparivo ai suoi occhi come una ragazza innocente, che aveva bisogno di sfogarsi. Forse non si fidava, ed era comprensibile; nemmeno io lo facevo ancora.
Il pavimento della cucina era ancora gremito delle piume del pollame, e dai rantoli che esso produceva, ma per il resto c’era silenzio. Duncan e Rupert erano andati chissà dove, dopo che il tempo si era calmato, e il piccolo che avevo visto tra le braccia di Layla si era addormentato e sonnecchiava a pochi centimetri dal focolare.
-È un bambino bellissimo- commentai, allungando il collo. -Come si chiama?-
-Judith- rispose lei, dolcemente. -È una femmina.-
-Oh.- Mi scappò un sorriso per la gaffe che avevo fatto.
Layla si asciugò le mani sul grembiule che teneva attaccato alla vita, e si sedette accanto alla neonata, guardandola con amore materno.
-Duncan era al settimo cielo quando è nata- disse a fior di labbra.
–Dopo la morte di Eliza non pensavamo che sarebbe arrivata un’altra femmina… e invece il Signore ci ha fatto questa grazia. Dovevi vederlo, Katherine, quanto era felice!-
Avrei voluto sorridere in risposta al suo sorriso, ma avevo sentito qualcosa che mi aveva fatto rizzare i capelli in testa. -Avevi un'altra figlia- sussurrai e fu più un'affermazione che una domanda.
Lei abbassò lo sguardo, annuendo lentamente. Lo scorsi nei suoi occhi, perché avevo vissuto la stessa cosa, tanti anni prima: dolore. Lo vidi sbocciare rapidamente al suono delle mie parole, scurire l'azzurro dei suoi occhi, inducendo le sue labbra a piegarsi in una smorfia amara. Mi pentii all'istante di essere stata tanto diretta. Non avevo mai tenuto la lingua sufficientemente a freno e questa mia propensione era quasi sempre stata il motivo per il quale la gente si teneva alla larga da me.
-Aveva sedici anni-spiegò Layla dopo qualche attimo di silenzio.
-Se n'è andata lo scorso inverno, per colpa della febbre.-
Provai l'impulso di stringerle la mano in un gesto di conforto, ma poi mi trattenni, riflettendo che ero solo un'estranea è che probabilmente lei non voleva il mio sostegno.
-Mi dispiace tanto, Layla- dissi solo, guardandola con sincera compassione.
Non potei farne a meno. Avevo sempre disprezzato la gente che, dal funerale di mia madre, mi aveva fatto le condoglianze, dicendo che il dolore sarebbe passato con il tempo, che non dovevo disperare, perché lei mi sarebbe sempre rimasta accanto, anche nella morte. Non ci avevo mai creduto, non avevo mai voluto o chiesto la loro compassione. Era tutto finto. Alla gente non importa un bel niente di come stai quando perdi qualcuno, recitano solo un copione, una parte che devono interpretare perché è così e basta. Ma se glielo chiedessi, loro ti risponderebbero che no, sono sinceramente dispiaciuti, non stanno fingendo. Naturalmente.
Io, però, il dolore di Layla lo avevo provato davvero e lo condividevo, senza bisogno di fingere nulla.
Lei tirò su con il naso, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano, poi scosse la testa.
-Ogni tanto mi capita di ripensarci senza volerlo- si umettò le labbra, alzandosi per controllare di nuovo lo stufato.
Se era come me, pensava a sua figlia più di quanto fosse normale, anche se non lo dava a vedere. La osservai in silenzio, alternando lo sguardo da lei alla bimba nella culla, pensando che, anche se c'era quella nuova vita adesso, niente avrebbe colmato l’assenza di quella Eliza. Glielo avevo letto negli occhi.
-La cena è quasi pronta- annunciò in tono abbastanza alto. -Spero che gli altri tornino in tempo o cominceremo senza di loro.-
Nonostante ci fosse la luce del focolare ad illuminare il locale, Layla aveva acceso anche le due torce che erano affisse alla parete e ora la cucina era sufficientemente illuminata.
Duncan e Rupert non erano ancora tornati, la piccola Judith si era svegliata e ora si guardava intorno con occhi vispi e azzurri, come quelli di sua madre.
Le sedevo accanto e le accarezzavo la manina paffuta, mentre Layla metteva in tavola la pentola con lo stufato e cominciava a distribuirla nelle ciotole di legno. Rapidamente, nella stanza si diffuse un odore gradevole di pane, aglio e orzo che mi invase le narici facendole fremere. Non mangiavo come si deve da circa ventiquattro ore, ed ero stanca, sentivo le forze venir meno ogni minuto che passava. Se avessi messo qualcosa nello stomaco, pensai, mi sarei sentita subito meglio.
-Katherine, puoi venire a tavola se vuoi. Arriveranno presto.-
Rivolsi un ultimo sguardo a Judith, poi mi sedetti ad un lato della lunga panca di legno, assaporando l'odore dello stufato e pregustandone il sapore. Avevo pian piano abbandonato il fastidio dovuto al corsetto e ora lo trovavo un indumento quasi piacevole da indossare, anche se dovevo fare l’abitudine al fatto che il mio seno fosse molto più in vista rispetto al suo solito.
Layla, nel frattempo, aveva raggiunto la piccola e la stava allattando, cullandola delicatamente. Era una scena molto dolce, ma ben presto venne interrotta dal ritorno degli altri componenti della famiglia. Il primo ad entrare fu Rupert, i capelli arruffati e sbarazzini come al solito, poi Duncan, con gli abiti spiegazzati e quella che sembrava fuliggine stampata in faccia. Infine entrò qualcun altro, qualcuno che non avevo ancora conosciuto e che mi stupì per via della sua altezza: era almeno una spanna più alto di Duncan, con le spalle più larghe e un fisico più sottile. Aveva i capelli ondulati, scuri come quelli di Rupert, gli occhi azzurri, di appena un grado più scuri di Layla, e la mascella scolpita. Non appena lo notai ebbi un sussulto, ma fu questione di un attimo e lo stupore scemò.
Non mi aveva ancora vista e probabilmente era meglio così, anche perché cominciavo a sentirmi a disagio, un’altra volta.
Duncan si tolse una grossa sacca dalla spalla e la posò a terra, accanto all'ingresso, mentre Rupert veniva verso di me e mi sorrideva come aveva fatto quella mattina.
Feci lo stesso, ma stavolta non gli prestai molta attenzione: ero concentrata su quel ragazzo, che aveva più l’aria di essere un giovane uomo, a giudicare dal portamento.
-Muovetevi, voi, lo stufato è già pronto da un pezzo- disse Layla, in tono sbrigativo, mentre la piccola si aggrappava al suo capezzolo con tutte le forze. Vidi il ragazzo scrollarsi i capelli con la mano, per poi venire verso il tavolo. Prima che si sedesse cercai di abbassare lo sguardo, ma qualcosa me lo impedì: non riuscivo a smettere di guardarlo, non perché fosse chissà quale bellezza, quanto perché c’era qualcosa nel suo modo di fare e nei suoi occhi, che mi attraeva irrimediabilmente. Doveva avere al massimo una ventina d’anni, ma all’apparenza ne dimostrava almeno venticinque. Agli angoli degli occhi, quando si accorse di me e cominciò a squadrarmi dalla testa ai piedi, gli si formarono delle rughe appena accennate, che vennero quasi nascoste dal suo colorito bronzeo.
Appoggiò le mani sulla superficie del tavolo, rimanendo in piedi, di fronte a me, mentre tutti gli altri si sedevano. In un altro frangente mi sarei stupita che nessuno avesse accennato al fatto di lavarsi le mani, prima di mangiare, ma in quel momento non vedevo altro che lui, il ragazzo che mi fissava insistentemente, cercando forse di capire chi fossi e perché mi trovassi lì.
-E tu chi diavolo sei?-
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