1- ottavo capitolo.
Serrai le labbra, cercando di mantenere il controllo. Avevo una risposta tagliente sulla lingua ma la ricacciai indietro, notando l'espressione più confusa, che sgarbata, del ragazzo.
Intorno a me, tutti avevano iniziato a servirsi lo stufato; forse nessuno si era accorto della domanda che lui mi aveva rivolto, o del tono che aveva accompagnato le sue parole.
-Ce l'hai una lingua, o no?-
Il ragazzo si sedette davanti a me, senza mai interrompere il contatto visivo e si versò, fissandomi con malcelata curiosità, la sua razione di cibo. Lo guardavo, senza sapere perché mi si fosse rivolto con tanta presunzione e affilai lo sguardo: Non mi ero mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno e non avrei cominciato in quel momento. -Katherine- gli risposi con un mezzo sorriso. -E tu sei… ?
Prima di rispondere, lui addentò un pezzo di pane duro. -Connor.
-Vedo che avete già fatto conoscenza!- commentò Duncan, dandogli una pacca sulla spalla.
Connor continuò a fissarmi, ignorando le parole del padre e io sostenni il suo sguardo al massimo delle mie capacità. Mi metteva a disagio, come se mi sentissi nuda, era come se mi stesse scrutando fin dentro l’anima. -Piacere di conoscerti, Katherine- disse con una particolare enfasi sul mio nome. Anche lui, come il padre, aveva un accento marcato, delle popolazioni del Nord. Forse non mi trovavo più in America, ma non lo sapevo ancora.
Rupert mi ficcò sotto al naso un utensile di legno dall’aria stramba, che identificai come un cucchiaio.
-Se lo fai freddare, non sarà più buono- sussurrò, mentre mandava giù un sorso di stufato.
Gli sorrisi, essendogli grata per avermi distratto dalla conversazione con Connor. Cominciai a mangiare, beandomi della sensazione di calore che mi si diffuse all’interno dello stomaco, e vuotai la scodella in meno di cinque minuti. Era buono, nonostante non avessi mai assaggiato prima niente di simile, aveva un sapore speziato e vagamente dolciastro. Poi addentai due bocconcini di pane duro e li mandai giù con dell’acqua, il tutto- cosa di cui non mi ero ancora resa conto- sotto lo sguardo divertito di Connor.
-Che hai da ridere?- sibilai, stando attenta a non farmi sentire dagli altri.
Lui scosse la testa, afferrando la propria scodella e vuotandola in un unico sorso. -Nulla- disse, quando ebbe finito. -Pensavo solo che siamo piuttosto simili.-
Mi lasciai andare a una smorfia. Non avevo proprio niente in comune con quelle persone, tanto meno con lui, che sembrava uscito direttamente da una caverna. Eppure, nonostante lo trovassi sgarbato e terribilmente sporco, mi persi a osservare il suo viso, il taglio degli occhi di quell’azzurro tanto marcato, e poi il naso, dritto e affilato. Non potei fare a meno di confrontarlo al mio, che era invece leggermente alla francese.
-Katherine?- mi chiamò qualcuno, all'improvviso e io mi riscossi dai miei pensieri. -Tutto bene?-
-Certo- mi girai verso Layla con un sorriso.
-Sembravi strana, stavi fissando Connor con aria insistente- disse lei, ridendo.
-Oh... io... - nonostante avessi cercato di evitarlo, avvampai. Vidi Connor scoppiare a ridere e provai l’impulso di prenderlo a schiaffi. Anche lì, notai, come nel mio tempo, le persone sapevano ridere. Che cosa mi ero aspettata? Che l'antichità fosse formata da gente non dedita al divertimento?
Mi diedi della sciocca e, involontariamente, mi unii alla risata.
-Oh, guardate- esclamò lui, guardandomi con superbia. -Anche lei sa ridere!-
-Connor- sentii sua madre chiamarlo, in una specie di ammonimento. Gli scoccò un'occhiataccia, che lui ignorò volontariamente, e poi tornò a posare lo sguardo su di me. Avevo la risposta perfetta sulla punta della lingua, ma non lo feci, non dissi niente, limitandomi a restituirgli il sorriso sarcastico.
Ci sapevo fare con il cinismo, lo avevo sempre fatto, ed era una cosa di cui andavo fiera.
Connor, davanti a me, si pulì distrattamente la bocca, mentre Rupert allungava la mano ad afferrare un'altra pagnotta di pane, ostruendomi in parte la visuale. Vidi Connor alzarsi dalla panca e uscire fuori, senza proferire parola, cosa che mi insospettì non poco. Non sapevo bene cosa dire.
All'improvviso mi sentivo incompleta, come se la sua assenza mi rendesse nervosa, e non ne comprendevo il motivo. Layla dovette accorgersene perché allungò una mano verso la mia, sfiorandola delicatamente.
-Kathie, se vuoi puoi fare quattro chiacchiere con lui- mi sussurrò a bassa voce, così che nessuno a parte me poté sentirla.
Non capivo come se ne fosse accorta, ma la ringraziai nella mia testa. Di fronte a lei, invece, l'unica cosa che mi venne spontaneo fare fu annuire, per poi chiedere scusa (pensavo fosse la parola più adatta) e alzarmi distrattamente e cercando di non fare rumore. Il mio abito, però, me lo impedì, e rischiai di scivolare dalla panca. Mi scappò un'imprecazione che, per fortuna, nessuno udì. Prima di dirigermi all'entrata della casa, scorsi un sorriso sul volto di Layla.
***
Lui se ne stava immobile, con la schiena appoggiata alla parete e le gambe raccolte al petto. Osservava il cielo plumbeo, dopo la giornata di pioggia, e non si accorse di me fino a quando non gli sedetti accanto, facendolo trasalire.
-Che ci fai qui? Alzati, il tuo vestito si sporcherá- mi disse, rivolgendomi uno sguardo confuso.
Non lo ascoltai, naturalmente, e lasciai che la lunga gonna mi si allargasse intorno alle gambe, quando mi sedetti.
-Sei un tipo cocciuto- commentò senza guardarmi. Faceva freddo, e il respiro gli si condensò in una nuvoletta quando lasciò le sue labbra.
-È vero- confermai, strofinandomi le braccia con le mani nel tentativo di scaldarmi. -E sono anche molto intuitiva.-
-Questo devo ancora appurarlo- replicò Connor con un sorriso.
Sorrisi a mia volta, nonostante non mi sentissi proprio a mio agio con quel ragazzo che avevo conosciuto solo un'ora prima, o giù di lì. Eppure era dotato di qualcosa che mi induceva a sorridere, nonostante tutto, qualcosa che mi allontanava la mente dai brutti pensieri.
-Da dove vieni, esattamente? E perché mio padre ti ha portata qui?-
Era una domanda prevedibile, avrei dovuto aspettarmela ma, come mi era già successo con Layla e gli altri, non ero in grado di dare una risposta.
Scosse la testa, stringendosi nelle spalle.
-Mi crederesti se ti dicessi che non lo so?-
La prima cosa che notai fu un'espressione contorta sulle sue labbra, mentre si voltava a fissarmi. Poi, dopo qualche istante di meditazione, si lasciò andare a un sospiro.
-Non ricordi niente?-
-Niente- confermai con amarezza.
Sarebbe stato tutto enormemente più semplice se avessi potuto fornire qualche spiegazione, ma tutto quello che mi era successo dopo l'incidente era agglomerato in un'unica, immensa nebbia confusa. Era come se fossi rimasta indietro, mentre il mondo continuava ad andare avanti, e mi sentivo incredibilmente sola, abbandonata.
-Forse ricorderai qualcosa con il trascorrere del tempo- disse Connor, con dolcezza. Quel senso di superbia era scomparso, e al suo posto adesso c'era quella che etichettai come una sorta di compassione. Odiavo la gente che mi guardava con pietà ma con lui, inspiegabilmente, non mi sentii arrabbiata.
-Lo spero- dissi solo e un vento forte, all'improvviso, si sollevò dalla strada, costrigendoci ad alzarci.
-È meglio rientrare- mi disse porgendomi una mano, che afferrai dopo un attimo di esitazione. Con l'altra mi scrollai la gonna dalla polvere e la terra e poi lo seguii all'interno.
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