"Wait, wait!"
Brackley, Regno Unito
12/02/2020
ore 11:51
La mattinata più impegnativa di Josefine Jameson è ufficialmente terminata. Dopo un lunghissimo colloquio con il team principal della scuderia tedesca Toto Wolff per lo stage della sua laurea magistrale, Jo si chiude la porta dell'ufficio alle sue spalle e tira un profondo sospiro di sollievo. "Che fatica" mormora a bassa voce sistemando la sua gigantesca borsa su una spalla ed infilandosi la pesante sciarpa di lana attorno al collo.
Si incammina verso l'ascensore per tornare il prima possibile al piano terra in modo tale da tornare a casa, mangiare qualcosa al volo ed iniziare il suo turno pomeridiano nel bar dove lavora da ormai cinque anni. Vorrebbe andare più veloce, ma i tacchi alti indossati solamente per sembrare più elegante agli occhi di Toto Wolff la rallentano più di quanto si immaginasse.
Arrivata davanti alle porte argentate, preme il pulsante tre o quattro volte sperando che con più insistenza l'ascensore arrivi più in fretta. Arrivato al piano, dall'ascensore escono una mezza dozzina di persone che, senza neanche degnarla di uno sguardo, camminano a testa bassa con il cellulare all'orecchio dirette verso i propri uffici.
Con due passi Jo è dentro all'abitacolo e come un gesto automatico preme T. Proprio mentre le porte stanno iniziano a chiudersi, sente una voce maschile avvicinarsi sempre di più. "Aspetta, aspetta!" Senza pensarci, Jo allunga il braccio e blocca le porte con la mano sinistra, per permettere a chiunque ci sia dall'altra parte di entrare. La mano dello sconosciuto si posa casualmente sulla sua per trattenere le porte. "Grazie" dice trafelato il proprietario di quella mano infilandosi in ascensore.
Jo sorride distrattamente al ragazzo appena entrato, che si appoggia contro la parete posteriore dell'ascensore e, dato il fiatone, probabilmente affaticato dalla corsa appena fatta in corridoio. È un ragazzo non particolarmente alto, indossa abiti alquanto appariscenti e dal gusto discutibile, ha un cappellino bianco della Mercedes ed il viso è quasi del tutto nascosto da un enorme paio di occhiali da sole.
"Che piano?" domanda Josefine mentre le porte dell'ascensore stanno per chiudersi nuovamente. "Piano terra, grazie" risponde il ragazzo a testa bassa, in modo che la visiera del cappellino gli copra tutto il viso. "Non c'è problema" sussurra Jo premendo il pulsante per entrambi. "Che tipo strano" pensa Jo tra sé e sé, dando le spalle a quel ragazzo che dal suo modo di vestire non si intona per niente con l'ambiente in cui si trovano, se non per il cappellino delle Frecce d'Argento.
L'ascensore scende lentamente ed il silenzio all'interno dell'abitacolo si fa sempre più assordante. Il ragazzo di schiarisce la voce, Josefine sussulta e quasi si spaventa nel sentire dal nulla un rumore provenire alle sue spalle. Al settimo piano, il rumore elettrico di sottofondo che riempiva la scatola d'acciaio si interrompe improvvisamente. Sia Josefine sia il ragazzo misterioso alzano istintivamente gli occhi verso l'alto, sperando che non si successo niente di grave.
Passano i secondi e la situazione non migliora: l'ascensore si è fermato tra il settimo ed il sesto piano e non dà nessun cenno di vita. Il cuore di Jo inizia a battere più veloce, non si è mai trovata a suo agio negli spazi chiusi e l'idea di rimanere bloccata in uno spazio così stretto non la entusiasma affatto.
"Cos'è successo?" domanda il ragazzo alle sue spalle, che sembra invece trovarsi perfettamente a suo agio in quella situazione. "Penso si sia bloccato" risponde Jo con fare ovvio. Il ragazzo muove i suoi primi passi da quando è entrato in ascensore e prova a schiacciare il tasto con la campanella, che però non cambia la situazione. "Non dovrebbe scattare l'allarme?" chiede Josefine cercando di mascherare l'agitazione e sembrando molto più calma di quanto sia in realtà. Il ragazzo si toglie gli occhiali da sole ed infila una bacchetta di essi dentro la felpa. Rimane di spalle e preme tutti i pulsanti che gli capitano a tiro, tentando invano di segnalare a qualcuno la loro presenza all'interno dell'ascensore.
"Perché non suona?" continua Josefine iniziando a sentire l'ansia crescere sempre di più, dato il respiro pesante ed il fiato corto. "E che ne so io?" risponde scocciato il ragazzo che finalmente si gira verso di lei. Josefine ci mette meno di un secondo a capire con chi sta parlando e per poco non si prende a schiaffi da sola per non aver capito con chi stesse condividendo quello spazio angusto fino a quel momento.
"Ma tu sei..." sussurra senza riuscire a finire la frase, imbambolata dallo sguardo divertito che si forma sul viso del ragazzo ormai non più sconosciuto. "Lewis Hamilton, sì sono io" risponde il pilota Mercedes quasi compiaciuto nel pronunciare il suo nome.
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