due: il mostro dentro di te
Vedi cara,
certe crisi son soltanto il segno
di qualcosa dentro che
sta urlando per uscire
Anonimo
ABU DHABI, DICEMBRE 2026
Le scuole superiori sono state il periodo peggiore della mia vita.
E non lo dico perché ogni settimana fossi impegnata con verifiche, interrogazioni, la mia passione per creare bozzetti e anche dargli vita.
Fosse stato per quello, me la sarei cavata con un lieve esaurimento nervoso.
E dico lieve perché ho scelto il liceo scientifico e non il classico come volevano i miei genitori.
Il problema non era la scuola ma l'ambiente in cui mi trovavo.
Ero circondata da ragazzine più magre di quello che ero io, avevano intorno tante persone e io non sapevo come facessero.
A me bastava stare in un angolino, lontana da tutti, con le cuffiette e qualche canzone in voga.
E poi disegnavo, oh quanto disegnavo!
La mia camera era piena di bozzetti, la mia gemella diceva che dovevo liberarmi di quelli vecchi per poter appendere quelli nuovi ma non la ascoltavo mai.
-Ti ho portato una scatola, così li metti tutti qui dentro e quando vorrai li tirerai fuori per ammirarli- disse Benedetta presentandosi nella mia stanza con una grande scatola di cartone.
Mi aveva aiutato lei a metterli a posto, mentre ne contemplava uno a uno e diceva:-Sai su chi starebbe bene questo? A Meryl Streep!- oppure -Questo è perfetto per Zendaya!- la quale ai tempi era una star di Disney Channel in rapida ascesa.
È stata lei la prima a credere in me, in qualsiasi cosa.
Ma è stata anche la prima a scoprire della bulimia.
I nostri genitori erano fuori casa dalla pausa pranzo fino all'ora di cena per lavoro mentre Benedetta seguiva una serie di corsi extracurricolari, come quello di inglese e faceva anche parte della squadra di calcio femminile del nostro paese.
Non ho idea di come io abbia iniziato, ero spesso a casa da sola a disegnare, studiare e cucire con la macchina che mi aveva regalato la nonna per Natale.
Ricordo alla perfezione come Benedetta mi aveva scoperta.
Era una giornata soleggiata di metà aprile.
Quel giorno mia sorella era uscita per seguire il suo corso di inglese, di cui avrebbe avuto la certificazione circa un mese dopo, io ero a casa da sola come sempre e avevo dato una pausa al momento di taglia e cuci come lo chiamava sempre mio padre.
Avevo aperto Instagram che a quei tempi era un posto molto diverso da ora.
Seguivo alcune delle mie compagne di classe e quel giorno vidi che erano tutte fuori con i ragazzi della nostra classe, erano a una sorgente che conoscono tutti, d'inverno è ghiacciata ma durante la primavera diventa una piccola fonte dove rinfrescarsi un po'.
Erano tutti lì, tutti tranne me.
Le ragazze erano tutte in costume, con i loro corpi perfetti, le gambe snelle, le pance piatte ma allo stesso tempo un seno che mi faceva sentire a disagio con la mia seconda in quarta superiore.
Lo psicologo ha detto che probabilmente è stato quell'episodio che ha scatenato il disturbo e la strana vocina nella mia testa.
In realtà non è vero, è solo che è comparso all'improvviso; prima mi vietavo di mangiare a scuola, arrivata a casa quando non c'era Benedetta mangiavo fino a che non mi doleva lo stomaco, poi andavo in bagno e mi liberavo di tutto ciò che avevo ingerito.
Infine, con i soldi che avevo messo da parte andavo a comprare nuovamente ciò che avevo appena consumato in casa.
Lui preferiva chiamarla mostriciattolo, io non le ho mai dato un nome o altro perchè ho sempre pensato che farlo, mi facesse legare di più al disturbo.
Ricordo che a un certo punto, dopo aver chiuso l'applicazione mi ero diretta in cucina e avevo mangiato qualsiasi cosa mi capitasse sotto tiro e che sapevo dove poter comprare.
Ricordo anche che cosa ho mangiato: due pacchetti di Fonzies, ho concluso un pacchetto di biscotti del Mulino Bianco, per essere più precisi i Batticuori che mi sono sempre piaciuti, dei cracker che erano avanzati dal pranzo di mamma, una stecca di cioccolato fondente dove c'era scritto "di papà, non toccare!" e avevo accompagnato tutto con del latte.
Ehi! Quanto abbiamo mangiato! Non credi che sia troppo? Sai cosa facciamo ora, vero?
Non era la prima volta che la vocina compariva ma quella volta aveva un tono diverso, se prima erano ordini che venivano imposti, in quel momento era più dolce.
Come se si comportasse da amica.
Ero corsa in bagno e senza tanti indugi avevo infilato le dita in gola, lasciai andare tutto quello che si trovava nel mio stomaco.
Fu allora che la porta di casa si aprì, fu un momento di panico sia per me che per Benedetta, lei era in larghissimo anticipo.
Per lei perché mi aveva visto star male quando ero sempre sana come un pesce mentre per me perché qualcuno mi aveva scoperta quando volevo che nessuno lo venisse a sapere.
Avvertendo dei rumori a lei anomali, si era diretta verso il bagno e mi aveva raccolto i capelli mentre mi accarezzava la schiena e mi rassicurava dicendo che sarebbe andato tutto bene.
Quando anche i succhi gastrici iniziarono a bruciarmi la bocca, alzai la testa e sospirai mentre Benedetta mi passò un panno umido sulla fronte.
Ero grata che fosse lì con me ma allo stesso tempo la volevo fuori dal bagno, lontano da me, in un luogo dove non potesse sapere cosa stessi facendo e un momento in cui svuotare il mio stomaco in santa pace.
-Vuoi che ti preparo un thè con il limone?- mi aveva chiesto in modo premuroso, ero sfinita, mi faceva male la testa e quello che sapevo essere il rimedio della nonna, ovvero il thè caldo con il limone, sarebbe stato perfetto per quel momento.
Solo quando le dissi un flebile sì, lei si avviò in cucina e non mi passò minimamente per la testa di aver lasciato la cucina in uno stato pietoso.
C'erano cartacce ovunque e briciole sparse sul bancone, era la scena del crimine della mia bulimia ma non me ne ero mai stata consapevole.
Un conto era sistemare la cucina da sola, un altro era che qualcuno vedesse i risultati di ciò che causava un disturbo come quello.
Mia sorella aveva gli occhi spalancati e iniettati di sangue mentre passava lo sguardo per la cucina, lentamente quello sguardo un po' incredulo e un po' irritato arrivò sulla mia figura.
-A meno che non siano passati dei procioni in questa casa, c'è solo una spiegazione Lia- disse avvicinandosi lentamente a me, avevo lo sguardo basso mentre mi torturavo le pellicine delle labbra.
Ero tremendamente in imbarazzo, non ero mai stata scoperta da quasi sei mesi a quella parte ma ora che Benedetta sapeva, ero sicura di trovarmi in un mare di guai.
-Un pacchetto di biscotti, due di patatine, i cracker della mamma, il cioccolato di papà e il latte! Lia, spiegami!- strillava mia sorella, nel frattempo il panico, la vergogna e il mal di stomaco non mi davano la possibilità di rispondere alle sue domande.
-Io...- balbettai alla rapida ricerca di una scusa, mi sentivo in uno straccio e Benedetta non sembrava intenzionata ad accettare risposte poco esaustive.
-Le mani, adesso!- aveva urlato lei, non avevo fatto in tempo a elaborare l'informazione che a un certo punto mia sorella mi aveva preso le mani e le aveva guardata, tenendole strette.
-Come pensavo. Lia che diavolo stai facendo?- domandò nuovamente senza lasciarmi un momento per formulare una risposta.
-Questi si chiamano segni di Russell, sono sulle mani delle persone anoressiche e bulimiche. Che diavolo pensi di fare?- chiese lasciando andare le mie mani e mettendo le sue nei capelli.
-Benny, per favore calmati. È tutto a posto- cercai di rassicurarla ma le mie parole non furono per niente utili, mia sorella divenne solo più irritata.
-No! Non è tutto a posto! Ti rendi conto di quello che hai appena fatto?- sbraitò per poi ringhiare tra i denti, lo fa solo quando è estremamente spazientita e in quel momento non riuscivo a trovare un ricordo che corrispondesse alla Benedetta che avevo di fronte a me.
-Da quanto va avanti? È stato qualcuno a spingerti a farlo? Qualche tua compagna ti ha consigliato che questo è il miglior modo per perdere peso? Non guardami in quel modo e parla, dannazione!- iniziò a chiedermi ma a ogni parola la sua voce si incrinava sempre di più, alla fine alcune lacrime le scesero lungo le guance.
-Quanto, Lia? Devo saperlo- mi pregò mia sorella con il petto che si alzava e si abbassava agli stessi ritmi di quando corre dietro al pallone da calcio.
-Sei mesi, forse sette- affermai con gli occhi bassi e le mani nelle tasche, Benedetta si passò una mano sul viso e poi prese un respiro profondo.
Stava cercando una soluzione senza dover comunicare della bulimia a mamma e papà, sapeva che sarebbe stato difficile spiegarglielo senza che dessero di matto.
È vero che i nostri genitori sono sempre stati molto rigidi ma appena una di noi due sta male, sono le persone più premurose di questo mondo, si fanno in quattro per aiutarci e se c'è qualcosa che possono fare non esitano a metterlo in atto.
-Ti rendi conto della gravità della cosa? Mamma e papà darebbero di matto- iniziò a farneticare Benedetta con le mani sulla testa, è una persona orgogliosa e in quel momento ero certa che stava cercando un modo per darmi una mano.
-D'ora in poi mangerai con me- aveva sentenziato e in pochi secondi aveva preso le scale e si era chiusa nella sua stanza mentre io avevo iniziato a sistemare la cucina ed ero andata ad acquistare ciò che avevo mangiato.
Non uscì da lì per tutto il pomeriggio, scese solo per l'ora di cena, aveva gli occhi rossi e quando papà le chiese spiegazioni, lei rispose dicendo che le era entrato lo shampoo negli occhi, si sedette accanto a me e mi osservò per l'intera durata del pasto.
Nelle settimane seguenti Benedetta mi aveva tenuta sotto controllo a ogni pasto, a colazione, a pranzo e a cena mangiavamo le stesse cose e durante la giornata dovevo consumare un'intera borraccia di acqua riempita da lei stessa.
Ciò che mia sorella non sapeva era che durante la sua assenza assumevo diuretici e lassativi che conservavo in un angolo nascosto della mia stanza dove nessuno guardava mai.
Era il cassetto dei bozzetti segreti, era chiuso a chiave e nessuno poteva aprirlo se non io con la chiave che portavo sempre in tasca.
Tenevo dei bozzetti lì dentro perché erano le future creazioni che avrei realizzato con le mie mani ed erano anche riservate a mia sorella e a qualunque altro famigliare.
Compravo felpe sempre più grandi, in parte per mascherare il gonfiore di stomaco che mi provocano le abbuffate e a cui non potevo porre rimedio con il vomito perché mia sorella mi seguiva ovunque e in parte per coprire quei dannatissimi segni di Russell che mi rimanevano sulle nocche quando vomitavo a scuola.
Avevo un "mio bagno", in un corridoio dove non passava mai nessuno; era lì che eseguivo la mia pratica rituale. All'intervallo mentre tutti gli altri erano in classe a gustarsi le loro merendine, io mi alzavo e nascondevo i miei dolcetti nelle tasche enormi delle felpe.
Andavo in bagno e credo che ormai la pratica vi sia nota.
Benedetta controllava ogni mio movimento ma ciò che non sapeva era che quando lei era fuori, io mi strafogavo e svuotavo la dispensa.
Mangiavo qualsiasi cosa mi capitasse tra le mani e poi mi chiudevo a chiave in bagno, avevo pianificato un metodo per evitare che Benedetta mi scoprisse di nuovo. Prima di incominciare ad abbuffarmi le inviavo una foto dei gattini che le piacciono tanto.
Se il messaggio su Whatsapp presentava una spunta sola, voleva dire che stava ancora svolgendo i suoi corsi e che il avevo tutto il tempo per le mie pratiche usuali. Al contrario, se il messaggio presentava due spunte, salivo rapidamente le scale e mi chiudevo in camera a disegnare, cercando di vincere la morsa della fame.
Di notte, mentre tutta la casa dormiva, io svolgevo i compiti che non avevo fatto durante la giornata e poi mi allenavo, alle spalle di mia sorella.
Proseguimmo in questo modo per circa quattro mesi e poi la situazione degenerò.
Un giorno ero fuori a fare una passeggiata sotto il sole non troppo caldo che c'è ad agosto in Valle D'Aosta con le cuffie nelle orecchie, non sapevo che nel frattempo, a casa, Benedetta stava frugando tra le mie cose.
Pochi giorni dopo sarebbe stato il compleanno di nostra madre e avevo confezionato per lei un vestito bellissimo che era nascosto nel mio armadio. Lei non avrebbe mai pensato di guardare lì dentro, desiderava guardare nel mio cassetto segreto perché voleva vedere il bozzetto ma io ero tranquilla poiché avevo la chiave nella tasca.
Invece mi sbagliavo.
La chiave era rimasta sulla mia scrivania, Benedetta aveva aperto il cassetto e ci aveva trovato dentro le scatole dei prodotti farmaceutici.
A quel punto aveva capito di aver fallito.
Così è andata da mamma e papà, rivelando tutto ciò che sapeva.
Quando sono tornata a casa dalla mia passeggiata ero stata chiamata in cucina e quando avevo messo piede nella stanza avevo avvertito un'aria pesante.
Davanti ai miei genitori c'erano le due scatole e io le fissavo con gli occhi spalancati, Benedetta aveva gli occhi bassi come se mi avesse fatto un torto e non volesse guardarmi in faccia.
-Lia, siediti- aveva sentenziato la mamma in un sussurro, avevo preso posto accanto a mia sorella al tavolo della cucina e non avevo posto il mio sguardo sui miei genitori ma su mia sorella.
-Che gli hai detto?- domandai in tono gelido, mia sorella non mi rispose e dopo aver preso un respiro, mentre avevo i nervi a fior di pelle, dissi:-Ti ho fatto una domanda, sei pregata di rispondere-
-Mi dispiace. Davvero, Lia- mi supplicò mentre alzò la testa per degnarmi di uno sguardo, sul momento ero arrabbiata ma più avanti, durante il mio percorso di recupero ho capito che l'aveva fatto solo perché voleva aiutarmi.
Nei giorni seguenti, iniziai la terapia presso un centro specializzato e fu lì che incontrai Iris.
-Lia? Ti prego, esci da lì. Possiamo parlarne?- domanda la voce instabile di Charles dall'altra parte della porta.
Vuoi davvero ascoltarlo? Ti farà solo più male! Non ascoltarlo.
Mi sciacquo la faccia con dell'acqua fresca e poi mi osservo allo specchio, mi sento nello stesso modo di quando Benedetta mi ha scoperta a casa.
Prendo un respiro profondo e dopo essermi avvicinata alla porta, faccio scattare la serratura e mi trovo di fronte il viso segnato dalle lacrime del mio fidanzato.
Sono ancora ferma nel bagno, la linea che separa le piastrelle del bagno da quelle del resto della stanza segna una sorta di confine, come il pomerium romano tra Cesare e Pompeo.
Non posso attraversare quella linea senza far scoppiare una guerra.
Mi faccio coraggio e mentre Charles rimane ad osservarmi senza dire una parola, varco quella linea e mi pongo alla massima distanza che posso porre tra me e lui.
-Voglio solo che tu sia sincero con me- affermo osservando la punta delle mie scarpe, Charles annuisce mentre tira su con il naso e si passa le mani sul viso.
Bene, così staremo ancora male. Per fortuna che ci sono io che conosco i rimedi migliori.
-Chi è? Come l'hai conosciuta?- chiedo velocemente, il monegasco prende posto sulla sedia mentre io mi siedo sul bordo del letto morbido.
È una situazione surreale, sembra che ogni nostro movimento non sia vero e io mi sento fatta di gomma, la testa mi gira e le orecchie sono tappate.
-L'ho conosciuta a una delle feste di Riccardo, a Monaco- afferma Charles guardandomi fisso, come per dimostrarmi che quel suo contatto visivo è un modo per dire "ti sto dicendo la verità"
-C'ero a questa festa?- domando senza aspettare tanto, Charles scuote la testa e risponde:-No, eri a New York per la nuova collezione, quella di poco tempo fa-
Era a settembre.
Bene, quando il gatto non c'è i topi ballano! Non appena ti allontani lui va a puttane!
-Okay, che hai fatto?- chiedo torturando le pellicine a lato delle unghie, è una pratica che in famiglia abbiamo tutti per quanto riguarda il nervosismo.
-Ho bevuto un po' troppo e lei mi ha approcciato- racconta lui socchiudendo gli occhi come se stesse cercando di ricordare.
Oh di bene in meglio, e lui ci sta pure! Si può sapere che diavolo ti passa per la testa, screanzato?!
-Va' avanti- lo incalzo mentre mi mordicchio le pellicine della dita e quando ho torturato troppo una di esse, il sangue si estende sulla cuticola e passo al dito successivo.
-Ecco...- dice Charles con voce instabile, una sensazione fastidiosa mi percorre le viscere mentre rimango a fissare il viso del ragazzo davanti a me.
-Abbiamo ballato e mi è stata tanto vicino, ho bevuto parecchio e poi...- procede il monegasco mentre percepisco che qualcosa di peggiore sta cercando di uscire dalla sua bocca.
Ti avevo detto di prendere più Kit Kat! Ora come risolviamo il problema cuore spezzato?
-Ci siamo baciati- conclude, il respiro mi si blocca il gola e mantengo gli occhi chiusi mentre sento che da un momento all'altro potrei esplodere.
-Ci sei andato a letto?- domando con voce strozzata, pensando al peggio, il suo silenzio mi suggerisce che la sua risposta è affermativa.
-Oddio, ci sei andato a letto- esprimo in un sospiro e getto la schiena sul tessuto del materasso, mi stringo i capelli tra le mani.
-No, Lia. Non l'ho toccata con un dito- alza la voce lui.
-Bugiardo!- con uno scatto mi alzo nuovamente in posizione eretta, lo fisso con gli occhi sgranati e la gola in fiamme.
-Rispondi seriamente- lo obbligo con sguardo di fuoco, percepisco che con un'altra parola sbagliata potrei anche imboccare la porta della stanza e andarmene senza valige o altro.
Il suo mutismo non fa altro che incrementare la mia disperazione e la collera che sento montare dall'interno.
-Charles non puoi averci fatto nulla se questa "Nicole" ti ha chiamato starnazzando come un'oca e per giunta la salvi pure come Nico! Ma che cazzo hai nella testa?!- sbraito percependo gli occhi pizzicarmi.
-Ci sono andato vicino- risponde senza guardarmi in faccia.
Bravo, coglione.
-Cazzo!- urlo tra i denti, le mani trovano nuovamente rifugio tra i miei capelli e le lacrime iniziano a scorrermi sulle guance come fiumi in piena.
Lia, non ti ama. Non ti vuole. Esci dalla sua vita e chiudila una volta per tutte.
-Stiamo insieme da cinque anni, che diavolo pensavi?- singhiozzo mentre lo guardo sotto il velo delle lacrime, nonostante la vista sfocata posso distinguere che anche lui in questo momento sta versando delle lacrime.
Ma quali lacrime? Sì, lacrime da coccodrillo!
-Lia, non ho mai voluto tradirti. Devi credermi- proferisce con voce instabile, le mani mi tremano, la testa mi duole e i miei polmoni faticano a inglobare aria.
-Come posso crederti se me l'hai tenuto nascosto per due mesi?- chiedo tra un singhiozzo e l'altro, la sensazione che provo in questo momento è la stessa che avverto quando non mi controllo durante un'abbuffata.
Sono terrorizzata, spaventata e incapace di pensare lucidamente.
-Perché ti amo, Lia- bisbiglia con la voce roca, quella che al mattino mi piace tanto ma che in questo momento non riesco a sopportare.
Scuoto la testa e mi alzo dal letto, dall'armadio estraggo la mia valigia e inizio a riporci dentro tutte le cose che mi sono portata per questo Gp.
Faccio la spoletta tra la camera da letto e il bagno per raccogliere tutto quello che ho lasciato in giro per la stanza.
Charles mi prega di fermarmi, di parlarne e di trovare una soluzione, ma io in questo momento non ne vedo una possibile.
All'ennesimo richiamo del ragazzo moro, mi irrito ed esclamo:-Smettila! Non voglio parlarne qui-
Non riuscirò a dormire in questa stanza con Charles, non sopporterei l'idea di avere il suo sguardo colpevole addosso e soprattutto non riuscirei a guardarlo in faccia.
Chiudo la valigia e mi dirigo verso la porta ma prima che io possa mettere la mano sulla maniglia, Charles mi ha afferrata per un braccio cercando di trattenermi nella camera.
-Toglimi le mani di dosso o inizio a urlare come un'ossessa. Ne parliamo a Montecarlo, quando avrò metabolizzato la cosa- replico duramente, la mano di Charles lascia il mio braccio e in pochi secondi il pilota replica con un "sì".
Varco la porta della stanza e senza voltarmi indietro percorro il corridoio, mi asciugo le lacrime mentre chiamo un taxi e mi dirigo verso l'aeroporto diretta verso il Principato.
Non hai bisogno di lui, Lia. Hai bisogno solo di me. Con me andrà tutto bene. Hai fame?
Sì, ho fame.
Bene, mangiamo qualcosa.
Ciao belle stelle! Come stiamo?
Tutte mentalmente scosse? Spero che il capitolo vi sia piaciuto e se è così lasciate una stellina.
Abbiamo scoperto un nuovo personaggio ovvero Benedetta, la sorella gemella di Lia! Che ne pensate? Siete anche curiose di conoscere Iris che per ora abbiamo solo menzionato?
Spero che la risposta a tutte queste domande sia positiva!
Ci vediamo preso!
Splendete sempre,
-Lucre
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