Alle belle emozioni.
La suoneria del cellulare di Manuel si scontra con il volume della radio che canta.
Il traffico infernale tipico delle prime ore del mattino, in pieno centro a Roma, l'ha costretto all'ennesima sosta obbligata, le macchine sono completamente ferme e non sembrano avere alcuna intenzione di muoversi.
E il cellulare sembra non aver alcuna intenzione di smettere di suonare.
«Questo è Simone! Sicuro! Mò me dice "Manuel ho dimenticato la pen drive, ti prego amore me la porti??"» la voce stridula nell'imitare le solite suppliche del compagno lo fa quasi ridere
«E io come 'n cretino torno dietro e l'accontento! Sicuro! »
Continua a tastare con la mano il sedile passeggero per recuperare il telefono e, senza nemmeno guardare il display, risponde.
«Simone, dimmi »
«Signor Ferro? »
«Si? È successo qualcosa a Simone?! » il tono si fa allarmato, è più forte di lui.
Vorrebbe mantenere la calma, essere razionale nelle cose, ma quando nella mente si prospetta un qualsiasi scenario che possa includere un evento ai danni di Simone, il cervello s'annebbia.
La voce si fa tremolante e cupa, le mani iniziano a sudare e, in questo momento, allentano la presa sul volante, come venisse a mancar loro la forza.
«Signor Ferro, io non so nemmeno chi diavolo sia questo Simone! »
Meno male. Può tirare un sospiro di sollievo.
«Mi scusi, l'avevo-»
scambiata per un possibile poliziotto che mi comunicasse l'ennesimo casino in cui si è cacciato quel cretino de cui me so 'nnamorato senza strada de ritorno e che me fa rischiare mille infarti al minuto perchè è 'n imbranato senza speranza, sì.
«Mi dica.»
«La chiamo dall'istituto Garibaldi. In merito ad una supplenza annuale per la cattedra di Storia e filosofia. Lei è disponibile?»
Cervello in tilt, un'altra volta.
Dopo quasi un anno dalla sua laurea, una montagna di fogli compilati ed inviati a tutte le scuole di Roma e le attese, le maledette attese, di chiamate che non arrivavano mai, la primissima occasione di stare dietro una cattedra ed insegnare tutto quello che, negli anni, aveva assorbito come una spugna dalle pile infinite di libri che gli avevano lasciato informazioni e notti insonni.
«Io- si. Si, certo!»
«Perfetto! Allora l'attendiamo domattina, qui. Mi raccomando, passi prima segreteria!
Non lo dimentichi! »
«Sì! Sarò puntualissimo e-»
Le parole vengono meno.
Cosa deve fare un insegnante al suo primo giorno di lezione?
«Ci vediamo domani, grazie.» si limita a dire, ha ancora l'aria un po' confusa e controlla nervosamente il display per accertarsi che la chiamata sia chiusa prima di lasciarsi andare ad un urlo liberatorio che riempie l'abitacolo e le sue stesse orecchie.
«Professor Ferro! » esclama, con tono fiero e risoluto «Suona bene! Professor Ferro! »
Si immagina già all'interno dell'aula docenti, a colloquiare con i colleghi ed è il via all'ennesimo monologo.
«Salve, sono il professor Ferro. Sì, insegno Filosofia.
La filosofia, sa, apre le menti, insegna ai ragazzi a riconoscere gli strumenti che possano guidarli nel mondo. Li aiuta a ricercare una ragion d'essere della loro stessa esistenza, li aiuta a- »
Toh! Un posteggio!
Con un unica manovra verso sinistra, ferma l'auto nel posto vuoto che ha visto proprio all'ultimo secondo, durante il monologo tenuto di fronte a quegli stessi immaginari colleghi che adesso si congratulano con lui, lodando la sua preparazione.
«Mi perdoni, professor Ferro, per gli anni in cui non avevo compreso il suo potenziale» dice un immaginario professor Lombardi che si fa largo tra gli altri suoi colleghi.
Caspita, non è invecchiato di una virgola!
«Non si preoccupi, professore. Posso capirla! Non tutti sanno riconoscere un diamante allo stato grezzo. Ora, se non le dispiace, vado a trasmettere ai ragazzi la conoscenza.»
No, forse un po' troppo altezzoso.
«Non si preoccupi, professore. Posso capirla! Non tutti sanno riconoscere un diamante allo stato grezzo. » annuisce soddisfatto, guardando il proprio riflesso sullo specchietto retrovisore.
Questo ci sta.
«Ora, vado a spiegare. La classe mi attende.»
Meglio.
Recupera il cellulare che, complici i movimenti dell'auto, è scivolato per terra e adesso giace sui tappetini sporchi della vettura.
Lo afferra con entrambe le mani per comporre un numero, avvicinandolo poi all'orecchio mentre scende dall'abitacolo, chiude l'auto pigiando distrattamente sul piccolo telecomando con il quale ora giocherella nervosamente, lasciandolo scorrere tra le dita.
«Manuel?»
«Amore mio! Ho una grande novità da darte, amò! Stasera si festeggia! »
Una lieve risata di Simone arriva diretta alle orecchie e sembra scorrere rapida fino al cuore.
Lo riempie in un istante, scaldandolo ed è come una luce che si propaga direttamente dal suo petto.
«Amore ti sento bello carico, eh! e che festeggiamo amò?»
«E non te lo posso dire! Però festeggiamo, però io sò felice amore. Tu sei felice?»
«E certo che sono felice se tu sei felice. Ma tu sei arrivato in officina? »
«Si, sò arrivato e già non vedo l'ora de tornà.
Amò, tappate n'attimo le orecchie che devo tirà sù la saracinesca! »
Simone allontana qualche istante il cellulare dall'orecchio, sentendo il rumore sordo della saracinesca che viene issata e che sbatte violentemente contro la cornice di mattoni che la blocca.
Lo riavvicina e «Amò?»
«Sto qua, sto qua.» la voce di Manuel torna ad essere al volume precedente
«Amò ma secondo te-» una risata gli sfugge via, già ancor prima di chiedere «- secondo te, Lombardi... insegna ancora?»
Un'espressione in bilico tra lo stranito ed il confuso si palesa sul volto del più piccolo.
Inclina leggermente la testa come un cucciolo, le sopracciglia aggrottate, le labbra schiuse.
«Lombardi? Mah, sono passati un paio di anni. Credo - credo sia in pensione.» abbozza, con tono incerto. «Ma che te frega de Lombardi?»
«Niente, niente. Poi te spiego. » taglia corto il maggiore, soffocando una risata.
«Senti, vuoi che te passo a prendere appena finisci de lavorà? »
«No, tranquillo. Ci vediamo direttamente a casa; se riesco, torno pure un po' prima.»
«Come voi... Oh, amò. Ti amo. Me raccomando, stai attento per strada.»
«Anche tu. Ci vediamo a casa.»
Per le diciotto in punto, Manuel arriva a casa.
Controlla l'orario poco prima di salire, la giornata si è ridotta ad essere una costante lotta contro il tempo nella speranza di rientrare in casa prima di Simone, così da far trovare tutto pronto al suo rientro.
Sistema il tavolo quadrato al centro del salotto. Due sedie ai lati opposti.
Posiziona la tovaglia più bella che trova in uno dei cassetti della cucina- dev'essere un regalo di Anita, crede di non aver mai speso un singolo euro per una tovaglia- sulla superficie piana.
Apparecchia per entrambi, adornando la tavola anche di qualche petalo che strappa da uno dei fiori delle piante di cui si prende cura Simone.
Appena se ne accorge me mena - pensa, osservando il tavolo ormai pronto - Vabè, ce stanno carini.
È intento a spadellare ai fornelli quando sente il rumore delle chiavi di Simone girare nella serratura ed aprire la porta.
«Manu? Come mai sei rientrato così pre- »
Le parole gli muoiono in gola alla vista del tavolo pronto, i petali, la stanza illuminata da piccole candele che creano atmosfera.
«Amore ma che hai combinato?»
La voce stupita del più piccolo, seppur bassa, raggiunge Manuel.
Un sorriso si fa largo sulle sue labbra.
Sperava di stupirlo al suo rientro e, a quanto pare, il piano ha funzionato.
Sente i passi di Simone raggiungerlo fino ad abbracciarlo da dietro, poggiando la testa sull'incavo del suo collo.
«Amore, ma cosa festeggiamo?» mormora Simone.
«'N paio de robe... » . Infilza con la forchetta un pezzo di guanciale direttamente dalla padella nel quale si sta cuocendo, la solleva in aria, portandola alla bocca del compagno «Assaggia.»
«Prima te bacio e poi assaggio. »
«Viè qua.»
Con una piccola giravolta tra le braccia di Simone, Manuel si ritrova a dare le spalle ai fornelli e a guardare negli occhi Simone.
I loro nasi si sfiorano qualche istante, prima che le loro bocche si uniscano per concedersi un lungo bacio.
Le mani di Simone scivolano lungo i fianchi di Manuel, lo tengono stretto, tirandolo a sé.
Stanno facendo l'amore, anche se hanno ancora i vestiti addosso.
«Ti amo Simò. Ti amo, ti amo. »
La lingua del più piccolo saetta nella bocca di Manuel, a zittirlo.
S'intreccia con quella dell'altro in una frenetica danza, fino a scivolare fuori, percorrere le sue labbra, spostandosi sulla guancia per raggiungere il collo sul quale lascia una scia di umidi baci.
«Te devo dì 'sta notizia.»
È in quell'istante che Simone slega l'abbraccio, si ricompone un attimo, poggiando la schiena sul bancone della cucina. «Dimmi»
«Prima ce accomodiamo? Me concede questa cena a lume di candela?»
Simone sbuffa una risata, stringe la sua mano, lasciandosi guidare verso il salotto.
Si ritrovano seduti al tavolo, l'uno di fronte all'altro.
La mano destra di Manuel stretta nella sinistra di Simone.
Poggiano entrambe sul tavolo, al lato dei piatti.
«Allora, amore. Te dico la novità. »
«Aspetto da tre ore,Manu, spara! »
«Amò, m'hanno convocato pe' insegnà! Incarico annuale! Amore, io! Docente! »
«Amore ma è una notizia bellissima!»
Il tono entusiasta di Simone come reazione alla notizia gli scalda il cuore, così come il vederlo sporgersi verso di lui per baciare le sue labbra.
«Lo so che è solo un anno, però me da la sensazione che possa sperà d'avere un contratto sistemato, un giorno.
Un lavoro onesto, che ce possa tornà utile pure come garanzia pe' i nostri progetti...»
Non vorrebbe mostrare tentennamenti del suo entusiasmo, ma ora che spiega tutto a Simone si rende conto della precarietà.
Quella parola, tanto sentita nei telegiornali, gli piomba addosso di colpo.
Lo fa quasi con violenza, costringendolo a distogliere lo sguardo dal volto del compagno.
L'ansia morde le sue caviglie, gli occhi si fanno lucidi.
«Amore, tutto tornerà utile.
E poi chissà, magari è solo un anno o magari continua! Quello che conta è che qualcosa si muove nel verso giusto. No? L'importante è che - » allunga una mano verso il suo volto, sollevandolo piano e incrociando i suoi occhi
«- l'importante è che tu riesca a godere del fatto che i tuoi sogni si stiano avverando.
Magari lentamente, ma si stanno avverando.
Ed è un'emozione bella. Non devi lasciarla andare.»
Gli sorride, mentre accarezza il dorso della sua mano per poi sollevarlo e baciarlo piano.
« Propongo un brindisi! A te, amore mio. »
Riempie i due calici di vino e solleva quello di fianco al suo piatto,inclinandolo appena verso il compagno.
Il maggiore lo imita qualche istante dopo.
I due bicchierini tintinnano all'unisono.
«A te, a noi e alle emozioni belle. »
«A te, a noi e alle emozioni belle. »
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NOTE AUTRICE:
Questa volta li salutiamo davvero, questi Manuel e Simone.
La stesura di Traguardi è stato un viaggio tortuoso, che ha subito molte pause nel tempo, motivate dal fatto che non riuscivo a lasciarli andare.
Questo capitolo, però, credo sia una degna conclusione.
Vi ringrazio per aver letto e spero vi sia piaciuta.
E come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti.
Un abbraccio grandissimo.
Vostra, G. ❤
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