|17| Secondo anno
Due mesi dopo...
A settembre, tutti i ragazzi erano pronti per tornare a scuola dopo tre lunghi mesi di vacanza.
Ormai, Nick e Leo erano già in seconda e avrebbero avuto un'altro anno di scuola davanti...
Si ritrovarono a pochi metri dalla scuola, vicino ad un bar.
«Chi si rivede!» urlò il capitano, col cuore colmo di gioia.
«Ma buondì, capitano!» rispose il rosso, che stava già andando in direzione dell'amico per abbracciarlo.
«Cavoli, già in seconda!» continuò Leo.
«Già. Com'è volato il tempo...»
«Chissà quest'anno cos'avrà da offrirci...»
«Chi lo sa. Solo vivendo potremo scoprirlo»
A quelle parole, il cuore di Leo si sciolse: poesia, pensò, ma anche saggezza.
Nick aveva ragione: solo vivendo avrebbero potuto scoprire cosa potrebbe accadere in futuro...
Si diressero verso l'ingresso, cercando di non fare tardi, ed entrarono.
Gli era mancato respirare l'aria carica di tensione che fuoriusciva da tutti gli studenti, di camminare nei corridoi quasi sempre vuoti, di starsene chiusi in bagno a pensare...
Entrarono nella loro classe, che era rimasta uguale a tre mesi prima: banchi disposti in ordine, finestre aperte e cattedra davanti alla porta.
Tutto uguale.
Entrati, scelsero i due banchi nuovi, che quel giro scelse Leo: ha deciso una coppia di banchi davanti alla cattedra e in ultima fila: tanto, ai professori andava bene che stessero insieme in banco, perché non disturbavano mai ed erano sempre attenti.
Poco per volta, cominciarono ad entrare anche gli altri studenti della 2^D, che nemmeno quelli erano cambiati: si salutarono e si sedettero ai nuovi banchi.
Poi, entrò in classe l'unica persona che Nick e Leo non avrebbero mai voluto rivedere.
Elisabetta.
Lei li ignorò completamente; salutò ragazzi e ragazze e si sedette accanto a Sara, che quest'anno si era messa nei banchi accanto a quelli del rosso e del capitano.
O cazzo, non doveva mettersi lì... pensò Leo.
Spero che quest' anno non ci crei problemi, quella stronza, pensò Nick.
Alle otto e mezza precise, arrivò la Smith, che salutò con calore tutti i ragazzi.
La classe adorava la loro insegnante di lettere, perché, nonostante avesse una certa età, era simpatica, insegnava bene e faceva da psicologa agli alunni, ascoltandoli con una serietà innata, per poi aiutarli a ragionare.
Insomma: una Momo del liceo.
Fecero il punto sugli argomenti, e poi la prof li lasciò liberi per un po', lasciandoli sfogare.
Poi, le due ore successive, hanno avuto Richin e la Grucis: si sono salutati, hanno chiacchierato su come fosse andata l'estate e... basta.
La ricreazione arrivò piuttosto in fretta quel giorno, e i due amici si catapultarono fuori dalla classe come cavalli pazzi.
Andarono al loro solito posto vicino alla classe, a chiacchiere e a bere un cappuccino, in caso di noia eccessiva.
«Ma... Per ora, orario decente. Speriamo bene...» confessò Leo.
«Hai ragione. Comunque, il fatto che abbiamo Elisabetta vicino a noi mi sale il vomito»
«Idem...»
Si girarono e fissarono il pollaio di Sara, alla quale si era aggiunta anche la troietta.
«Non so cosa ci trovi di divertente in quella gallina, ma per me va più che bene» sussurrò il rosso, e il capitano si mise a ridere.
Al suoni della campanella, anch'esso rimasto uguale a come se lo ricordavano, tornarono tutti nelle rispettive aule, a riprendere le lezioni.
Le due ore successive ebbero prima Richin e poi la Smith, di nuovo.
La scuola non poteva partire meglio.
A l'una, come sempre, la campana suonò la fine delle lezioni e ogni studente corse come una gazzella verso l'uscita; Nick e Leo, come sempre, uscirono quasi per ultimi.
Fecero un pezzo di strada assieme e poi si separarono.
«Che botta di culo oggi, non credi?» disse il rosso.
«Già, hai ragione» rispose l'altro col sorriso stampato in viso.
«Buon rientro, Capitano!»
«Anche a te, Rosso» concluse, dandogli il pugno.
Leo si voltò e si diresse verso casa: le farfalle danzavano dolcemente nel suo stomaco, facendo sentire al ragazzo un fastidio lieve e piacevole.
Invece, Nick rimase lì, a fissare il suo migliore amico camminare: il cuore martellava su dei chiodi ininterrottamente, e i polmoni necessitavano aria.
Chissà se un giorno accadrà, mio dolce capitano... pensò, prima di voltarsi e di incamminarsi verso casa, a scacciare via ogni negatività dal suo umile corpicino.
Da questo punto, il narratore sarà Nick.
Un mese dopo...
Il primo mese di scuola andò a meraviglia, secondo il mio punto di vista.
Elisabetta, che sinceramente la voglia di nominarla mi sta passando sempre di più, non ci ha rivolto più parola per tutto settembre.
E non sapete quanto ci ho goduto: ha fatto soffrire sia Leo che me, cosa che non ricapiterà mai.
Ottobre era cominciato, e per il momento non ci diedero ulteriori interrogazioni o verifiche, cosa che apprezzai molto.
Io e il mio capitano, come al solito, ci siamo ritrovati al bar vicino scuola mezz'ora prima che iniziassero le lezioni.
Io arrivavo sempre prima di lui: mi piaceva vederlo arrivare e, quando mi vedeva e sorrideva, le farfalle nel mio stomaco danzavano graziosamente.
Arrivò e si catapultò immediatamente su di me, stringendomi talmente forte che quasi non riuscivo a respirare.
Ormai il nostro rapporto è sempre più stretto e ci vogliamo sempre più bene. Addirittura, dei nostri amici ci spacciano quasi per fidanzati...
Magari, penso io.
«Buongiorno, Rosso!» mi disse, sempre incollato al mio esile corpo.
«Ciao, Leo» risposi io, cercando il più possibile di non balbettare.
Prendemmo un tè al bar, lo bevemmo con foga e ci siamo diretti verso scuola, per prendere posto e goderci quei pochi minuti di silenzio che ci sono fino a cinque minuti prima delle lezioni.
Arrivati in classe, abbiamo visto qualche nostro compagno, che di solito a quell' ora non c'era: li abbiamo salutati e ci siamo seduti ai nostri posti, rivedendo i vari compiti assegnati per quel giorno.
Rivedendo gli esercizi di matematica, improvvisamente la mano del mio migliore amico sfiorò la mia; se ne accorse e si girò verso di me, guardandomi sorridendo. Io ricambiai il sorriso, per poi subito dopo distogliere lo sguardo e continuare a correggere gli esercizi.
Alle otto, quando tutti presero posto, entrò l'insegnante di laboratorio scientifico, le due ore più noiose di sempre che, stranamente, quel giorno passarono piuttosto velocemente.
L'ora prima della pausa, abbiamo avuto matematica, dove abbiamo corretto gli esercizi.
Finite le tre ore strazianti, uscimmo dalla classe e io e Leo andammo vicino alle macchinette, per prenderci un cappuccino e fare una pausa.
«Che orario di merda il mercoledì, non credi?» mi chiese lui, mentre sorsava il suo cappuccino.
«Già, fanno proprio cagare le prime tre ore» proferì.
Finimmo i caffé e tornammo immediatamente in classe: ci piaceva di più passare le ricreazioni lì, così rischiavamo di meno ad aver a che fare con quella troia, che era sempre a pochi metri da noi, che parlava con quella gallina di Sara.
«Comunque... S-scusa per prima» mi disse improvvisamente.
Io mi limitai ad annuire e i miei occhi andarono ad osservare il mio banco pieno di roba: libri, quaderni, l'astuccio, il diario e i bigliettini che mi scriveva il capitano.
Notai poco dopo che mi parlò che... Leo aveva balbettato...
Com'era possibile? Non l'avevo mai sentito balbettare prima con me.
Questa cosa mi fece sobbalzare il mio piccolo cuoricino fuori dalla gabbia toracica per poco più di un secondo.
Tornò anche Richin in classe e poco più tardi eravamo tutti a fare lezione: l'ora dopo avevamo Inglese, e non vedevo l'ora!
Dopo l'ora con la Grucis, nella quale quel giorno si era rivelata una prof gentile e più simpatica del solito, io e Leo siamo usciti, come sempre per ultimi.
«Che stanchezza oggi!» cominciò lui; io annuì, senza aggiungere altro a parole.
Poi, lui continuò:
«Senti, Nick... Ti andrebbe di venire da me oggi, così rivediamo i compiti per domani?»
A quella domanda all'inizio mi paralizzai; poi, mi girai verso di lui, squadrandolo da capo a piedi. Poi, diedi la mia risposta:
«Certo Leo, mi farebbe molto piacere!» un sorriso sul volto mio e quello del mio migliore amico si accese, per poi legarci in uno dei nostri soliti abbracci che mi fan diventare la faccia color fragola.
Ci siamo staccati e ci siamo incamminati verso casa di Leo; in poco meno di dieci minuti eravamo arrivati. Entrammo, levammo le scarpe e vorremmo per raggiungere la camera del capitano, occupata in quel momento dal fratello.
Il fratello gemello di Leo mi aveva detto che si chiamava Davide: era totalmente diverso da suo fratello, in tante cose: stile punk, capelli poco sotto le spalle e lisci come spaghetti e molto più in carne rispetto a Leo.
Per fortuna, è riuscito a farlo andare via dalla camera, dato che c'ero io e non voleva che stessimo solo in salotto.
Entrati, appoggiammo la roba e preparammo le scrivanie: io avrei utilizzato quella di Davide.
Dopo cinque minuti, avevamo libri e quaderni aperti per fare i compiti del giorno seguente o ripassare qualcosa.
Lavorammo molto intensamente per circa un'ora e mezza abbondante, e poi abbiamo fatto una pausa, giocando ovviamente con la Nintendo Switch.
Finita la pausa, siamo ritornati alle scrivanie per finire di ripassare Storia, e Leo mi si avvicina:
«Nick, non ho capito questo» disse, indicandomi un paragrafo, «Me lo potresti spiegare?»
Ero talmente concentrato ad ascoltare la sua incantevole voce, che non mi ero nemmeno accorto che il suo braccio attraversa ale mie spalle: quando me n'ero accorto, iniziai subito ad ansimare: il viso aveva cominciato a bruciare e le farfalle nel mio stomaco danzavano più violentemente che mai.
«Certo che te lo spiego, Leo» risposi, cercando di nascondere l'imbarazzo del momento.
Presi il libro e andai vicino al mio capitano, spiegandogli i concetti di quel paragrafo.
«Grazie Rosso!» mi disse finita la spiegazione e, come sempre, mi ha stretto in un abbraccio.
«Figurati, capitano!»
Abbiamo continuato per altri tre quarti d'ora, per poi chiudere i libri e rilassarci; peccato che quel momento era durato poco.
Mia madre mi chiamò per dirmi che dovevo tornare a casa: effettivamente, si erano fatte le cinque e mezza tra una cosa e l'altra.
Recuperai le mie cose e scendemmo. Mi fermai davanti alla porta d'ingresso per salutare il ragazzo che mi piace.
«Grazie Nick per il pomeriggio passato insieme»
«Figurati, grazie a te» e lo abbracciai.
Slegato da quel ben di dio di corpo, aprì la porta e uscì, per dirigermi verso casa.
Quella giornata è stata particolarmente bella e, in certi casi, anche fastidiosa: una delle giornate in cui le farfalle che vivono nel mio stomaco hanno dato quel fastidio sopportabile.
E, a dirla tutta, mi è piaciuto tanto tutto questo.
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Sempre meno al grande momento...
Lasciate una 🌟, come fate sempre (VI ADORO) e seguitemi, se non l'avete ancora fatto: chi mi segue, lo seguirò senz'altro :')
Bye guys 🍙 💙
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