4. Vernice rossa
Il venerdì era di solito la giornata più movimentata nella libreria. La settimana giungeva al termine, il giorno dopo non c’erano lezioni e in molti decidevano di passare il pomeriggio in cerca di una nuova lettura. A dirla tutta a me piacevano i venerdì, i clienti entravano e uscivano a un ritmo serrato e questo non mi dava il tempo di pensare o litigare con Raiden… ma quel venerdì era diverso. L’autunno era alle porte, il cielo era di un intenso grigio perla e da diverse ore, ormai, non smetteva di piovere. Non avevamo visto l’ombra di un cliente da quando avevamo aperto.
Il silenzio veniva interrotto solo dal ticchettio regolare delle lancette dell’orologio appeso al muro, ogni tanto mi capitava di sentire Raiden sospirare dal suo lato della libreria, niente di più. Per passare il tempo avevo anche provato a riorganizzare i libri seguendo un ordine cromatico ma a un certo punto avevo perso la pazienza: il verde di “Dove volano le rondini” era di una tonalità troppo scura per stare accanto al verde di “Fighting for love”, e non riuscivo a trovare nessun libro di un colore adatto a fare da transizione. Mi accasciai sulla mia sedia girevole e dondolai le gambe, le mie vecchie adidas ingrigite strusciarono fastidiosamente sul parquet. Il mio cellulare era scarico, alla radio davano una canzone fin troppo country e Raiden continuava a sospirare a pieni polmoni.
Mi massaggiai le tempie, iniziavo ad avere mal di testa e mal di gola. Guardai l’orologio sul muro: erano solo le cinque… mancavano ancora due ore alla chiusura.
Potevo anche andarmene, la signora Sullivan era stata abbastanza chiara al riguardo: se non c’era molto da fare e se non c’erano clienti non era necessario che restassimo entrambi. Solitamente era Raiden ad andarsene, gironzolava tra le corsie giusto il tempo di assicurarsi che fosse tutto in ordine, poi raccattava le sue poche cose e toglieva le tende. Io non l’avevo mai fatto, aspettavo sempre l’orario di chiusura. Quando la signora Sullivan veniva a portare le chiavi portava anche dei dolcetti per me e, prima di tornare a casa, passavamo sempre un po’ di tempo a parlare del più e del meno. Io le raccontavo come avevo passato la giornata e lei mi parlava di come stava proseguendo il suo ultimo progetto: lei e una sua amica stavano scrivendo un libro di cucina da alcuni mesi e mancava ormai poco alla data di pubblicazione.
«Annika?»
«Cosa c’è?» mormorai senza spostarmi, non avevo alcuna voglia di vedere la sua faccia.
«Vieni», insistette Raiden.
Con un sospiro mi alzai dalla sedia, mi trascinai all’ingresso a malavoglia, Raiden era seduto a braccia conserte dietro la cassa.
«Cosa?»
«Lo sapevi che i pinguini hanno le ginocchia?»
E?
«E sapevi che i serpenti non sbattono le palpebre?»
Lo fissai in un misto di rabbia e confusione.
«Che cazzo stai dicendo?»
Raiden fece un piccolo sorriso beffardo, le sue sopracciglia si stesero mentre mi indicava il vecchio schermo del computer della libreria. Era un pezzo di antiquariato lento come una lumaca, ma funzionava ancora bene se sapevi usarlo.
«Sto leggendo un articolo sugli animali e le loro particolarità»spiegò.
Mi fece l’occhiolino, perché era un idiota e niente poteva cambiare questa verità, ma per la mia sanità mentale finsi di non averlo visto.
«Non hai cose più produttive da fare?»lo canzonai.
«Ovvero?»
«Non so… trovare la cura alla calvizie, ad esempio?»
Qualsiasi cosa che non includesse me andava bene a essere onesti. Volevo semplicemente essere lasciata in pace, ma Raiden sembrava sempre pronto a rifilarmi una qualunque delle sue idiozie. Era uno studente mediocre, a mala pena nella media, eppure lo trovavo spesso intento a leggere articoli scientifici dedicati a bizzarre curiosità. Avevo iniziato a pensare che me ne parlasse solo per il gusto di vedermi senza parole.
«Perché dovrei? Non sono calvo.»
Come a volerne dare una prova, si passò una mano tatuata tra i folti capelli scuri.
«Ma potresti diventarlo»gli ricordai, un sorriso crudele nacque sulla mia bocca.
Proprio in quel momento il campanello sopra la porta suonò, era appena entrato un signore in giacca e cravatta. Sulla punta del naso aveva appollaiati un paio di occhiali dalla montatura sottile, ma la prima cosa che notai fu la sua testa… liscia come una palla da bowling. Raiden non si trattenne, scoppiò in una fragorosa risata. Io cercai di essere più professionale, ingoiai a fatica le risate e gli andai incontro per accoglierlo.
Alla fine, dopo al poveretto con la testa liscia, entrarono solo altre tre persone prima che si facessero le sette.
«Non aspettiamo tua madre?»domandai quando mi accorsi che Raiden stava già spegnendo le luci.
Fuori non era ancora tramontato il sole, ma per colpa delle nuvole era abbastanza buio da sembrare notte inoltrata. Almeno aveva smesso di piovere, il mio ombrello si era rotto quella mattina mentre scendevo dall’autobus, esattamente come l’ombrello precedente e quello prima ancora. Io e gli ombrelli avevamo dei trascorsi non indifferenti.
«Aveva da fare, mi ha dato le chiavi per chiudere.»
E questo spiegava perché Raiden non se ne era andato quando la giornata si era dimostrata la più noiosa degli ultimi due mesi. Se solo avessi saputo che toccava a lui la chiusura quel giorno, me la sarei data a gambe levata alla prima occasione. Spensi il computer, ricontrollai di nuovo l’incasso prima di consegnarlo a Raiden e alla fine indossai giacca e capello pronta per uscire.
«Vuoi un passaggio?»mi chiese dopo aver abbassato la serranda.
«Preferirei farmi la strada da scalza piuttosto», risposi sinceramente.
Avevo l’orticaria al solo immaginarmi rinchiusa in un piccolo abitacolo mentre respiravo l’anidride carbonica prodotta da Raiden Sullivan!
Raiden alzò gli occhi al cielo con fare teatrale. Le sue labbra sottili si stesero in un ghigno antipatico; probabilmente si aspettava una risposta simile e me l’aveva chiesto proprio per vedermi nauseata dalla proposta. Era un ragazzo semplice lui, si divertiva con poco e quel poco il più delle volte consisteva nel rendere la mia esistenza miserabile.
«Domani mattina apriamo mezz’ora più tardi»
«Va bene», sospirai.
«Porto la colazione», disse prima di imboccare la stradina verso la sua auto.
Quel giorno era venuto a bordo del suo incredibile bolide: una honda accord del 95 a cui mancava un copri cerchione e con una portiera di un colore differente rispetto al resto della carrozzeria.
«Caffè nero e senza zucchero»gli ricordai.
Raiden alzò il medio in risposta, ma nel farlo i fili con cui aveva cucito il tessuto bucato del suo zaino si strapparono. Il contenuto della borsa, un insieme di libri scolastici e altre cianfrusaglie varie, crollarono al suolo. Il fragore si riverberò per la strada deserta e io non trattenni le risate.
«Fanculo!»imprecò mentre si inginocchiava sull’asfalto bagnato ancora di pioggia.
I capelli gli coprirono il volto pallido. Lo fissai raccogliere le sue cose senza nemmeno fingere di volerlo aiutare, Raiden mi guardò in cagnesco da sotto una tenda di ciglia scure. Leggevo la sua rabbia perfino nel movimento con cui le sue mani afferravano gli oggetti, la stretta solida con cui intrappolò il bicchiere d’acqua semi vuoto… la plastica si deformò con uno scricchiolio agghiacciante nel suo palmo.
All’angolo della mia visuale notai d’improvviso qualcosa di piccolo rotolare verso di me. Mi abbassai per raccoglierlo, ma prima che potessi toccarlo Raiden lo prese e lo infilò nello zaino.
«Cos’era?»chiesi, anche se avevo visto benissimo che era una bomboletta spray di vernice rossa.
Raiden non incontrò il mio sguardo, si impegnò piuttosto ad aggiustare la presa sullo zaino per evitare che cadesse tutto di nuovo. La sua espressione era insignificante, ma le sue braccia erano rigide e potevo quasi vedere la vena sul suo collo pulsare a un ritmo serrato.
«Niente», mormorò incolore.
Prima che potessi fargli altre domande mi diede le spalle. Accellerò il passo fino a raggiungere la macchina, non si voltò a guardarmi neppure una singola volta mentre saliva e metteva in moto. Io rimasi a fissare la vecchia honda svoltare l’angolo e poi sparire, inghiottita dal traffico della città.
Raiden non aveva l’aria del delinquente. Non avevo neppure preso in considerazione le parole di Riley quando mi aveva detto delle voci che giravano a scuola, ma ero abbastanza sicura di ricordare che le scritte sulle mura dell’aula di arte erano difatti rosse.
°•°•°•°•°
È stato lui o non è stato lui? 👀
~Snow White ❄️
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