12. Hide and seek


«Scrivete qua i vostri nomi - ci disse la donna dietro al bancone porgendoci un grosso quaderno - i ragazzi sono in giardino.»

L’orfanotrofio era situato in una zona isolata dalle città circostanti. Infossato com’era in mezzo alla foresta l’edificio era invecchiato male, l’edera saliva sulle mura fino a raggiungere il tetto scolorito. L’intonaco, che un tempo doveva essere stato bianco, ora tendeva a un giallo-marroncino sgradevole. Gli infissi delle finestre e le porte erano tutte dello stesso legno ammuffito… lì dentro c’era puzza di desolazione.

Non mi piace.

Era tutto così vecchio, rotto o arrugginito. Perfino il pavimento sotto i nostri piedi aveva le piastrelle per lo più crepate. Quello non era un luogo sicuro per dei bambini.

Io e Raiden camminammo per un po’, attraversammo corridoi pieni di orribili dipinti e sale allestite da mobili scassati. Alla fine, giungemmo alla porta che si apriva sul retro dell’orfanotrofio.

Il giardino era stato seppellito dalle erbacce; un’altalena dalle funi strappate giaceva abbandonata in un angolo, e al centro del cortile c’erano due panchine di metallo verde. Alcuni bambini erano appollaiati su di esse, gli altri erano seduti a terra, fra l’erba e le foglie secche, a gambe incrociate e chiacchieravano a voce bassa.

Un gruppetto di tre ragazzi, invece, si stava passando senza troppo impegno un pallone da calcio sgonfio.

Erano in pochi, ne contai soltanto tredici, e Triny era fra loro… stava strappando i gambi dei fiori appassiti che aveva sotto al naso. Il suo sguardo era appassito almeno quanto quei petali.

«Cosa sono questi musi lunghi?!»

Raiden scese gli ultimi gradini per poterli raggiungere, calpestò l’erba con la stessa sicurezza con cui aveva irrigidito le spalle.

Uno scoppio di grida seguì la sua comparsa; i ragazzi si gettarono come una valanga su di lui. Lo soffocarono in abbracci e carezze e non mi resi conto che stavo sorridendo finché non mi fecero male le guance.

«Raiden giochiamo a palla?»

«Noo - gridò una bimba dalle treccine bionde - Raiden ha detto che mi portava in spalla!»

Un altro bambino, di sette o otto anni, batté i piedi scuotendo la testolina piena di capelli scuri.

«Tocca a me oggi, Lexie, non può portare sempre te!»

Le due piccole pesti si fecero le smorfie a vicenda e Raiden li sollevò entrambi, ciascuno con un braccio solo, e li fece volteggiare in aria per qualche secondo prima di lasciarli di nuovo a terra.

«Tu chi sei?»

All’improvviso un gruppetto accerchiò me, l’intrusa, e i loro occhi mi osservarono scettici e curiosi.

«Sono… un’amica di Raiden - non esattamente - mi chiamo Annika» sorrisi.

«Sei la sua fidanzata?» chiese una bambina piccola, non poteva avere più di nove anni.

Avvampai per lo stupore.

«No - risposi - sono solo un’amica.»

Lei mi fissò con i suoi incredibili occhi azzurri, non avevo mai visto iridi tanto chiare in vita mia, e per un secondo mi sentii in soggezione.

«Allora sei anche amica nostra!» sentenziò fasciandomi la vita in un abbraccio.

Non so da chi arrivò l’idea di giocare a nascondino, poi. So solo che a un certo punto mi ritrovai a rimpicciolirmi dietro il tronco di un grosso albero scuro. Triny era accovacciata a terra, al mio fianco, e nascondeva i ricci ribelli tra le foglie di un cespuglio; la felpa verde pistacchio la aiutava a mimetizzarsi con la boscaglia.

«Dici che riuscirà a trovarci qui?» le chiesi a bassa voce.

Triny storse il piccolo naso all’insù.

«Raiden ci trova sempre» mormorò.

E proprio così, io e lei restammo in silenzio mentre gli altri, uno dopo l’altro, venivano beccati in un tripudio di lamenti e piagnucolii.

Il gioco era iniziato da appena dieci minuti, ma Raiden aveva già scovato quasi tutti.

«Manchiamo solo noi» mi disse agitata Triny.

«Shh…»

Potevo sentire i passi di Raiden a pochi metri, si stava avvicinando pian piano… quasi temesse di calpestare una bomba lungo il tragitto. Le foglie secche si frantumavano sotto le suole dei suoi stivali; il rumore mi fece vibrare le ossa. Triny si rimpicciolì ancora, abbassò il viso fino a sfiorare il cespuglio con la fronte, così i ramoscelli sottili le solleticarono il naso. Portò le dita a tapparsi le narici, trattenne anche il respiro… ma fu inutile; un sonoro starnuto si riverberò per la radura.

Triny divenne di un rosso scarlatto, mentre Raiden allungava il collo sopra di noi. Ci sorrise vittorioso, e nello stesso momento la fossetta gli incavò la guancia e gli illuminò gli occhi.

«Beccate!>»

«Se non avessi starnutito non ci avresti mai trovate» si lamentò Triny.

A me venne da ridire, quel gioco era preso con fin troppa serietà da quel gruppo di piccoli e grandi adolescenti… era una cosa dolce.

«Ma se i tuoi capelli sono stati la prima cosa che ho visto!» ridacchiò Raiden.

«Non è vero!»

«Si che è vero! Ti ho lasciato per ultima perché non ti piace essere trovata per prima.»

«A me non piace essere trovata e basta» concluse.

La giovane si ricongiunse al gruppo di ragazzi al centro del cortile. Io rimasi qualche passo indietro, insieme a Raiden, ma già da lì mi accorsi di altre due figure che prima non c’erano. Riconobbi la portinaia, quella che ci aveva fatto lasciare le firme all’ingresso, mentre la donna al suo fianco era un volto nuovo. Aveva un’espressione austera, di una freddezza mortifera, le labbra sottili tinte di rosso erano piegate in una smorfia. Indossava delle décolleté marroni ai piedi e un tailleur color crema le fasciava il corpo magrissimo; era alta, più alta di me, e i capelli biondo cenere le incorniciavano il viso allungato e spigoloso.

Dava i brividi, la sua sola presenza aveva fatto calare un’ombra di angoscia sul giardino.

«Pensavo di essere stata chiara l’ultima volta, Raiden Sullivan. Ti è stato chiesto di limitare le visite per non interrompere le attività dei ragazzi» la sua voce era sgradevole… sapeva di rancido.

«Buonasera anche a lei, Direttrice Miller. Non si preoccupi, ce ne stavamo andando.»

Raiden aveva perso il sorriso, i suoi occhi erano due spilli infuocati inchiodati sul corpo della direttrice. La donna rimase a testa alta, lo fissò con la stessa intensità e gli occhiali dalla montatura quadrata resero il suo sguardo ancor più gelido e distante.

«Andiamo, Annika.»

«Si» lo seguii verso l’uscita, ma all’ultimo mi girai a guardare i ragazzi.

Il dolore, la paura e lo smarrimento sul volto di Triny mi fecero tremare lo stomaco e le gambe.

Non è giusto.

No!

Sarei voluta tornare indietro e portarla via, portarli tutti via. Nessuno meritava di crescere così.

«Dobbiamo fare qualcosa per loro» dissi a Raiden mentre salivamo in auto.

Lui non mi rispose, allacciò la cintura e girò la chiave per far partire il motore.

«Dico davvero, non riesco ad andarmene così!»

Avevo il corpo e l’anima in fiamme; volevo fare qualcosa, qualsiasi cosa. Almeno lì, sulla terra ferma, l’oceano non mi avrebbe risucchiata se avessi provato ad aiutare.

«Tu non c’entri.»

«Ti prego - me lo meritavo - voglio aiutarvi.»

Non avevo altre ragioni di esistere, ma se il mio albero fossero stati Triny e quei ragazzi… forse avrei trovato la forza di aggrapparmi al mio ramo. Non per me, ma per loro, forse ci sarei riuscita.

«No, non è un gioco, Annika, rischiamo la galera, okay?»

«Mi va bene» affermai sicura.

«Tu sei pazza, non sai di cosa parli.»

Raiden scosse la testa mentre sfrecciavamo per le vie desolate. Il sole era tramontato da qualche minuto e la strada era ora avvolta dalla penombra degli ultimi raggi.

«Mi avevi detto che avresti condiviso» gli ricordai le sue parole, quelle che mi avevano convinto a seguirlo solo qualche ora prima.

Lui non mi guardò, ma il suo respiro si fece più pesante e veloce. Potevo quasi percepirlo soffiarmi sulla pelle esposta del collo.

«Mi dispiace, ma non posso… non questo.»


°•°•°•

Eccomi tornati a sintonizzarci su 'Tra Marte e Venere', amici! Voi che dite? Riuscirà Annika a entrare nella gang del bosco? E loro... cosa stanno architettando?👀

To be continued...

~Snow White ❄️

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