11. Condividere

Le unghie le avevo sempre portate lunghe prima dell’incidente, lunghe e finemente colorate. Dopo l’incidente avevo capito che non erano più una cosa pratica per me: i segni che lasciavano sulla pelle erano troppo profondi per poterli nascondere.

Sotto la doccia, quel venerdì, ero seduta nella vasca con l’acqua calda che mi pioveva addosso… ma non mi stavo lavando. Lo scrosciare serviva soltanto a inghiottire i miei singhiozzi; mia nonna non doveva sapere che stavo piangendo. Mi ero conficcata le dita nella carne morbida delle cosce, senza unghie lunghe il dolore non mi giungeva alle ossa, ma era sufficiente a tenermi aggrappata al pianeta terra e questo mi bastava. I capelli bagnati si erano incollati sul mio corpo, l’acqua bollente mi scivolava lungo la curva della schiena troppo magra, dando alla mia pelle un’intensa sfumatura di rosso.

Quel venerdì era l’anniversario dei miei genitori, e dal momento in cui avevo aperto gli occhi avevo sentito il sale dell’oceano inondarmi i polmoni. Così, avevo saltato la scuola, avevo anche scritto alla signora Sullivan per dirle che non ci sarei stata nel pomeriggio e avevo cercato di addormentarmi per non dover pensare. Non ero riuscita nel mio intento però e, alla fine, le emozioni erano straripate.

Uscii dal bagno solo mezz’ora più tardi, quando le mie lacrime si erano prosciugate al punto da lasciarmi svuotata nello spirito. Dentro di me, l’oceano era finalmente tornato a dormire.

Rientrata in camera trovai un piatto poggiato sul comodino, vicino al pc acceso, al suo fianco c’era anche una fumante tazza di tè ai frutti rossi. Mia nonna aveva fatto uno dei miei dolci preferiti; la crostata ai lamponi, ed era stata piuttosto generosa con la porzione che mi aveva portato. La mandai giù forchettata dopo forchettata, la inghiotti quasi sperando che potesse colmarmi non solo lo stomaco, ma anche l’anima.

Quando finii col leccare via le briciole, un tic improvviso mi fece alzare lo sguardo verso la finestra chiusa della stanza. Dopo il primo tic, seguì un secondo e poi un terzo! Mi resi conto solo dopo qualche secondo che qualcuno stava lanciando dei sassolini sul vetro. Mi avvicinai, spostai l’oscena tenda a tema Hello Kitty di lato, e con la visuale libera guardai di sotto. La mia stanza era proprio sopra il portico, dalla finestra vedevo una distesa di alberi e la piccola stradina sterrata che portava all’ingresso. Sotto l’albero di tiglio che segnava l’inizio della nostra proprietà, c’era una honda accord sporca di acqua piovana e fango.

«Ehi!» sentii gridare.

Sorreggendo il telo in cui avevo avvolto i capelli bagnati, aprii la finestra e sporsi il collo in avanti. Raiden Sullivan era vicino alla pianta grassa di mia nonna, con un piede si divertiva a calciare i sassolini sull’erba, ma i suoi occhi erano puntati in su, verso di me.

«Che cosa cazzo ci fai qui?»

«Scendi» mi sorrise.

Cos’era quella follia? Per fortuna mia nonna era uscita per un appuntamento dal dentista, altrimenti avrebbe ricominciato con la storia del ‘fidanzato segreto’. Fin dalla domenica in cui mi aveva vista lasciare la macchina di Raiden, si era convinta che io e lui fossimo in una relazione.

Indossai un paio di pantaloni della tuta, una felpa, e con le ciabatte ai piedi scesi di corsa le scale. Raiden mi aspettava a braccia conserte.

«Che succede? Perché sei qui?»

Erano solo le quattro del pomeriggio, la libreria doveva essere ancora aperta a quell’ora e Raiden sarebbe dovuto trovarsi dietro la cassa, non davanti la mia porta.

«Ho pensato di condividere con te» mormorò allegro.

Condividere cosa?

«Di cosa parli?»

«Fidati, vai ad asciugarti i capelli. Voglio portarti in un posto.»

Un posto…

Lo disse come se stesse parlando del luogo migliore del mondo, con la stessa espressione con cui mia nonna parlava della florida e della sua casa d’infanzia. E così… mi lasciai convincere. Forse ero soltanto troppo stanca, di lacrime da piangere non ne avevo più, la mia mente era sommersa dalla nebbia. I miei pensieri nuotavano in circolo senza andare da nessuna parte. Avrei voluto spegnere tutto, premere un interruttore nella mia testa e far tacere ogni cosa, solo per po’. Mi sarebbe bastato.

Non ero sicura che seguire Raiden fosse la scelta giusta, ma mentre mi allacciavo la cintura e lui canticchiava una canzone sottovoce; la sad wall che mi toglieva il respiro rallentò la presa.

«Cosa stai cantando?» gli chiesi una volta immessi sulla strada.

Il sole era bello alto nel cielo quel giorno, faceva anche più caldo rispetto alle settimane precedenti, ma le montagne che svettavano all’orizzonte erano già coperte di neve. Da quelle parti il tempo era suscettibile tanto quanto me, il sole avrebbe potuto lasciare il posto a un temporale nell’arco di pochi secondi.

«Si chiama ‘I wanna be yours’. Ho messo una cover su youtube qualche giorno fa e adesso continua a ronzarmi in testa» rispose.

Giusto, le sue cover! Raiden era tanto popolare a scuola principalmente per le canzoni che caricava su youtube. Riley me ne aveva parlato fino alla nausea, ma non avevo mai perso il mio tempo a cercarle. Dovevo già sopportarlo strimpellare la chitarra in libreria, e comunque… non ero una gran appassionata.

Restammo in silenzio per un po’, ma poi, d’improvviso, mi venne in mente un’altra cosa.

«Come sapevi che quella era la mia stanza?»

Dubitavo che si fosse messo a lanciare sassi a tutte le finestre. Nemmeno lui poteva essere così stupido.

«Le tende - ridacchiò - dubito che tua nonna abbia una passione per Hello Kitty.»

L’imbarazzo mi morse le guance per un istante; poi ricordai chi aveva scelto quelle tende e lo stomaco mi si chiuse su se stesso.

«Nemmeno io - risposi sottovoce - ma mia sorella sì. E’ stata l’ultima cosa che abbiamo comprato insieme.»

Raiden non disse nulla per un po’, tanto che iniziai a pensare di aver ucciso il discorso con il mio commento. Spesso le persone non sapevano come reagire quando nominavo i miei genitori o mia sorella; qualcuno si scusava… come se fosse stato colpa loro il naufragio. Altri cambiavano argomento, fingevano di non avermi sentito, e riprendevano come se nulla fosse e ecco… quello non lo sopportavo. Preferivo di gran lunga il silenzio-

«Aveva buon gusto, eh? E cos’altro le piaceva?»

Mi girai a guardarlo, il cuore mi era salito in gola in un colpo solo. Lui mi stava chiedendo di Katy, davvero? Nessuno mi chiedeva mai nulla su di loro che non fosse collegato all’incidente.

«Si - dissi senza fiato - le piaceva il rosa e… il gelato» le lacrime che credevo di aver prosciugato minacciarono di inondarmi di nuovo gli occhi.

Mi ero dimenticata l’ultima in cui avevo parlato di lei a qualcuno che non fosse Amy, nemmeno con mia nonna riuscivo a farlo… era troppo doloroso per entrambe.

«E poi?»

E poi gli raccontai del suo amore per i pupazzi, per le principesse e gli unicorni. Gli dissi delle nottate passate a fare le maratone di Barbie, del suo odio per i pop corn- sul serio, chi altro poteva odiare i pop-corn!?

Katherine aveva giocato a tennis fin da quando aveva cinque anni, era una vera campionessa, ed era un’anima buona. Piangeva quando calpestava gli insetti, lei, e poteva piangere anche per ore!

Raiden mi ascoltò con un sorriso sulle labbra per tutto il tempo; ero così immersa nel mio racconto che non mi resi conto che ci eravamo fermati in una stazione di servizio.

«Vado a fare benzina, vuoi qualcosa da bere?» mi chiese.

«Dell’acqua, grazie» avevo parlato così tanto da ritrovarmi con la bocca secca.

Quando Raiden fu sceso guardai fuori dal finestrino, tutt’intorno c’era una distesa fittissima di alberi. Non era ben chiaro dove fossimo diretti, ma ero abbastanza sicura di aver lasciato da un pezzo i confini di Newberg.

Scrissi un messaggio a mia nonna mentre aspettavo, le dissi che ero uscita con un’amica e lei mi rispose con un emoji dall’espressione discutibile. Quella vecchia volpe ne sapeva una più del diavolo; non fece domande tuttavia… doveva già essere una grande sorpresa sapermi fuori di casa quel giorno.

Raiden rientrò in auto qualche minuto più tardi e mi scoprì a canticchiare sottovoce le strofe della sua canzone, quella che aveva caricato su youtube. Nemmeno mi ero accorta cosa stavo mormorando, finché non lo vidi sorridere come un ebete nella mia direzione.

Chiusi la bocca.

Ma cosa sto faccendo?

Quel genere di musica neppure mi piaceva e io… non cantavo. Non più, non da quando la mia voce non era accompagnata da quella di mia madre.

«Mi vuoi dire dove stiamo andando?» cercai di distrarlo, annegando inutilmente nell’imbarazzo.

«Lo saprai tra poco - mise in moto - siamo quasi arrivati!»

Prima di lasciare la stazione, Raiden allungò una mano nella mia direzione e abbandonò qualcosa sulle mie gambe. Era una bottiglietta d’acqua e, accanto, c’era un piccolo portachiavi in peluche di Hello Kitty.

Un brivido mi percorse la schiena, fu una sensazione che non avevo mai sentito prima in vita mia.

Mi girai verso di lui, Raiden aveva lo sguardo concentrato sulla strada, anche se un angolo sottile della sua bocca era tirato in un leggero sorriso.


°•°•°•

Tutti abbiamo bisogno di un Raiden nella nostra vita. ❤️‍🩹

~Snow White ❄️

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