1. Libreria Sullivan

I libri nella libreria dei signori Sullivan non venivano catalogati in base al genere, né secondo un ordine alfabetico o d'autore. A un primo sguardo la disposizione poteva addirittura sembrare casuale. Libri di vari colori, grandezze e tipi, che tra loro non parevano avere alcun particolare legame, se ne stavano abbracciati gli uni agli altri in lunghissimi scaffali. Non una nota a indentificarne il contenuto o la natura, per poter capire di cosa si trattasse bisognava leggere ogni singolo titolo e tentare di indovinare il genere.

Durante i miei primi giorni di lavoro avevo osservato la signora Sullivan disporre i nuovi libri appena arrivati in negozio. L'avevo guardata con fin troppo scrupolo sperando di riuscire a individuare anche solo un briciolo di logica nel modo in cui li ordinava, ma con mio disappunto ero arrivata alla conclusione che né lei né suo marito seguivano un sistema unico.

La disposizione era sinceramente casuale e ogni scaffale era completamente diverso dall'altro.

Quando era arrivato il mio turno di sistemare i nuovi arrivi, la signora Sullivan mi aveva dato un solo, semplicissimo consiglio: deve piacerti.

Così da alcuni mesi a questa pare, tutti gli scaffali nella libreria erano ordinati da me secondo il mio più personale gusto, e proprio per questo non mi era difficile notare quando qualche volume mancava o veniva spostato.

«Raiden hai spostato tu i libri della terza corsia?»

«No»rispose senza alzare lo sguardo dalla sua chitarra.

Dita pallide come il gesso scivolavano e pizzicavano sulle corde tese e una spiacevole sequenza di note stonate mi trafiggevano le orecchie come coltelli affilati. Erano solo le otto di sabato mattino, avevo dormito davvero poco e male e se c'era una cosa che detestavo più del dover lavorare con Raiden anche il sabato, era il doverci lavorare mentre aveva con sé quella sua stupida chitarra.

«Raiden- lo richiamai- se non li hai spostati tu e non li ho spostati io, chi l'ha fatto?»

Non avevamo ancora visto neppure l'ombra di un cliente. Avevamo aperto da appena venti minuti ed ero più che certa che la sera prima, al mio abituale giro di controllo, quei libri erano ancora al loro posto.

«Non ne ho idea»>ribadì.

«L'hai fatto di nuovo, non è vero?»brontolai.

«Non so di cosa tu stia parlando, Annika»mi sorrise, e per un istante mi sembro di comprendere perché Raiden Sullivan piaceva così tanto alle persone.

Raiden aveva quel viso.

Non sapevo se fosse la sua espressione, sicura e al contempo tenace, o qualcosa nel taglio allungato dei suoi incredibili occhi a mandorla, o forse era quell'unica fossetta sulla guancia sinistra o il piccolo neo sotto al labbro. O più probabilmente era un insieme di tutto ciò. Era la forza con cui gli angoli del suo volto collidevano in una perfetta simmetria e il colore così chiaro della sua pelle faceva risaltare i capelli più scuri di una macchia d'inchiostro. Stava tutto nella semplicità con cui ogni dettaglio in lui era atipico, ma di una bellezza dispotica.

Sospirai, amareggiata.

Se una persona l'avesse giudicato unicamente per il suo aspetto, senza mai doverlo davvero conoscere, Raiden su una scala da uno a dieci sarebbe stato un undici.

«Non puoi continuare a fare così, tua madre si accorgerà che i libri spariscono nel nulla e penserà che sia colpa mia. Non sono una ladra, Raiden, e non voglio essere vista come tale.»

Cosa se ne facesse di tutti quei volumi era un mistero. Non aveva l'aria di un avido lettore e, in ogni caso, che senso aveva rubarli se il negozio era di proprietà dei suoi genitori?

Era chiaro che la sua famiglia ne era all'oscuro e che tale doveva restare, e a me non importava di certo sapere quale fosse questo segreto che tanto voleva proteggere, volevo solo evitare di finirci nel mezzo.

«Pensi che ti lascerei prendere la colpa?»mi chiese.

«Si»risposi onestamente.

Mi sorrise di nuovo ed io avevo ormai perso il conto di tutte le volte in cui l'avevo visto sorridere così. Era un ghigno a metà tra ironica e cattiveria che su un qualsiasi altro essere umano sarebbe risultato di cattivo gusto, ma che su di lui calzava come un guanto di seta finissima.

«Allora dovresti licenziarti- consigliò- così nessuno potrà accusarti di nulla.»

«Sei pazzo se credi che lascerò il mio lavoro perché tu- lo indicai con tutta la furia che potevo esprimere in quel semplice gesto- continui a derubare la tua famiglia.»

Era un borioso, arrogante, viziato doppiogiochista.

Odiavo con ogni fibra del mio essere le persone come lui e non riuscivo davvero a capacitarmi che i Sullivan potessero avere cresciuto un simile esemplare di maschio ottuso e presuntuoso.

«Allora cosa pensi di fare?»

Un barlume di irrisoria curiosità gli brillò negli occhi socchiusi.

«Quello che avrei dovuto fare fin da subito: chiamare tua madre!»

Presi il mio cellulare dalla tasca della giacca, ritrovai il contatto della signora Sullivan nella rubrica, ma era bastato solamente un attimo di distrazione; Raiden mi aveva raggiunta in un battito di ciglia e io non avevo nemmeno fatto in tempo ad accorgermi della sua presenza che il telefono mi era già stato portato via.

«No, non credo sia una buona idea.»

«Raiden!»

«Annika- disse con calma- possiamo ragionare da persone adulte, non credi?»

«No, non esiste! Tu non sai ragionare come una persona adulta, non pensare di potermi fregare con quel sorriso! Non sono una delle tue fan, lavoro qui dentro e mi guadagno i soldi che mi merito, non ti lascerò rovinare l'unica cosa decente che mi resta.»

La rabbia mi consumava il cuore come un acido.

C'erano pochi posti in cui riuscivo a non sentirmi in gabbia. La scuola era come una prigione, perfino la camera in cui passavo quasi tutto il mio tempo, le mie giornate e le mie notti, mi faceva mancare l'aria. Quella libreria era una delle poche eccezioni, un minuscolo frammento di pace. Quando ero lì dentro nei miei polmoni non c'era più il sale che mi consumava l'anima, ma l'odore della carta e dell'inchiostro. Quando ero lì riuscivo a non pensare a quanto miserabile e sola fossi in ogni momento, a ogni respiro, in quel posto io ero semplicemente Annnika. Riordinavo i libri e aiutavo i clienti a scegliere la loro prossima lettura ed era la cosa più vicina alla normalità che potessi permettermi.

Chissà cosa ci lesse Raiden nel mio sguardo in quel momento, non riuscivo a immaginare come potevo apparire all'esterno. Arrabbiata, furiosa...disperata? Non riuscivo a dare un nome a quel che provavo, ma potevo dare un nome a quello che gli occhi di Raiden mi dicevano. Lui era inespressivo, calmo, sembrava un venticello fresco in un giorno d'estate. Era così lontano da tutto quel travolgente vortice di emozioni che mi scoppiava dentro che non sembrava neppure presente e in un attimo io mi sentii...a pezzi.

«Respira»mi disse e io mi accorsi solo in quel momento che stavo trattenendo il respiro.

Il cuore mi rimbombava furioso nel petto, era come se fosse sul punto di esplodere.

«Ti senti bene?»

No!

NO, NON MI SENTO BENE!

Ma a chi importava come mi sentivo?

Erano passati quattro anni. Le persone si aspettavano che ne fossi uscita, che avessi ricominciato a vivere, ma come potevo quando ogni singola notte, nei miei incubi, venivo riportata lì, in quell'abisso, a vedere e rivedere la mia famiglia morire sotto i miei occhi, mentre l'oceano mi seppelliva.

«Ridammi il cellulare.»

Mostrai il palmo aperto e Raiden non se lo fece ripetere una seconda volta, mi diede il telefono e con lo sguardo mi seguì fino agli scaffali.

«Ho già ripagato i libri che ho preso, Annie, i soldi sono nella cassa»mormorò e questo me lo fece odiare un po' di più, se possibile.

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-Snow White ❄️

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