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- Prova a dire qualcosa, su, sto iniziando a spazientirmi.

Non so cosa mi stia succedendo, ma non riesco a rispondere. Forse un blocco, forse la paura della prima interrogazione di latino, eppure la lingua è secca, la bocca è chiusa e il respiro, che si fa sempre più affannoso perché non sopporto proprio queste mie reazioni.

D'impeto, come
un impulso impossibile da non soddisfare, esco dalla classe, senza permesso, e mi fiondo in bagno, chiudendomi dentro a chiave. Lentamente mi accascio per terra, a due passi da quella dannata turca che tanto odio, finché non mi ritrovo il sedere a contatto con le minuscole piastrelle del pavimento.

Vorrei sparire, farmi piccola piccola e uscire da questa prigione che lentamente mi sta spegnendo come una candela. Non avrei dovuto farmi interrogare oggi, ma la rappresentante di classe ha detto che doveva essere così perché lei non era pronta e io ormai mi sono guadagnata la fama di secchiona. Ieri però non ho studiato. Avevo il ciclo e ho passato il pomeriggio sotto le coperte cercando di dominare invano i crampi. Non voglio trovare scuse però.

- Dove sei? Lo so che sei qui dentro! - la voce della rappresentante di classe si associa ai colpi alle varie porte dei bagni - vieni fuori che ti ammazzo, troia!! Grazie alla tua bella scena muta la prof ha scoperto che dovevo farmi interrogare io! Sei una cagna, ti odio, ti rovinerò la vita, stanne certa. Dovevi dire solo alcune cazzo di frasi, niente di più. Invece ti sei voluta vendicare per non so cosa.

Senza che possa aggiungere altro e togliermi molto onore apro la porta così almeno voglio vedere se ha il coraggio di dirmele in faccia certe cose. Nemmeno il tempo di reagire che mi sferra un colpo a tradimento sul naso, facendomi cadere per terra. Inizia a prendermi a calci, come una furia impazzita mentre cerco di fermarla, ma senza successo. Nessuno arriva, nemmeno per sbaglio, a salvarmi. Quando smette di colpirmi, inizio ad avere i conati di vomito. Se ne va, scuotendo i capelli e mi lascia lì per terra.

Mi rialzo, a fatica, senza avere il coraggio di guardarmi allo specchio. Come faccio a tornare a casa? Mamma vorrà sicuramente delle spiegazioni e non so cosa dirle. Verrebbe a scuola a parlare coi professori e tutto quanto e io non voglio. Non ho intenzione di rivivere di nuovo l'incubo delle medie. Apro il rubinetto e mi sciacquo la faccia. Non rischio che mi coli il mascara o l'eye-liner perché non mi sono mai truccata.

Ritorno in bagno e mi chiudo dentro. In classe non ci torno e nessuno mi viene a cercare. Quando suona la campanella dell'ultima ora striscio in classe a recuperare lo zaino. Non c'è più nessuno ed esco da scuola come se niente fosse. Mi incammino alla fermata dell'autobus. La tipa che mi ha picchiato si avvicina con le sue schiavette.

- Tu sull'autobus non ci sali, troia.

Le smollo un pugno a tradimento, esattamente come lei ha fatto con me. Le sue compagne la soccorrono mentre lei inizia a urlare che me la farà pagare molto presto. Salgo sull'autobus e alla prima fermata utile scendo. Inizio a vagare per il centro finché non mi ritrovo davanti alla facoltà universitaria in cui insegna Stella. Mi siedo sui gradini e aspetto di trovare il coraggio di chiamarla e di raccontarle tutto. Sarebbe l'unica persona a cui riuscirei a dirlo. Fisso la punta delle scarpe e mi chiedo cosa ci sia in me che non vada. Perché sulla terra ci sono persone che si apprezzano al primo sguardo e altre, più timide, che imparano ben presto cosa significa sentirsi da schifo?

Mentre mi perdo nelle mie riflessioni mi arriva un vocale proprio da Stella. Mi chiede se stasera ho voglia di cenare e di dormire da lei. È proprio quello di cui ho più bisogno ora. Le rispondo dicendole che sono esattamente davanti alla sua facoltà e che non voglio che mi faccia domande quando mi vedrà. Stella esce dieci minuti dopo. Non appena mi vede si porta una mano alla bocca.

- Non è successo niente - la blocco, prima ancora che possa commentare.

- Dai, vieni, per fortuna giro sempre con del disinfettante nella borsa - mi prende per un braccio e mi porta in uno dei bagni della sua facoltà - siediti - aggiunge, indicando la ciambella del gabinetto.

- Non importa. Non è niente.

- Non è vero che non è niente, lo sai anche tu - prende un batuffolo di cotone e inizia a tamponarmi il labbro.

- Sto bene, davvero.

Mi guarda, poi richiude il tappo del disinfettante.

- Mi avevi promesso che se fosse successo di nuovo mi avresti chiamata subito.

- Non è ricominciato nulla, te lo giuro.

- Ah no eh? Sei piena di contusioni e di ferite, lo chiami stare bene?

- Fregatene. Io sto bene.

- Oh, ma davvero? E allora se stai così bene perché non sei andata a casa invece di venire da me? Ti ricordo chi cercavi quando ti pestavano di botte alle medie?

- Non mi hanno pestata di botte, quello era bullismo.

- Questa invece come lo chiami? Educazione? Io stasera chiamo la zia e glielo dico.

- NO! - mi ribello - tu non chiami proprio nessuno.

- Ma lo deve sapere! È tua madre!

- Lo sai tu, basta e avanza.

- Cosa so io che stai negando che sia successo qualcosa da quando ho aperto bocca?

Mi alzo in piedi.

- Non è ricominciato nulla.

- Cazzo, Isotta, non puoi essere seria.

- Da quando dici 'cazzo'?

- Mi stai facendo esasperare. Ti prego, devi ammettere che sia successo qualcosa così ne parliamo davanti a un tè.

- Ok, la rappresentante di classe mi ha picchiata a sangue nei bagni della scuola, sei contenta?

Esco dal bagno e dalla facoltà in cerca di una boccata d'aria. Stella mi raggiunge subito, scioccata.

- La rappresentante di classe? Ma cosa le avevi fatto, scusa?

- È una storia lunga.

- Ho tempo.

- Ma io non ho la voglia. Per colpa sua e per quella di latino sono tre giorni che non riesco a passare in libreria dalla prof.

- Anch'io non ho fatto in tempo in questi giorni. Vuoi che ci passiamo adesso?

- Non ci tengo che mi veda così, poi inizierà a farmi delle domande.

- Ogni adulto sano di mente ti farebbe delle domande. Isotta lo capisci che devi iniziare a reagire?

- Le ho tirato un pugno anch'io, cosa credi?

- Cosa? Tu? Tu le hai tirato un pugno?

- Non so cosa mi fosse preso, forse la stessa cosa del blocco.

- Il blocco?

- Sì, la rappresentante mi ha obbligata a fare l'interrogazione al posto suo, ma ieri stavi malissimo col ciclo e non ho studiato. Lo so, non ho scuse...

- Lei, non ha scuse! Ti ha pestata a sangue! Se il preside lo viene a sapere la potrebbe anche espellere.

- Pensa già che sia una troia e vuole farmela pagare, lasciamo stare.

- Quindi gliela dai vinta?

- No, però non voglio inimicarmela davvero.

- No, meglio di no, in effetti visto che ora ti tratta con un paio di guanti - mi dice, ironica.

- Cosa dovrei fare? Per loro sarò sempre la sfigata da picchiare.

- E allora rassegnati e fatti picchiare.

- Non mi rassegnerò mai.

- Non mi sembra.

- Tu non sai cosa significa essere trattati così da schifo e sentirsi uno schifo!

- Sicuramente non lo so, però lo l'ho visto nei tuoi occhi, nelle tue lacrime, nei tuoi pianti disperati, nel tuo voler fare finta di niente mentre dentro continuavi a marcire. Devi passare cinque anni con quella classe, se non ti trovi bene convinco la zia a farti cambiare scuola.

- Cambiare? E dove vado? Sarebbe così in tutte le scuole.

- C'è sempre una via d'uscita!

- Tu sei troppo idealista a volte.

- E tu troppo pessimista.

- Mi hanno picchiato. Che razza di ottimismo dovrei avere?

- Shhh - mi abbraccia senza dire più nulla.

La stringo forte e inizio a piangere in silenzio. Era un po' che non lo facevo. Continua ad accarezzarmi i capelli mentre mi perdo a singhiozzare come una bambina.

- No, Isotta, no... ti prego... - mi sussurra in un orecchio - quella ragazza non si merita nessuna delle tue lacrime.

- Lo so, ma ho bisogno di sfogarmi. Tu sei l'unica che mi vede senza corazza e che avrà sempre questa esclusiva.

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