Un'Orda Troppo Grande

Il rumore è ovunque.

Passi lenti, gutturali, corpi marci che si muovono all’unisono.

L’orda è più grande di quanto pensavamo.

Troppo grande.

Carl stringe la presa sul mio braccio, tirandomi ancora più vicino.

«Dobbiamo uscire subito.»

Io annuisco, il cuore che batte troppo veloce.

Non è la prima volta che ci troviamo in una situazione del genere.

Ma stavolta è diverso.

Stavolta Carl è con me.

E questo significa che, se dovesse succedere qualcosa, morirebbe prima di lasciarmi indietro.

E io non posso permetterlo.

Ci giriamo di scatto e iniziamo a muoverci.

Silenziosi.

Veloci.

Gli altri sono sparsi nell’edificio, nessuno ha ancora visto quanti sono là fuori.

Ma noi sì.

E sappiamo che, se non ce ne andiamo subito, moriremo qui dentro.

Attraversiamo un corridoio buio, le pareti sporche di sangue secco.

Carl cammina davanti, il fucile in mano, il corpo teso.

Io lo seguo, il coltello pronto.

Ogni passo è un rischio.

Ogni angolo potrebbe nascondere un vagante pronto a saltarci addosso.

E poi, ovviamente, succede.

Un vagante esce da una porta sfondata proprio davanti a noi.

Carl lo colpisce con il calcio del fucile, lo fa barcollare.

Io non ci penso due volte.

Alzo il coltello e affondo la lama nella sua testa.

Uno in meno.

Ma il rumore attira gli altri.

Li sentiamo.

Troppi.

«Merda!» sbotta Carl, afferrandomi per la mano.

«Dobbiamo correre.»

E così facciamo.

Corriamo verso l’uscita sul retro.

Sentiamo gli altri chiamarci da un’altra parte dell’edificio.

Ma non c’è tempo.

L’orda sta entrando.

E proprio quando pensiamo di farcela, qualcosa va storto.

Il pavimento è bagnato di sangue, scivoloso.

Io perdo l’equilibrio.

Cado in avanti, Carl cerca di afferrarmi, ma è troppo tardi.

Scivolo attraverso una porta aperta e mi ritrovo da sola.

La porta sbatte dietro di me.

E quando provo ad aprirla, è bloccata.

Il mio respiro si spezza.

Dall’altra parte sento Carl urlare il mio nome.

Batto sul legno con i pugni, il panico che sale.

«Carl!»

Ma il rumore ha attirato qualcos’altro.

Alle mie spalle, sentieri di nuovo quei passi lenti.

Mi giro piano.

E il mio stomaco si chiude.

Perché non sono sola.

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