Un Fantasma del Passato
La giornata è iniziata bene.
Il sole è alto, l’aria fresca, la strada tranquilla.
Dobbiamo andare a Oceanside per sistemare alcune cose con la comunità, prendere rifornimenti e discutere con loro di alcuni accordi.
Nulla di complicato.
Almeno, così pensavo.
Fino a quando non vedo quel piccolo dettaglio.
Un uomo.
Non è lui.
Ovviamente non è lui.
Ma porta lo stesso orologio.
Lo stesso fottuto orologio.
Un cinturino nero rovinato, il quadrante leggermente scheggiato, il ticchettio lento e costante.
Il cuore mi si blocca nel petto.
Mi sembra di sentire la sua voce nelle orecchie.
Mi sembra di essere di nuovo lì.
Di nuovo intrappolata.
Il mio umore cambia all’istante.
La calma sparisce.
Il mio stomaco si chiude.
E all’improvviso, non voglio più essere qui.
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Tutti notano che qualcosa non va.
Rick mi fa una domanda, una cosa stupida, normale.
«Zaira, puoi controllare se il furgone ha abbastanza benzina?»
Una richiesta semplice.
Ma la mia testa è da un’altra parte.
«Cazzo, Rick, non sono la tua dannata assistente. Controllalo da solo.»
Silenzio.
Rick mi guarda sorpreso.
Carl, accanto a me, si irrigidisce.
Daryl solleva un sopracciglio.
Non rispondo mai così.
Eppure, oggi non riesco a fermarmi.
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Carl si avvicina, mi tocca il braccio piano.
«Ehi, Fenice, che succede?»
Lo scatto è automatico.
Mi libero dalla sua presa, lo guardo con rabbia.
«Non chiamarmi così.»
Carl si blocca.
Lo vedo sorprendersi.
Ma non mi fermo.
Mi fa un’altra domanda.
«Amore, che hai?»
E lì, scoppio.
«Niente, Carl! Niente!»
Gli urlo contro senza motivo.
Vedo il suo volto cambiarsi subito.
Dalla sorpresa.
Alla confusione.
Poi, piano piano, alla delusione.
Merda.
Cosa sto facendo?
---
Il silenzio è pesante.
Mi rendo conto di quello che ho appena fatto.
Di quello che gli ho appena urlato contro.
Mi porto una mano alla fronte, maledicendomi in silenzio.
Abbasso lo sguardo, mi mordo il labbro.
«Carl… mi dispiace.»
Lui mi guarda per un secondo.
Poi scuote la testa, piano.
E dice la cosa che mi fa più male di tutto.
«Lasciami stare.»
Poi si gira, torna a fare il lavoro che stava facendo.
Senza guardarmi più.
E io?
Io rimango lì, immobile, mentre il rimorso mi divora dentro.
Rimango lì, immobile, a guardarlo mentre se ne va.
Il suo tono, quel "lasciami stare" freddo e distante, mi brucia più di qualsiasi altra cosa.
Carl non mi parla mai così.
Non a me.
Non dopo tutto quello che abbiamo passato.
E la colpa?
La colpa è solo mia.
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Mi muovo subito.
Vado da lui, anche se so che non vuole vedermi.
Sta controllando delle casse accanto al furgone, le mani che stringono il bordo del legno con forza.
Troppa forza.
Come se stesse cercando di trattenersi.
«Carl…» sussurro piano.
Nessuna risposta.
Faccio un altro passo.
«Mi dispiace, davvero.»
Ancora niente.
Lui continua a lavorare, ignorandomi completamente.
E Cristo, questa cosa mi manda fuori di testa.
Io non ce la faccio quando lui mi ignora.
Lo odio.
Lo odio più di qualsiasi altra cosa.
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Mi avvicino ancora di più.
Gli sfioro il braccio, provo a farlo girare.
«Carl, guardami.»
Lui si scansa.
Mi evita.
«Lasciami stare, Zaira.»
Il modo in cui dice il mio nome e non "Fenice" mi fa venire i brividi.
Sbatto le palpebre, mi stringo le mani tra i capelli.
«Dai, non fare così.»
«Sto facendo esattamente quello che mi hai chiesto tu prima.»
Le sue parole sono fredde, taglienti.
Ma non mi arrendo.
Mi sposto davanti a lui, gli prendo il viso tra le mani.
«Carl, ti prego.»
I suoi occhi brillano di rabbia trattenuta.
Di delusione.
Di qualcosa che mi spezza dentro.
Gli accarezzo piano la mascella, lo guardo negli occhi.
«Amore.»
Lui chiude gli occhi per un secondo, come se stesse cercando di respirare.
E poi, mi spinge via.
Non forte.
Non per farmi male.
Ma abbastanza da farmi capire che non vuole più sentirmi.
E quando parla, il suo tono è basso, deciso.
«Vattene.»
Rimango ferma.
Shockata.
Lui non mi ha mai detto di andarmene prima.
Mai.
E fa male.
Fottutamente male.
Ma non ho scelta.
Abbasso lo sguardo, stringo i denti per non far vedere quanto mi ha colpito.
Poi mi giro e me ne vado.
E per la prima volta da quando stiamo insieme…
Carl non mi segue.
Mi allontano.
Senza guardarlo.
Senza dire niente.
Le gambe mi tremano leggermente, ma mi obbligo a camminare normalmente.
Anche se dentro sto crollando.
Anche se il suo "vattene" continua a rimbombarmi in testa.
Carl non mi ha mai respinta così.
Mai.
E io l’ho mandato via con le mie stesse mani.
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Mi fermo su una piccola collina che dà sulla spiaggia.
Da qui, il panorama è perfetto.
L’oceano si estende all’infinito, le onde si infrangono contro la riva con un suono ipnotico.
Il cielo è di un blu profondo, con qualche nuvola che si muove lentamente.
Un posto che dovrebbe rilassarmi.
Che dovrebbe aiutarmi a respirare.
Ma non ci riesco.
Perché tutto quello che vedo è il riflesso delle mie lacrime sfocate nell’acqua.
E cazzo…
Sto piangendo.
Lo sento solo ora, il bruciore agli occhi, la gola chiusa.
Le lacrime scivolano giù senza che io possa fermarle.
Mi porto una mano alla bocca, cerco di controllare il respiro.
Ma è inutile.
Perché ho ferito la persona che amo più di qualsiasi altra cosa al mondo.
E ho paura.
Paura che stavolta non mi perdoni.
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