predatrice tra le ombre
Il silenzio del bosco era così denso da sembrare assordante.
L’aria sapeva di terra bagnata e foglie morte. Eppure, c’era qualcosa che non tornava.
Non il solito lamento rauco dei vaganti.
Passi.
Silenziosi, controllati.
Qualcuno cercava di essere discreto.
Stringo il coltello tra le dita, le nocche pallide per la presa. Mi abbasso leggermente, lasciando che il cappuccio della felpa nera mi copra il volto.
Li sento.
Due.
Un uomo e una donna.
Li osservo da lontano.
L’uomo cammina con passo pesante, ogni movimento calcolato. Porta una balestra sulle spalle. Non è solo un’arma. È parte di lui.
Non è impulsivo. È paziente. Uno che osserva prima di agire.
La donna, invece, si muove con agilità. Il machete stretto in mano, pronta a colpire. Occhi attenti, ma nervosi. È abituata a combattere, ma la sua forza sta nella velocità, non nella precisione.
Due stili diversi. Due debolezze.
Non hanno idea di chi stanno seguendo.
Mi muovo. Rapida, silenziosa.
Scatto fuori dal mio nascondiglio, il coltello diretto alla gola dell’uomo.
Ma la balestra si alza in tempo.
Brutto errore.
Colpisco con forza, ma lui assorbe l’impatto. È più forte di quanto pensassi. Ma lento.
La donna prova ad attaccare di lato. Prevedibile.
Mi abbasso, un calcio secco al suo ginocchio. Barcolla. Un pugno al viso. Il machete cade.
Sorrido.
L’uomo si lancia verso di me, cercando di colpirmi con il calcio della balestra.
Mi sposto. Un colpo secco al retro del ginocchio. Barcolla, ma resiste.
Resistente.
La donna si rialza, furiosa. Ma non ragiona più.
Emotiva. Facile da prevedere.
Lei urla e si getta su di me.
La evito, la faccio cadere con una spinta. La sua rabbia la acceca.
Ma commetto un errore.
L’uomo è già troppo vicino.
Un colpo secco alla testa.
Buio.
---
La luce filtra tra le assi di legno.
Mi sveglio.
Legata.
Le mani strette dietro la schiena.
La stanza è piccola, le pareti di legno. Odore di polvere e muffa.
Non panico. Calcolo.
La porta si apre.
Un uomo entra. Alto, occhi freddi, barba curata. L’aria di chi comanda.
Mi osserva.
«Quanti vaganti hai ucciso?»
Silenzio.
«Quanti vivi?»
Lo ignoro.
Il suo sguardo si indurisce.
«Perché sei qui?»
Abbasso lo sguardo. Un sorriso appena accennato.
Non rispondo.
Lui si avvicina. Più vicino di quanto dovrebbe.
«Rispondi.»
La voce è un comando.
Respiro.
Poi parlo.
«Abbastanza.»
Non gli basta.
«Quanti vivi?»
«Solo quelli che lo meritano.»
Il silenzio cala di nuovo.
«Nome?»
Un attimo. Poi:
«Zaira.»
Non aggiunge altro.
Si gira.
«Michonne, non perderla di vista.»
La porta si chiude.
Resto sola.
Ma non abbasso la testa.
Mai.
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