Paura di Appartenere a Qualcuno
Le parole di Carl sono ancora nell’aria.
Pesano.
Scaldano.
Mi stringono il petto in un modo che non voglio ammettere.
"Non voglio nessun’altra."
"Se qualcuno ti guarda, voglio spaccargli la faccia. Se qualcuno ti tocca, voglio ammazzarlo."
Mi ha detto tutto.
E ora devo dire qualcosa anch’io.
Ma non ci riesco.
Carl mi guarda.
Aspetta.
Ma nei suoi occhi c’è qualcosa di diverso.
Qualcosa di troppo profondo.
Come se sapesse già perché non rispondo.
Come se capisse cosa mi blocca.
E infatti, prima che io possa dire qualsiasi cosa, parla lui.
«Hai paura di appartenere a qualcuno.»
Le sue parole sono un pugno nello stomaco.
Mi irrigidisco.
Lui mi conosce troppo bene.
Abbasso appena lo sguardo.
Ma Carl non me lo permette.
Mi prende il mento tra due dita, mi costringe a guardarlo.
«È per lui, vero?»
Non lo nomina.
Non ne ha bisogno.
So di chi sta parlando.
Mio padre.
L’uomo che mi ha spezzata, sporcata, distrutta.
L’uomo che mi ha insegnato che essere di qualcuno significa essere in trappola.
Il mio petto si stringe, il respiro si fa pesante.
Carl lo vede.
«Io non sono lui.»
La sua voce è più bassa ora, più morbida.
Ma io non riesco a crederci.
Non ancora.
Perché la paura è più forte di tutto.
E Carl?
Carl lo capisce.
Perché mi lascia andare.
Non si arrabbia.
Non mi obbliga a rispondere.
Mi sfiora appena il fianco con la mano, come se volesse rassicurarmi senza forzarmi.
E poi sussurra:
«Te lo dimostrerò.»
Io non rispondo.
Non perché non voglio.
Ma perché una parte di me spera che lo faccia davvero.
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