Ora Tocca a Te


Carl sta male.

Lo vedo.

Lo sento.

E mi manda fuori di testa.

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Non è mai stato così debole.

Così stanco.

Così vicino al crollare.

E la cosa che mi fa più incazzare?

Non ha detto nulla.

Ha tenuto tutto dentro.

Come sempre.

Come se non avesse bisogno di aiuto.

Come se io non fossi qui.

E questo?

Non glielo permetterò.

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«Andiamo a casa.»

Gli stringo un braccio, lo aiuto ad alzarsi.

Lui non protesta.

Non ha le forze per farlo.

E questo mi preoccupa ancora di più.

Camminiamo piano, lentamente.

Io dovrei essere quella ferita.

Ma sono io che lo tengo su.

Io che lo sorreggo.

E Cristo, fa male vederlo così.

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Appena arriviamo a casa, lo porto subito sul divano.

«Siediti.»

Lui si lascia cadere, passando una mano sul viso.

Si vede che sta crollando.

E io?

Io non lo permetterò.

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«Hai bisogno di mangiare.»

Mi alzo subito, vado in cucina.

Sento il suo sguardo su di me, ma non dico nulla.

Cerco qualcosa di veloce, di facile.

Un pezzo di pane, qualche pezzo di carne secca.

Lo porto da lui, lo metto sul tavolo.

«Mangia.»

Carl alza appena lo sguardo, le sopracciglia aggrottate.

«Zaira, tu sei quella ferita.»

«E tu sei quello che sta per svenire.** Quindi mangia.»

Lui sospira piano, ma prende il cibo.

E io?

Io mi siedo accanto a lui.

A guardarlo.

A controllare che non faccia cazzate.

Carl mangia in silenzio.

E io non lo lascio un secondo.

Lo osservo, controllo che finisca tutto.

Perché stavolta?

Ora sono io a preoccuparmi per lui.

E non gli lascerò spazio per fare cazzate.

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Dopo un po’, la stanchezza inizia a pesare su entrambi.

Decidiamo di andare a letto.

Carl si sdraia subito, il respiro pesante, ma più rilassato di prima.

Io mi metto accanto a lui, mi stringo al suo fianco.

Sento il suo braccio che mi avvolge, la sua mano che si posa sulla mia schiena.

È il primo momento di pace dopo giorni.

E in quel momento, finalmente, mi sento al sicuro.

Ma non durerà.

Perché la pace, per noi, non esiste mai davvero.

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Mi addormento più velocemente del previsto.

E nel sonno, vedo qualcosa.

Non ricordi.

Non scene del passato.

Ma qualcosa di diverso.

Di più oscuro.

Di più vicino.

Vedo volti nuovi, sconosciuti.

Vedo occhi crudeli, freddi.

Vedo armi, sangue, morte.

E poi lo vedo lui.

L’uomo che mi ha sparato.

Non era un caso.

Non era solo un uomo qualunque.

Faceva parte di qualcosa.

Di qualcuno.

Di una nuova minaccia.

E non è finita.

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Mi sveglio di colpo.

Il cuore mi martella nel petto, il respiro veloce.

Carl è già sveglio.

Mi guarda subito, la fronte leggermente corrugata.

«Che succede?»

Non rispondo.

Mi tiro su dal letto, mi alzo in fretta.

«Zaira…» Carl prova a fermarmi, ma io mi sto già vestendo.

Infilo la mia maglia, i miei pantaloni.

E poi le scarpe.

Le mie solite.

Quelle simili alle Air Force, quelle che indosso ogni volta che c’è da combattere.

Carl si siede sul letto, mi guarda con attenzione.

«Dove vai?»

Io non lo guardo nemmeno.

Mi allaccio velocemente le scarpe, il cuore ancora impazzito nel petto.

«Devo andare al cancello.»

Carl si alza subito.

«Cosa?! Zaira, aspetta—»

Ma io non aspetto.

Esco dalla stanza senza voltarmi.

Perché sento qualcosa nell’aria.

E se il mio istinto ha ragione, come sempre…

Allora non siamo più al sicuro.

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