ombre dal passato


Il fuoco continua a crepitare, le risate e le voci intorno a noi riprendono come se nulla fosse successo.

Ma io mi sento ancora bloccata.

La sensazione delle dita di quel ragazzo sulla mia pelle mi brucia addosso, come se non riuscissi a scrollarmela di dosso.

Carl mi osserva, e lo odio per questo.

Odio che mi stia guardando come se vedesse qualcosa che non dovrebbe. Qualcosa che sto cercando di nascondere.

Poi, senza dire una parola, si sfila la felpa.

Me la lancia addosso, senza nemmeno aspettare che la prenda.

«Mettila.»

Lo guardo con sospetto. «Non mi serve.»

Carl non risponde subito. Si limita a fissarmi, con quel suo sguardo fermo, come se sapesse già cosa dirò e fosse pronto a sfidarmi.

«Mettila,» ripete, più calmo questa volta.

Stringo la mascella.

Non voglio accettare niente da lui.

Non voglio che pensi che io abbia bisogno di aiuto.

Ma la maglietta attillata mi sembra improvvisamente troppo stretta.

Troppo esposta.

Alla fine, sbuffo piano e infilo la felpa.

L’odore di Carl è dappertutto, un misto di fumo, terra e qualcosa di più sottile, più familiare.

Mi sento… meglio.

Più protetta.

Abbasso appena il cappuccio sulla fronte e incrocio le braccia.

Carl mi guarda ancora per un secondo, poi si siede su un tronco vicino al fuoco e mi fa cenno di seguirlo.

Non voglio.

Ma lo faccio lo stesso.

Mi siedo accanto a lui, le ginocchia raccolte contro il petto.

Per qualche istante, nessuno dei due parla.

Poi Carl rompe il silenzio.

«Cosa cazzo è successo?»

La sua voce è bassa, senza rabbia.

Ma c’è qualcosa di diverso questa volta.

Non è solo curiosità.

È… preoccupazione?

Distolgo lo sguardo, fissando il fuoco.

«Niente.»

«Stronzate.»

Mi irrigidisco.

Carl non smette di guardarmi. «Tu non sei il tipo che si lascia toccare senza reagire. coniscendoti gli avresti minimo spezzato un braccio.»

Lo so.

Ma non ci sono riuscita.

Stringo i pugni. «Era solo una serata di merda.»

Carl non si beve la scusa. Lo sento dal modo in cui inclina leggermente la testa, studiandomi come fa sempre.

E poi lo dico.

Lo dico senza nemmeno accorgermene.

«Ho visto mio padre.»

Le parole scivolano fuori prima che possa fermarle.

E appena lo faccio, vorrei mordermele via dalle labbra.

Il corpo mi si irrigidisce.

Il respiro mi si blocca in gola.

L’aria attorno a me sembra improvvisamente più pesante.

Carl non dice niente per un lungo momento.

Non ne ha bisogno.

Lo so che ha capito.

L’ho visto nel modo in cui il suo sguardo è cambiato.

L’ho visto nel modo in cui la sua mascella si è serrata appena.

E odio questo momento.

Odio questo silenzio carico di significati.

Odio che abbia capito qualcosa che non volevo far capire a nessuno.

Mi alzo di scatto, tirandomi via la felpa per restituirgliela.

«Lascia perdere.»

Carl si alza con calma, ignorando completamente il gesto.

Non prende la felpa.

Mi guarda solo.

«Zaira.»

Il modo in cui dice il mio nome mi blocca sul posto.

Non c’è sfida.

Non c’è provocazione.

Solo qualcosa di più pesante.

Di più reale.

Abbasso lo sguardo, stringendo il tessuto tra le mani.

Non voglio parlarne.

Non voglio che mi guardi in quel modo.

Ma lui non insiste.

Non dice più niente.

E per qualche ragione, questo mi manda ancora più in confusione.

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