oltre il confine


L’aria fuori dalle mura ha sempre un odore diverso.

Più ferro, più terra bagnata, più morte.

Ma a me non dispiace.

Anzi, lo preferisco.

Qui fuori non ci sono regole, non ci sono sguardi curiosi, non ci sono persone che cercano di leggermi dentro.

O almeno, di solito è così.

Oggi no.

Oggi sono bloccata in questa spedizione con Carl.

Lui cammina accanto a me, il fucile a tracolla, gli occhi attenti su ogni angolo della strada. Siamo solo noi due, inviati da Rick a cercare medicinali in una vecchia farmacia poco lontana.

Non mi piace l’idea di essere da sola con lui.

Non dopo quella sera.

Non dopo il modo in cui mi ha guardata quando ho detto troppo.

Ma non ho avuto scelta.

E ora siamo qui.

Carl rompe il silenzio per primo.

«Dimmi qualcosa di te.»

Alzo un sopracciglio. «Tipo?»

Lui alza le spalle, come se la domanda fosse casuale. «Non so. Qualcosa che non hai ancora detto a nessuno.»

Sbuffo. «Non sono una che ama raccontarsi.»

«Non l’avrei mai detto.» Il suo tono è ironico, ma non spavaldo.

Non rispondo.

Camminiamo in silenzio tra le macerie di quella che un tempo doveva essere una strada trafficata. Le carcasse delle auto abbandonate sono ricoperte di muschio, le finestre infrante, le porte lasciate aperte come bocche spalancate nel nulla.

«Allora, da dove vieni?» chiede dopo un po’.

«Da un posto morto.»

«Dov’era?»

«Lontano.»

Carl sospira. «D’accordo, Fenice, se vuoi giocare così—»

«Non chiamarmi così.»

Sorride appena. «Se vuoi giocare così, farò le domande in modo più diretto.»

Mi irrita.

Non il fatto che voglia sapere.

Ma il fatto che non si ferma.

E, peggio ancora, il fatto che riesce a farmi rispondere.

«C’era qualcuno con te quando tutto è iniziato?»

«Mia madre.»

La risposta mi scivola via prima che possa fermarla.

Carl annuisce piano. «E tuo padre?»

Il mio corpo si irrigidisce.

«Lui c’era già prima.»

Silenzio.

Carl mi guarda di lato, come se stesse aspettando altro.

Ma io non dico niente.

Non voglio dire niente.

«Era un bravo padre?»

Mi fermo.

Solo un secondo.

Un impercettibile attimo in cui il mio corpo tradisce tutto.

Poi riprendo a camminare.

Carl lo nota.

Lo so perché quando parla di nuovo, la sua voce è più bassa.

Più seria.

«Capito.»

Stringo la mascella. «No, non hai capito un cazzo.»

«Magari sì.»

Lo fulmino con lo sguardo. «E magari dovresti farti i cazzi tuoi.»

Carl non si scompone.

Ma non sorride più.

La farmacia è vicina. La vediamo all’angolo della strada, con l’insegna scolorita e la porta ancora chiusa.

Non ci sono vaganti in vista.

Bene.

«Dobbiamo entrare veloci,» dico, cercando di riportare la concentrazione sulla missione.

Carl annuisce.

Ma prima di muoversi, mi guarda ancora.

Come se vedesse troppo.

Come se avesse già capito tutto.

E questo mi fa più paura dei vaganti.

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