Non Sono Più Sola


Gli altri ci guardano.

Confusi.

Preoccupati.

Aspettano una spiegazione, ma nessuno dei due parla subito.

Carl è ancora troppo teso.

E io?

Io non so da dove cominciare.

«Zaira…?»

È Enid a parlare.

La sua voce è incerta, ma piena di preoccupazione.

«Cosa è successo?»

Deglutisco, cerco di mettere in ordine i pensieri.

Le mie mani tremano ancora un po’, ma non mi nascondo.

Non più.

Non devo più farlo.

Così, dico la verità.

«Era mio padre.»

La mia voce suona più ferma di quanto mi aspettassi.

Lo sguardo di tutti cambia all’istante.

Chi lo sapeva già, stringe la mascella.

Chi non lo sapeva, si irrigidisce.

Rick guarda Carl, poi me.

Analizza il sangue sulla mia testa, poi quello sulle mani di Carl.

«è morto.»

La parola suona definitiva.

E lo è.

Mio padre non tornerà più.

Non potrà più toccarmi.

Non potrà più guardarmi come se fossi sua.

Non potrà più farmi credere che non valgo nulla.

Perché ora lo so.

Ora appartengo solo a me stessa.

E a Carl.

Torniamo ad Alexandria.

Il viaggio è lungo, silenzioso.

Io cammino vicino a Carl, ma all’inizio, non mi avvicino troppo.

Non perché non voglio.

Ma perché non so ancora come fare.

Per anni, sono stata abituata a stare sola.

A non fidarmi di nessuno.

A non avere nessuno accanto.

E ora Carl è qui.

Mi tiene per mano.

Mi accarezza la schiena ogni tanto.

Mi sfiora come se fosse normale.

E io?

Io mi irrigidisco ogni volta.

Non perché non mi piace.

Ma perché sto ancora imparando.

Sto ancora cercando di capire che adesso è diverso.

Che adesso non devo più avere paura.

A metà strada, qualcosa cambia.

Carl mi passa un braccio attorno alle spalle.

Mi tiene vicina.

Protetta.

Io mi irrigidisco di nuovo.

Ma questa volta, dopo qualche secondo, mi rilasso.

Mi lascio andare.

E faccio qualcosa che non ho mai fatto prima.

Mi avvicino io.

Mi stringo a lui.

Appoggio la testa sulla sua spalla, chiudo gli occhi un secondo.

Carl non dice nulla.

Ma lo sento sorridere.

Sento il suo respiro diventare più lento.

E in quel momento, capisco.

Non sono più sola.

Non lo sarò mai più.

Arriviamo a casa.

Siamo soli.

Finalmente.

Appena chiudo la porta, Carl mi prende per la mano e mi tira piano verso di lui.

Non dice niente.

Mi guarda solo, i suoi occhi fissi nei miei.

E io?

Io non mi sposto.

Non mi allontano.

Per la prima volta, non aspetto che sia lui a iniziare.

Mi avvicino io.

Mi siedo su di lui, le mie gambe ai lati dei suoi fianchi.

Carl mi afferra per i fianchi, il suo tocco caldo, sicuro.

E per la prima volta non mi irrigidisco.

Per la prima volta lo bacio senza esitazione.

Senza paura.

Senza più niente a trattenermi.

Carl risponde subito.

Le sue mani scivolano lungo la mia schiena, la sua bocca si muove sulla mia con un bisogno che mi travolge.

Ma non c’è fretta.

Non c’è più solo desiderio.

Questa volta è diverso.

È più profondo.

Più intenso.

Più reale.

E cazzo, quanto mi piace sentirmi così.

Sentirmi sua.

Sentirmi finalmente libera.

Dopo un po’, mi fermo.

Appoggio la fronte alla sua, il respiro ancora irregolare.

Carl mi accarezza piano il fianco, la sua espressione rilassata.

E poi lo chiedo.

La domanda che mi tormenta da quando è successo.

La domanda che non sono riuscita a fare davanti a tutti.

«Cosa gli hai detto?»

Carl si blocca per un secondo.

Non si aspettava la domanda.

Lo vedo nei suoi occhi.

Poi sospira.

Abbassa appena lo sguardo.

E sussurra:

«Che non avrebbe più potuto toccarti.»

Mi si stringe lo stomaco.

Carl alza lo sguardo, mi guarda dritto negli occhi.

«Che non ti avrebbe mai più fatto del male.»

Il suo tono è basso, sicuro.

Pieno di una protezione che non ho mai avuto prima.

E poi aggiunge:

«E che, prima di morire, volevo che sapesse una cosa.»

Deglutisco.

«Cosa?»

Carl mi accarezza piano la guancia, il suo sguardo così intenso da farmi tremare.

E poi dice l’unica cosa che conta davvero.

«Che eri mia.»

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