non chiamarmi "fenice"
Carl mi segue fino ai cancelli di Alexandria, pochi passi dietro di me, con quel suo solito passo calmo e sicuro. Sento il suo sguardo puntato sulla mia schiena come una lama.
Mi fa incazzare.
Non perché mi segua. Non perché abbia qualcosa da dirmi.
Ma perché mi conosce abbastanza da sapere che non dirò nulla finché non sarà lui a iniziare.
E ovviamente, lo fa.
«Bel numero, là fuori.» La sua voce è piena di quella calma irritante. «Ma l’hai reso troppo teatrale.»
Sollevo un sopracciglio, senza voltarmi. «Teatrale?»
Carl mi affianca, il fucile ancora appoggiato sulla spalla.
«Quel colpo al ginocchio. Il coltello infilato con troppa enfasi. Volevi impressionarmi?»
Mi fermo di colpo. Mi giro.
Lui sorride. Quell’accenno di sorriso storto, appena visibile sotto la tesa del cappello.
«Sai, Fenice—»
Gli pianto una mano sul petto e lo spingo con forza.
«Non chiamarmi così.»
Carl non si scompone. Si limita a inclinare la testa, quasi divertito.
«E perché no?»
«Perché non mi piace.»
«Eppure ti si addice.»
La mascella mi si serra. «Smettila.»
Carl fa un altro passo avanti. Il suo sguardo è tutto tranne che intimidito.
«E se non volessi?»
Sento il sangue ribollire. Odio il modo in cui mi guarda. Odio quel suo tono di sfida. Odio… che abbia ragione.
Stringo i pugni.
Lui lo nota.
E ovviamente, lo provoca.
«Che fai, mi colpisci?»
Non ci penso.
Scatto in avanti, il pugno diretto al suo stomaco.
Carl si sposta all’ultimo secondo, bloccandomi il polso con una mano e afferrandomi l’avambraccio con l’altra. Mi tira in avanti, sbilanciandomi.
Non mi lascio cadere.
Mi giro su me stessa e sguscio fuori dalla sua presa, arretrando di un passo.
Carl sorride ancora.
«Meglio. Ma puoi fare di più.»
Mi lancia la sfida con lo sguardo.
La accetto.
Mi butto di nuovo su di lui, il corpo in tensione. Il mio obiettivo è sbilanciarlo, portarlo a terra.
Ma Carl è forte.
Blocca il mio assalto, mi afferra per il polso e mi tira contro di sé. Un secondo dopo, le mie spalle toccano il terreno.
Lui è sopra di me, un ginocchio premuto sul mio fianco, le mani che mi bloccano le braccia.
Non è pesante.
Ma è fermo.
Non riesco a liberarmi subito.
«Abbastanza forte, ma troppo impulsiva,» commenta, il fiato caldo vicino al mio viso.
Stringo la mascella e provo a divincolarmi, ma lui aumenta appena la pressione.
«Lasciami.»
«Dillo per favore.»
«Vaffanculo.»
Carl ride piano, poi si china di più.
«Ripeti.»
Sbuffo furiosa. Sento il cuore battere troppo forte, e non solo per la lotta.
Con uno scatto, sollevo il ginocchio e colpisco il suo fianco.
Lui barcolla appena, e tanto basta.
Lo ribalto e lo spingo a terra, mettendomi sopra di lui.
Ora è lui con la schiena sulla terra.
Ora sono io quella che lo tiene fermo.
I nostri respiri sono pesanti, i volti troppo vicini.
Carl mi fissa, e per un attimo vedo qualcosa nei suoi occhi.
Qualcosa che non c’entra con la lotta.
«Brava.» Il suo sussurro mi sfiora il viso.
Stringo la presa sulle sue braccia.
E lo odio ancora di più.
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