lame incrociate

Il silenzio nella casa si fa più pesante dopo l’ennesimo scontro con Carl.

Non ho intenzione di farmi mettere i piedi in testa, specialmente da uno che sembra incapace di controllare la propria rabbia.

Mi alzo dal divano e comincio a girare per la casa. Non tocco nulla, ovviamente. Non perché me lo abbia detto lui, ma perché non ho bisogno di farlo. Osservare basta.

Ogni stanza racconta qualcosa.

Una casa vissuta, nonostante il mondo là fuori stia crollando.

Un coltello da caccia è infilato nel tavolo accanto a un mucchio di vecchie mappe. Un segno che qui non si abbassano mai la guardia.

Mi fermo davanti a una finestra.

Fuori, Alexandria sembra tranquilla. Troppo tranquilla.

Troppo finto.

La gente qui sembra vivere come se nulla fosse. Come se il mondo non fosse infestato da morti che camminano.

Ma so bene che è solo una maschera.

Proprio come quella che indosso io.

La porta si apre di colpo alle mie spalle.

Mi volto di scatto.

Rick rientra, seguito da Michonne. Entrambi sembrano più rilassati rispetto a prima.

«Ti stai ambientando?» chiede Michonne, la voce più morbida rispetto a quella di Rick.

«Diciamo che respiro ancora, quindi sì.»

Rick accenna un sorriso appena accennato. «Abbiamo parlato. Se vuoi restare, dovrai collaborare.»

Lo guardo, senza rispondere.

Michonne incrocia le braccia. «Non ti chiediamo di fidarti di noi. Ma se vuoi stare qui, devi almeno provare.»

Respiro a fondo.

Restare significa abbassare la guardia.

Ma fuori non c’è nulla. Solo morte.

Qui dentro, almeno, posso osservare. Studiare. Capire.

Annuisco piano. «Per ora resto.»

Rick sembra soddisfatto. «Bene. Domani ci sarà una riunione. Sarà un buon momento per conoscere gli altri.»

Michonne si avvicina, porgendomi un coltello. «Tienilo. Non si sa mai.»

Accetto l’arma senza dire nulla. Il peso familiare del metallo nel palmo mi dà una strana sicurezza.

«E Carl?» chiede Rick, guardandosi intorno.

«È in camera sua,» rispondo senza emozioni.

Rick annuisce e si avvia verso la cucina.

Michonne mi rivolge un ultimo sguardo. «Prova a riposare.»

Quando rimango sola, stringo il coltello e torno a guardare fuori dalla finestra.

Per ora resto.

Ma non abbasso la guardia.

Mai.

Un fruscio alle mie spalle.

Mi volto d’istinto, alzando il coltello.

Carl è lì. Silenzioso come un’ombra.

«Che caz—» Il cuore mi balza in gola.

La lama gli punta dritta alla gola.

Lui non si muove. Non arretra di un passo.

Mi fissa con quell’occhio di ghiaccio.

«Hai sempre questa reazione o solo con me?» chiede con voce piatta.

Stringo l’impugnatura. Potrei affondarlo.

Ma non lo faccio.

Perché non ha paura.

Rilasso appena la presa. «Ti piace giocare con il fuoco, eh?»

Un angolo della sua bocca si solleva in un sorriso stanco. «Solo se chi lo accende sa cosa sta facendo.»

Abbasso lentamente il coltello, senza distogliere lo sguardo.

Ma prima che possa dire altro, Carl si muove.

Rapido. Preciso.

Mi afferra il polso e con un movimento secco mi disarma. La lama cade a terra con un tintinnio.

In un attimo, sono io ad avere la lama puntata contro.

Il fiato mi si blocca in gola.

Lui mi guarda dall’alto, l’occhio visibile freddo e calmo.

«Attenta, potresti scottarti tu.»

Poi si allontana, lasciandomi libera.

Lui raccoglie il coltello da terra e me lo porge, senza dire altro.

Lo afferro con forza.

Questo gioco è appena cambiato.

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