la verità
Il vento soffia leggero tra gli alberi, ma io non lo sento.
Sento solo Carl.
Sento solo la sua voce nella mia testa.
"Non poteva proteggerti, vero?"
Quelle parole continuano a rimbalzarmi nel petto, come un coltello girato nella carne.
E all’improvviso non ce la faccio più.
Stringo i pugni, le unghie che si piantano nei palmi.
«No.»
Carl si ferma. Il suo corpo si irrigidisce appena.
Non si aspettava che rispondessi.
E nemmeno io.
Ma ormai è uscito.
E non riesco più a fermarlo.
«Non poteva,» continuo, la voce più bassa, più ruvida. «Non perché non volesse, ma perché non ne era capace.»
Carl mi osserva, immobile.
Aspetta.
Non dice niente, ma so che vuole sapere.
E per la prima volta, glielo dico.
«Era debole.»
Il nodo in gola mi stringe, ma continuo.
«Era terrorizzata da lui. Come lo ero io.»
Carl abbassa appena il cappello, gli occhi che si stringono.
«Cosa faceva?»
Non riesco a guardarlo.
Fisso un punto a terra, il respiro che si spezza.
E poi lo dico.
«Mi picchiava.»
Il cuore mi batte forte. Troppo forte.
Carl rimane fermo, ma vedo la sua mascella tendersi.
«E…?»
L’aria mi si ferma nei polmoni.
Stringo le braccia attorno al corpo. Non voglio dirlo.
Ma se non lo dico ora… non lo dirò mai.
Alzo gli occhi su di lui.
E lascio uscire le parole.
«Mi stuprava.»
Carl sussulta appena.
Non è scioccato. Non del tutto.
Ma sentirlo da me… sentirlo dire ad alta voce cambia tutto.
Lui non parla.
Non sa cosa dire.
Allora continuo io.
Le parole escono da sole.
Come una dannata confessione.
«Era come... essere cancellata.»
La mia voce si incrina.
Carl mi guarda, gli occhi incollati ai miei.
«Come se non fossi più niente,» sussurro. «Solo un corpo. Solo qualcosa che poteva usare quando voleva.»
Il respiro mi trema. Odio dire questa merda.
Odio la sensazione che mi lascia addosso.
Ma Carl…
Carl sta fermo. Ascolta.
E nei suoi occhi vedo qualcosa che non ho mai visto prima.
Rabbia.
Non verso di me.
Non per quello che gli sto dicendo.
Ma per lui.
Per quello che mio padre mi ha fatto.
Carl stringe i pugni.
Sembra sul punto di esplodere.
Ma poi fa un passo avanti.
Poi un altro.
È vicino. Troppo vicino.
Alza le mani appena, come se stesse per toccarmi.
Come se volesse abbracciarmi.
Ma si ferma.
Mi guarda.
Aspetta.
Vuole sapere se glielo permetto.
Se lo voglio.
Il problema è… non lo so nemmeno io.
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