Imparare a Stare con Lui
La mattina dopo, riprendiamo la spedizione.
Io e Carl siamo in testa al gruppo, mentre gli altri ci seguono.
Il supermercato è più grande del previsto, ci mettiamo un po’ a setacciare ogni corsia.
E Carl non si stacca da me.
Siamo da una parte della stanza, soli, mentre gli altri cercano cibo in un altro corridoio.
Io sto controllando uno scaffale, quando lo sento dietro di me.
Il suo corpo sfiora appena la mia schiena, il suo respiro è vicino al mio collo.
Non mi sta toccando.
Ma è ovunque.
Mi irrigidisco per un attimo.
Non perché non voglio.
Ma perché non sono abituata.
Carl lo sente.
Si ferma.
Poi, invece di tirarsi indietro, mi sfiora piano la vita con una mano.
Un contatto leggero, quasi impercettibile.
Mi sta dando il tempo di decidere.
Come sempre.
Come ha detto che avrebbe fatto.
Rimango ferma per un secondo.
Poi, lentamente, mi rilasso.
E lui lo sente.
Sento il suo sorriso contro la mia pelle, il suo respiro che si fa più profondo.
E poi, con un sussurro troppo sicuro di sé, dice:
«Ci stai prendendo la mano.»
Sbatto le palpebre.
Mi giro per guardarlo male.
Ma Carl ha già vinto.
Mentre continuiamo a cercare rifornimenti, sentiamo un rumore.
Qualcosa cade dall’altra parte del supermercato.
Ci blocchiamo tutti.
Carl afferra subito la pistola, si mette davanti a me.
Come sempre.
E senza neanche pensarci, prendo il coltello e mi metto accanto a lui.
Lui mi guarda di lato.
Lo vedo negli occhi che non vorrebbe.
Vorrebbe che stessi dietro di lui.
Che non mi mettessi in pericolo.
Ma sa che non lo permetterei mai.
Così, con un mezzo sorriso di resa, dice:
«Se ti succede qualcosa, Fenice, giuro che ti riporto in vita solo per ammazzarti io.»
Io rido piano.
«Allora meglio che non mi succeda nulla, cowboy.»
E fianco a fianco, affrontiamo quello che c’è dall’altra parte del corridoio.
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