Il Simbolo della Fenice


Passa molto tempo.

I giorni si susseguono lenti, ma intensi.

Io e Carl torniamo noi.

Dopo quel litigio, dopo quelle scuse, qualcosa è cambiato.

Siamo più uniti.

Più complici.

Ma anche più testardi.

Perché se c’è una cosa che non cambia mai…

È il nostro modo di metterci nei guai.

---

Siamo fuori Alexandria, in spedizione.

Io, Carl, Daryl e altri due ragazzi.

Dobbiamo recuperare provviste e munizioni.

Ma ovviamente, qualcosa va storto.

Un’imboscata.

Siamo in un vecchio magazzino, controllando delle casse, quando all’improvviso sentiamo rumori da fuori.

Troppo forti.

Troppo vicini.

«Cazzo,» sussurra Daryl, affacciandosi da una finestra sporca.

Io e Carl ci scambiamo un’occhiata veloce.

E quando lui stringe la mascella, capisco subito.

Non sono vaganti.

Sono persone.

E non sembrano amichevoli.

---

«Dobbiamo uscire da qui,» mormora Carl.

Annuisco.

Ma mentre ci muoviamo, sentiamo un rumore alle nostre spalle.

Ci giriamo di scatto.

E vediamo due uomini armati.

«Bene, bene,» sorride uno dei due.

Ha un’aria sporca, crudele.

Mi guarda con un sorriso disgustoso.

«Che abbiamo qui?»

Sento il mio stomaco chiudersi.

Carl fa un passo davanti a me.

Come se potesse coprirmi, proteggermi.

Ma io non sono il tipo che aspetta di essere salvata.

Abbasso lo sguardo.

E lo vedo.

La mia collana.

La mia fenice.

Il simbolo che mi ricorda chi cazzo sono.

Chi sono sempre stata.

Chi devo essere adesso.

E allora respiro piano, mi preparo.

Perché se c’è una cosa che una fenice sa fare…

È bruciare prima di risorgere.

E io?

Io sono pronta a incendiare il mondo.

145. Il Simbolo della Fenice (continua)

L’aria è tesa.

Sento Carl rigidirsi accanto a me, le sue dita che sfiorano appena l’elsa del coltello alla cintura.

Daryl stringe il fucile, il suo sguardo calcolatore.

Ma io?

Io resto ferma.

Non per paura.

Non per esitazione.

Ma perché sto osservando.

Sto analizzando.

Due uomini davanti.

Altri fuori.

Non sappiamo quanti.

Non sappiamo cosa vogliono davvero.

Ma ho imparato una cosa, nella mia vita.

Chi sorride così…

Vuole qualcosa.

---

«Allora?» dice l’uomo.

Il suo sguardo rimane su di me.

Mi scansiona.

Mi valuta.

E questo mi fa venire il vomito.

Carl se ne accorge.

Il suo corpo scatta leggermente in avanti, come se fosse pronto a saltare addosso a quel bastardo.

«Non guardarla.»

La sua voce è un ringhio basso, profondo.

L’uomo sorride di più.

«Tranquillo, ragazzino. Stavo solo… osservando.»

Carl sta per perdere la testa.

Lo sento nel modo in cui il suo respiro si fa più pesante.

Nella tensione nelle sue mani.

Se non faccio qualcosa…

Scoppierà il caos.

E non siamo ancora pronti per combattere.

---

Abbasso lo sguardo.

Le mie dita sfiorano il ciondolo al collo.

La mia fenice.

La stringo leggermente, come se potesse darmi la forza di cui ho bisogno.

E in un certo senso, lo fa.

Perché questa non è solo una collana.

È un simbolo.

Un pezzo di chi sono.

Della mia storia.

Della mia dannata identità.

La fenice non è solo una creatura mitologica.

Non è solo un uccello che rinasce dalle proprie ceneri.

È sopravvivenza.

È dolore trasformato in potere.

È la capacità di cadere e rialzarsi.

Di bruciare, ma non essere distrutti.

E io?

Io sono sempre stata fiamme e cenere.

Bruciata troppe volte.

Distrutta troppe volte.

Eppure, ogni volta, sono rinata.

Ogni volta, sono diventata più forte.

E adesso?

Adesso non sarà diverso.

---

L’uomo sta ancora sorridendo.

Ancora convinto di avere il controllo.

Perfetto.

Perché chi è convinto di avere il controllo…

Non si accorge mai di quando glielo porti via.

Mi passo la lingua sulle labbra, inspirando piano.

Poi parlo.

«Allora, qual è il vostro piano?»

Lui inclina la testa.

«Piano?»

Faccio un passo avanti.

Carl cerca di fermarmi, ma lo ignoro.

Tengo lo sguardo fermo, sicuro.

«Avete delle armi.** Ci avete seguiti.** Ci avete circondati.»

Sollevo appena il mento.

«Quindi? Qual è il piano? Perché se volevate solo rubarci le provviste, avreste già sparato. Invece state parlando.»

L’uomo mi studia.

E in quel momento capisco.

Lui non è il capo.

Il capo è fuori.

E questo significa una cosa sola.

Posso spezzare la catena.

---

Lentamente, porto la mano alla cintura.

L’uomo si irrigidisce subito, ma non estraggo un’arma.

No.

Estraggo una delle bottigliette d’acqua che abbiamo trovato poco fa.

La tengo tra le dita, la faccio girare leggermente.

«Vi servono le provviste, vero?»

Silenzio.

Poi, lentamente, lui annuisce.

Bene.

Perché adesso so esattamente cosa fare.

---

Mi giro verso Carl e Daryl.

Carl mi sta fissando come se fossi impazzita.

E forse, un po’ lo sono.

«Abbiamo abbastanza roba,» dico, la mia voce sicura.

«Possiamo darvi qualcosa. Ma solo se abbassate le armi e ci lasciate andare senza problemi.»

L’uomo ride piano.

«E perché dovremmo?»

Sorrido.

È il momento giusto.

«Perché se ci uccidete, non saprete mai dove troviamo tutte queste risorse.»

Il suo sorriso si spegne leggermente.

E io so di averlo preso.

Perché la gente come loro…

Non vuole solo sopravvivere.

Vuole controllare.

E se pensa di poter ottenere di più da noi vivi che da noi morti…

Abbiamo una possibilità.

---

«Parliamo con il vostro capo,» dico piano.

L’uomo mi fissa per un lungo momento.

Poi, senza dire nulla, fa un cenno agli altri.

Le armi si abbassano.

Abbiamo vinto questa mano.

Per ora.

Carl si avvicina immediatamente, la sua mano sulla mia schiena, il suo respiro corto.

«Sei impazzita?» sussurra tra i denti.

Gli lancio un’occhiata.

«Forse.»

«Cazzo, Zaira.»

Sorrido leggermente, anche se dentro sono ancora in tensione.

«Funzionerà.»

Carl mi guarda per un secondo, i suoi occhi che cercano di capire cosa cazzo stia passando nella mia testa.

Poi, con un sospiro pesante, scuote la testa.

Carl mi fissa con incredulità.

Il suo respiro è corto, pesante.

Sa che quello che ho fatto ha funzionato.

Ma invece di ringraziarmi, invece di dire qualcosa di utile…

Mi insulta.

«Sei una cazzo di pazza irresponsabile del cazzo, Zaira.»

Mi blocco.

Lo guardo male.

Ma lui non ha finito.

«Tu sei completamente fuori di testa! Ti rendi conto di che cazzo hai fatto? Ti sei messa davanti a tutti come se fossi immortale, come se nessuno potesse spararti in faccia da un momento all’altro!»

Stringo i denti, la mascella tesa.

Il mio stomaco si chiude per la rabbia.

«Se non l’avessi fatto, saremmo morti, Carl.»

Lui ride.

Una risata amara, incazzata.

«Certo, Fenice. Perché sei tu a decidere chi vive e chi muore, vero?»

Mi si gela il sangue.

Le sue parole mi colpiscono più di qualsiasi pugno.

Lui mi sta attaccando.

Perché?

Perché non sopporta che abbia preso il comando?

Perché non sopporta che io sia stata più veloce di lui?

Mi si chiude la gola, ma non gli do la soddisfazione di vedere quanto mi ha colpito.

Mi limito a guardarlo male.

Poi mi giro.

E senza dire nulla, continuo a salvare il suo culo.

---

L’uomo che ci ha fermati, quello con il sorriso viscido, non è il capo.

E adesso lo so per certo.

Mi tiene d’occhio mentre uno dei suoi uomini va a chiamare il vero leader.

Mi accarezzo il ciondolo a forma di fenice, stringendolo tra le dita.

Carl continua a guardarmi male.

Lo sento senza neanche girarmi.

Ma non ho tempo di pensare a lui.

Ho una situazione da gestire.

E se non lo faccio bene, moriamo tutti.

---

Dopo qualche minuto, il capo arriva.

Un uomo sui quarant’anni, robusto, con la barba incolta e uno sguardo pericoloso.

Non sorride.

Non scherza.

Non ha bisogno di farlo.

Si ferma davanti a me, mi squadra dall’alto in basso.

«Così, sei tu quella che vuole trattare.»

Annuisco.

«Abbiamo quello che vi serve. Se facciamo un accordo, tutti possiamo andarcene vivi.»

Lui mi osserva, calmo.

«E perché dovrei lasciarti andare? Potrei semplicemente prendermi tutto e uccidervi.»

Sorrido appena.

Perché so esattamente cosa dire.

«Se ci uccidi, perdi un’opportunità.»

Lui solleva un sopracciglio.

«Che opportunità?»

Faccio un passo avanti, tenendo il contatto visivo.

«Non siamo come gli altri gruppi. Noi abbiamo risorse, abbiamo gente in gamba. Potresti farci fuori adesso, certo…»

Inclino la testa leggermente.

«…ma se ci lasci andare, potremmo trovare il modo di far arrivare più scorte anche a voi. Senza dover spargere sangue.»

Gli altri uomini si scambiano occhiate.

Ci stanno pensando.

E questo è esattamente quello che voglio.

---

Lui rimane in silenzio per un lungo momento.

Poi, annuisce.

«D’accordo. Lasciate le provviste che avete promesso e andatevene.»

Io respiro piano, senza far vedere il sollievo.

Faccio cenno ai miei di iniziare a scaricare le cose.

Ma prima che me ne vada, il capo parla di nuovo.

«Se menti, torneremo. E stavolta, nessuno tratterà con te.»

Sorrido di lato.

«Non ho intenzione di mentire.»

E con questo, ci lasciano andare.

---

Una volta fuori pericolo, Carl mi prende da parte.

Il suo sguardo è ancora acceso di rabbia.

«Zaira, non ti rendi conto che hai rischiato la vita? E se non avessero accettato l’accordo?»

Incrocio le braccia, lo fisso a mia volta.

«Se avessimo reagito con violenza, ci avrebbero uccisi tutti. Ho fatto quello che dovevo fare.»

Lui scuote la testa, frustrato.

«Cristo santo, tu pensi di essere sempre l’unica con il piano giusto, vero?»

Lo guardo male.

«E tu pensi sempre di dovermi dire cosa fare.»

Carl mi fissa, stringe i denti.

Ma non dice niente.

Sa che non può ribattere.

Sa che ho ragione.

E questa volta, non ho voglia di sentire altro.

Mi giro.

E per il resto del viaggio, non gli rivolgo più la parola.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top