Ci muoviamo in gruppo, attraversando le strade deserte di questo paese dimenticato.

Il sole è alto, il caldo è opprimente, ma io ho altro a cui pensare.

Lei.

Zaira cammina davanti a me, la pistola in una mano, il coltello nell’altra.

Si muove sicura, attenta, perfetta come sempre.

E non sono l’unico a notarlo.

C’è uno dei ragazzi del gruppo.

Un tizio nuovo, Jared, o qualcosa del genere.

La sta guardando.

Troppo.

E io voglio spaccargli la faccia.

Mi sforzo di ignorarlo, di concentrarmi sulla missione.

Ma poi succede.

Si avvicina a lei.

Le dice qualcosa che non sento.

Lei ride, anche se è una risata fredda, distratta.

Ma per me basta e avanza.

Mi si chiude lo stomaco, il sangue mi pulsa nelle tempie.

Stringo il fucile così forte che potrei spezzarlo.

Perché lui ci sta provando.

E a me non sta bene.

Perché Zaira è mia.

E lui non ha diritto neanche di guardarla.

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Mi avvicino piano.

Lento.

Silenzioso.

Jared sorride, le dice qualcos’altro, poi le tocca un braccio.

E lì perdo la testa.

Lo afferro per il colletto della camicia e lo tiro indietro senza mezzi termini.

Jared barcolla, sorpreso.

«Che cazzo?»

Lo fisso, il respiro troppo pesante.

Zaira mi guarda, sospettosa.

«Carl, che problema hai?»

Il problema è che voglio ammazzarlo.

Il problema è che se lo guardo ancora potrei perdere il controllo.

Mi avvicino di nuovo a Jared, il mio viso a un centimetro dal suo.

Abbasso la voce, fredda, letale.

«Guardala ancora e ti ammazzo.»

Jared deglutisce, si scosta subito.

Capisce che non sto scherzando.

Zaira mi fissa, le braccia incrociate.

«Era solo una conversazione.»

Io la guardo dritto negli occhi.

«No, Fenice. Lui non voleva solo parlare.»

Lei mi studia per un secondo.

Poi sorride appena.

Quasi divertita.

Come se le piacesse vedermi così.

E forse è vero.

Forse le piace vedermi incazzato per lei.

Ma io?

Io non sto scherzando.

E se Jared prova ancora a sfiorarla, lo ammazzo davvero.