Giochi Pericolosi


Gli amici di Carl continuano a ridere, a fare battutine, ma io non li ascolto più.

Perché l’unica cosa che sento è la sua mano ancora lì.

Ferma.

Troppo ferma.

Troppo sicura.

Lo fa apposta.

E io lo so.

Così mi volto leggermente verso di lui, senza smettere di sorridere.

«Sei comodo?» sussurro piano, solo per lui.

Carl mi guarda con quel suo solito sguardo da stronzo sicuro di sé.

Il cappello abbassato sugli occhi, il sorriso appena accennato.

Poi, senza il minimo imbarazzo, stringe appena la presa sul mio sedere.

Io sussulto appena. Quasi impercettibile.

Ma lui lo nota.

E sorride di più.

«Devo dirtelo, Fenice,» mormora a bassa voce, il tono basso e divertito. «Hai un bel culo.»

Mi si ferma il respiro per un secondo.

Non per le parole.

Ma per come le dice.

Come se fosse una semplice constatazione.

Come se sapesse esattamente cosa sta facendo.

Stringo i denti.

Non gli darò la soddisfazione di reagire.

Così mi limito a inclinarlo appena di lato, alzando un sopracciglio.

«Lo so.»

Carl ride piano.

E poi, senza togliere la mano, si rilassa contro il divano.

«Brava,» sussurra. «Inizia a imparare.»

E il problema?

Il problema è che non so più chi sta vincendo questo gioco.

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