Gelosia (Anche Se Non Vuole Ammetterlo)


Enid sbuffa, scuote la testa e afferra la stronza per un braccio.

«Ok, direi che hai rotto abbastanza per oggi.»

La ragazza cerca di protestare, ma Enid la strattona via senza troppe cerimonie.

Io le guardo andarsene, ancora incastrato nelle parole di Zaira.

Cristo, non posso togliermele dalla testa.

"Le sue mani sono calde, forti, sanno esattamente dove toccare e come."

"Quando mi tiene ferma è impossibile scappare."

Cazzo.

Mi giro verso di lei, un sorriso divertito sulle labbra.

Ma prima che possa aprire bocca, lei mi fulmina con lo sguardo.

E capisco subito che qualcosa non va.

---

Zaira mi fissa con un’espressione che non mi piace per niente.

Le braccia incrociate, la mascella serrata.

Sembra sul punto di esplodere.

E io?

Io non ho nemmeno fatto nulla.

«Ok… che cazzo hai adesso?»

Lei sbatte le palpebre come se non si aspettasse la domanda.

Poi stringe i denti, mi punta un dito contro.

«Come cazzo ti è saltato in mente di lasciarla parlare così?»

Io mi fermo, confuso.

«Di cosa stai parlando?»

«Di lei, Carl!» sbotta, agitando le mani. «Di quella troia che ti stava lanciando addosso ogni singolo pensiero sporco che aveva in testa!»

Alzo un sopracciglio, incrocio le braccia.

«E cosa avrei dovuto fare, esattamente? Chiederle di smettere? Avrebbe solo peggiorato le cose.»

Lei sbuffa, scuote la testa.

«Non mi interessa.»

Io la guardo, sempre più confuso.

«Aspetta, aspetta…»

Faccio un passo avanti, la fisso negli occhi.

«Perché cazzo ti stai incazzando così tanto?»

Lei apre la bocca per rispondere.

Poi si blocca.

Io la guardo.

Lei mi guarda.

Silenzio.

Lei non sa cosa dire.

E io?

Io capisco tutto.

---

«Oh.»

Un sorriso mi sfiora le labbra.

«Oh.»

Lei mi fulmina.

«Non dire "oh".»

Io rido piano, divertito.

«Fenice, sei gelosa?»

«No.»

«Mh.»

«Carl, giuro su Dio se continui—»

«Non ho nemmeno fatto nulla.»

Lei si blocca di nuovo.

Perché sa che è vero.

Io non ho fatto assolutamente niente.

Ma è incazzata comunque.

Perché ha odiato ogni secondo di quella conversazione.

Perché non sopporta l’idea che qualcun’altra mi guardi in quel modo.

E cazzo, questa cosa mi piace più di quanto dovrebbe.

Le sorrido, mi avvicino un po’ di più.

«Ammettilo, Fenice.»

Lei stringe i pugni, mi guarda come se volesse prendermi a schiaffi.

«Vaffanculo.»

Io rido.

«Ammettilo.»

Lei mi spinge via, incazzata.

Poi si gira, si allontana senza dire altro.

Ma il rossore sulle sue guance mi dice tutto quello che voglio sapere.

L’ho fottutamente beccata.

Appena finisco il lavoro, torno subito a casa.

Ho ancora la maglia sporca e i muscoli che bruciano dalla fatica, ma non me ne frega un cazzo.

Perché so che lei è ancora arrabbiata con me.

E devo risolvere questa cosa.

Anche se non so nemmeno perché cazzo sia incazzata.

---

Appena entro in casa, la vedo subito.

È sul divano, le braccia incrociate, le gambe tirate su, lo sguardo fisso nel vuoto.

E Cristo, ha ancora quell’aria offesa che mi fa venire voglia di ridere.

Mi appoggio allo stipite della porta, la guardo un secondo.

Poi mi avvicino piano.

«Fenice.»

Lei non mi guarda nemmeno.

«Mh.»

Io sbuffo piano, mi passo una mano tra i capelli.

«Ok, ascolta. Mi dispiace.»

Silenzio.

Lei non si muove.

«Dai, non fare così.»

Lei si limita a sollevare leggermente il mento, come se non le fregasse niente.

Stronza.

Ok, vuole giocare così?

Va bene.

Mi siedo accanto a lei, mi avvicino senza dire nulla.

Poi inizio a baciarla.

Sul collo.

Sulla guancia.

Sul mento.

Ovunque.

Baci piccoli, veloci, ripetuti.

Lei si irrigidisce per un secondo, cercando di mantenere l’espressione dura.

Ma so che sto vincendo.

Perché la sento che cerca di trattenere un sorriso.

«Carl, smetti.»

«No.»

Le do un altro bacio sulla mascella.

Poi un altro sulla fronte.

Poi di nuovo sul collo, le mie labbra che si fermano per un secondo in più.

E finalmente, sento il suo corpo rilassarsi.

Poi, all’improvviso, ride piano.

E Cristo, quanto amo quel suono.

Appena lo sento, la prendo subito in braccio.

Lei sobbalza leggermente, si aggrappa a me ridendo.

«Carl! Met—»

«Mai.»

Sorrido, la stringo ancora di più, la sollevo senza sforzo.

Lei mi avvolge le braccia attorno al collo, mi guarda con un’espressione che mi manda fuori di testa.

Poi mi bacia.

Forte.

Caldo.

Perfetto.

Il suo corpo si adatta al mio come se fosse nato per starci.

E in quel momento, capisco che non potrei mai avere nient’altro.

Solo lei.

Solo la mia Fenice.

---

Dopo un po’, si ferma a guardarmi.

Io alzo un sopracciglio.

«Che c’è?»

Lei socchiude gli occhi, si concentra sulle mie braccia.

Le sue dita scivolano piano sulla pelle, seguono le vene che risaltano leggermente.

Io rido piano, scuoto la testa.

«Ok, ora mi devi spiegare una cosa.»

Lei mi guarda, confusa.

«Cosa?»

«Perché alle ragazze piacciono così tanto le vene?»

Lei ride, passa ancora una volta la mano lungo il mio avambraccio.

Poi si stringe nelle spalle, come se fosse ovvio.

«Perché sono belle.»

Io sbuffo.

«Non ha senso.»

Lei ride di nuovo, mi stringe di più.

«Tu non devi capire, devi solo accettarlo.»

Sorrido, le stringo la vita.

E giuro che se continua a guardarmi così, non ci metto niente a portarla in camera.

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