gelosia
Non parliamo del bacio.
Non lo menzioniamo.
Non facciamo finta che non sia successo, ma nemmeno lo affrontiamo.
Carl continua a guardarmi come se fosse successo qualcosa che non riesce a controllare.
Io continuo a fingere che non mi importi.
Eppure, ogni volta che siamo soli, c’è qualcosa nell’aria.
Una tensione pesante, che ci stringe come una corda troppo tesa.
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È una giornata tranquilla dentro Alexandria.
Fa caldo, quindi mi sono infilata la prima cosa che ho trovato: una maglia larga e sformata di Carl e un paio di pantaloncini corti, quasi come delle culotte.
Non ho pensato molto a come potevo sembrare.
Errore.
Sono in cucina, cercando qualcosa da mangiare, quando sento delle voci provenire dal soggiorno.
Carl è lì con alcuni ragazzi della comunità.
Ragazzi che ora mi stanno guardando.
E parlano.
Sussurrano tra loro, ridono piano, ma li sento bene.
«Cristo, la maglia le arriva quasi a metà coscia.»
«Sì, ma sotto… guarda quelle gambe.»
«Pensavo fosse tosta, ma con quei pantaloncini…»
Stringo la mascella.
Mi volto appena e vedo Carl.
Sta guardando i ragazzi.
O meglio, sta fulminando i ragazzi.
Ha le labbra serrate, il corpo leggermente rigido.
Gli occhi scuri. Troppo scuri.
Mi bastano due secondi per capire che è incazzato.
Non dice nulla.
Si alza, cammina deciso verso la cucina e mi trova.
Mi fissa.
Le sue mani sono nei jeans, ma il modo in cui mi guarda non promette niente di buono.
«Adesso vai di là e ti siedi su di me.»
Sbatto le palpebre. «Cosa?»
Carl inclina leggermente la testa, il tono più basso, più autorità che richiesta.
«Hai sentito.»
«Perché dovrei?»
Lui si avvicina, abbassando lo sguardo sul mio corpo troppo scoperto.
Poi mi guarda negli occhi.
«Perché voglio che lo fai.»
Il mio respiro si spezza per un secondo.
Lo odio quando è così.
Quando decide qualcosa e pretende che io lo segua.
Lo guardo dritto negli occhi, sfidandolo.
«No.»
Carl sorride appena. Pericoloso.
«Allora torniamo di là e vediamo quanto ancora vogliono parlare di te.»
Stringo i denti. Stronzo manipolatore.
Mi volto e torno in soggiorno.
Carl mi segue, tranquillo, sicuro.
Mi siedo accanto a lui, ma non su di lui.
I ragazzi sono ancora lì, parlano di altro ora, ma so che Carl non è soddisfatto.
Lo sento dallo sguardo che mi lancia di lato.
Dal modo in cui la sua mano si appoggia distrattamente sulla mia coscia, come per ricordarmi che vuole qualcosa.
Io resisto.
Per qualche minuto.
Ma poi capisco.
Capisco che Carl non mollerà.
Che non dirà nulla.
Ma aspetterà.
Aspetterà che io lo faccia.
E non so perché, non so per quale fottuto motivo, lo accontento.
Con un movimento lento, mi giro verso di lui.
Mi sposto sulle sue gambe, sistemandomi sopra di lui.
Carl non dice nulla.
Non fa nulla.
Ma il modo in cui le sue mani scivolano automaticamente sulle mie cosce mi fa capire che ha ottenuto esattamente quello che voleva.
E, in qualche modo, io l’ho lasciato vincere.
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