fuoco e ghiaccio


Non volevo venire qui.

Non volevo essere in mezzo a tutta questa gente, con il rumore delle voci che si mescolano al crepitio del fuoco e il fumo del falò che riempie l’aria.

Eppure eccomi qui.

Rick non mi ha dato scelta. "Fa parte della comunità", ha detto. "È importante che tu conosca gli altri."

Stronzate.

Questo non ha nulla a che fare con la comunità. È solo un modo per farci dimenticare che il mondo fuori da queste mura è morto.

Avrei voluto restare nella mia stanza, ma Michonne mi ha lanciato uno sguardo che non accettava rifiuti.

E così ora sono qui, con addosso una maglietta scura troppo aderente – l’unica cosa pulita che ho trovato – e un paio di jeans che almeno mi fanno sentire ancora me stessa.

Mi mescolo tra la folla, restando ai margini. Occhi attenti, mani infilate nelle tasche, il mento leggermente sollevato in quella posa da "non mi interessa" che ho perfezionato negli anni.

Ma il mio sguardo lo trova subito.

Carl.

È seduto su un tronco vicino al fuoco, il cappello leggermente inclinato, un’espressione rilassata sul volto.

Intorno a lui, un gruppo di ragazze ride e bisbiglia, lanciandogli occhiate interessate. Alcune più sfacciate, altre che cercano scuse per avvicinarsi.

Lui non sembra farci caso.

Anzi.

Sembra completamente disinteressato.

Mi sorprende. Carl non è il tipo che cerca attenzioni, ma pensavo che almeno gli facesse piacere averne.

E invece è come se fosse altrove con la testa.

Come se stesse aspettando qualcosa.

Qualcuno.

Mi rendo conto troppo tardi che i suoi occhi stanno cercando i miei.

E quando li trova, sorrido appena, di quella sfumatura fredda che so che lo infastidisce.

Lui inclina appena la testa.

E so già che mi sta sfidando a restare.

Dannato cowboy.

Mi sposto di lato, cercando di evitare gli sguardi, ma ovviamente non passo inosservata.

«Ehi.»

Una voce troppo vicina, troppo sicura.

Mi volto e trovo un ragazzo davanti a me. Alto, capelli biondi spettinati, un sorriso che urla "ci ho già provato con tutte le altre".

Non ricordo il suo nome. Non mi interessa saperlo.

«Non ti ho mai vista da queste parti.»

«Non sono il tipo che si fa vedere in giro.»

Lui sorride, come se avessi appena detto qualcosa di divertente. «Peccato.»

Vorrei ignorarlo, ma lui fa un passo avanti.

Troppo avanti.

Troppo vicino.

Sento il suo sguardo scivolare sulla mia maglietta attillata, il modo in cui le sue dita sfiorano distrattamente il bordo del mio jeans.

«Sai, potremmo divertirci un po’ stasera.»

Il mio stomaco si attorciglia.

«Lasciami stare.»

La mia voce è piatta, priva di emozione.

Lui ride, come se pensasse che stessi scherzando.

Ma non sto scherzando.

Poi la sua mano si muove.

Le sue dita sfiorano la mia vita, una presa leggera, ma sufficiente a bloccarmi.

Il mio respiro si ferma.

È come un interruttore che si spegne dentro di me.

Le sue dita non sono ruvide, non fanno male, ma nella mia testa non è più lui.

Non è più un ragazzo qualsiasi.

È qualcos’altro.

Qualcuno che crede di avere il controllo.

E io...

Io non riesco a muovermi.

Non riesco a reagire.

Il passato mi afferra alla gola con dita invisibili, stringendo sempre più forte.

Lui si avvicina ancora, sussurrandomi qualcosa all’orecchio.

Non lo sento.

Non riesco a sentire niente, tranne il battito martellante nelle orecchie e il freddo che mi paralizza.

Ma prima che possa andare oltre—

Uno strattone.

Un colpo secco.

E all’improvviso non c’è più.

Carl lo ha afferrato per il colletto della camicia e lo ha spinto via con una forza che non pensavo avesse.

Il ragazzo barcolla all’indietro, gli occhi spalancati per la sorpresa.

Carl rimane fermo, lo sguardo gelido come non l’ho mai visto prima.

«Non toccarla.»

La sua voce è bassa.

Pericolosa.

Il ragazzo ride nervoso, cercando di ricomporsi. «Ehi, calmati, stavo solo—»

«Ho detto, non toccarla.»

Carl fa un passo avanti.

Non urla.

Non minaccia.

Ma c’è qualcosa nella sua voce, nel modo in cui il suo corpo è teso, che fa capire a tutti che non sta scherzando.

E il ragazzo lo capisce.

Si tira indietro, sollevando le mani in segno di resa.

«Va bene, va bene. Mi faccio i fatti miei.»

Si allontana nella folla, cercando di salvare la faccia.

Carl rimane immobile per un secondo, poi si gira verso di me.

I suoi occhi incontrano i miei.

Sento il mio respiro tornare, lentamente.

Mi sento di nuovo nella mia pelle.

Lui mi guarda, serio.

«Stai bene?»

Non rispondo subito.

Mi stringo le braccia attorno al corpo, cercando di scacciare il gelo che mi è rimasto addosso.

Poi, con un filo di voce, dico: «Sì.»

Carl non mi crede.

Lo vedo dal modo in cui stringe la mascella, dal modo in cui i suoi pugni sono ancora serrati.

Ma non mi pressa.

Non dice altro.

Si limita a restare lì.

A restare con me.

E in questo momento, è tutto quello di cui ho bisogno.

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