E Se Anche Lui Lo Volesse?
Il silenzio tra noi mi pesa sul petto.
Carl mi sta ancora guardando, troppo serio, troppo intenso.
Le sue mani sono ancora sul mio viso, calde, forti, rassicuranti.
Ma il problema?
Il problema non è lui.
Sono io.
Perché la mia testa non smette di pensare.
Di tornare indietro.
Di ricordare.
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Lui voleva sempre qualcosa.
Dopo.
Quando io ero troppo stanca, troppo debole, troppo confusa.
Lui non si fermava mai.
Diceva che era giusto così.
Diceva che era quello che dovevo fare.
Che era il mio compito.
E se anche Carl lo volesse?
Se ora si aspettasse qualcosa in cambio?
Se volesse che lo toccassi?
Se volesse che gli dessi ancora di più?
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Mi si chiude la gola.
Il mio corpo si irrigidisce appena, l’ombra di un pensiero che mi stringe lo stomaco.
Abbasso gli occhi, deglutisco a fatica.
E poi, piano, chiedo di nuovo.
«Sei sicuro di non volere niente?»
Carl si blocca.
Lo sento nel modo in cui le sue dita si fermano sulla mia pelle, nel modo in cui il suo respiro si fa più lento.
Poi parla.
La sua voce è più ruvida, più bassa.
«Zaira… perché me lo stai chiedendo ancora?»
Io non rispondo.
Perché la verità?
Non lo so nemmeno io.
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Carl sospira, mi prende il mento tra due dita e mi costringe a guardarlo.
«Io non sono lui,» ripete.
Ancora.
Ma la mia mente non lo accetta.
Perché se fosse davvero così…
Perché non riesco a crederci fino in fondo?
Mi alzo dal letto, mi sento strana.
Carl mi guarda, ma io evito i suoi occhi.
Non so perché, ma sento che dovrei lasciarlo stare.
Dovrei dargli spazio.
Lui ha avuto quello che voleva, ora non ha più bisogno di me.
Almeno per un po’.
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Mi rivesto in fretta, senza fare rumore.
Prendo i miei vestiti, mi infilo la maglia, i pantaloni, ma i miei movimenti sono lenti, meccanici.
Carl si sta rivestendo anche lui, ma non dice nulla.
E io lo prendo come un segnale.
Un segnale che è meglio non disturbarlo.
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Faccio un passo indietro, poi un altro.
Lo osservo mentre si sistema il cappello, i capelli spettinati, il respiro ancora leggermente irregolare.
Mi viene da chiedergli qualcosa.
Se sta bene.
Se vuole che resti.
Ma non lo faccio.
Perché non voglio essere di troppo.
Perché so cosa succede dopo.
Dopo lui voleva stare da solo.
Dopo non mi voleva più intorno.
Dopo era come se non esistessi più.
E se con Carl fosse lo stesso?
Se ora non volesse più parlarmi?
Se avessi rovinato tutto?
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Mi avvio verso la porta, tenendo la testa bassa.
Appoggio la mano sulla maniglia, mi fermo un secondo.
Poi parlo.
Piano.
Sottovoce.
«Posso uscire?»
Carl si blocca.
Si gira verso di me, la sua espressione cambia in un istante.
Come se qualcosa dentro di lui si fosse appena spezzato.
«Che cazzo hai detto?»
Io abbasso lo sguardo.
«Posso uscire?» ripeto, più piano.
Carl fa un passo verso di me, le sue mani si chiudono a pugno lungo i fianchi.
«Non devi chiedermi il permesso.»
La sua voce è più bassa, più dura.
Ma io non mi muovo.
Perché non so se credergli.
Perché non so se ora mi vuole ancora qui o no.
Così, faccio l’unica cosa che posso fare.
Abbasso la testa.
E sussurro:
«Scusa.»
Poi esco dalla stanza, senza voltarmi.
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