Dimmi Che Non Mi Ami


Le mie labbra sono a un soffio dalle sue.

Sento il suo respiro, caldo, tremante.

La mia mano si alza istintivamente, sfiorando appena la sua guancia.

Ma poi…

Poi lei parla.

«Carl… non possiamo.»

Le sue parole sono un pugnale nel petto.

Mi fermo.

Il mio cuore si blocca.

La guardo negli occhi, confuso, perso.

«Perché?» chiedo piano.

La sua mandibola si serra.

I suoi occhi si abbassano per un istante, poi tornano su di me.

E quando parla, sento che sta per uccidermi davvero.

«Perché lo hai detto tu.»

---

Mi manca l’aria.

La gola si stringe.

Il suo sguardo è pieno di tutto il dolore che le ho causato.

E Cristo, quanto mi odio.

Quanto vorrei prendere a pugni il Carl di quei mesi fa.

Scuoto la testa.

«No. No, cazzo, Zaira.»

Lei non si muove.

Non reagisce.

Mi fissa con quegli occhi scuri che mi hanno sempre fregato.

E io?

Io crollo.

Passo entrambe le mani tra i capelli, inspiro forte.

«Sono un coglione.»

La mia voce si spezza.

Mi giro per un secondo, mi passo una mano sul viso, frustrato.

Poi torno da lei.

«Sono un fottuto coglione, Zaira. E mi odio. Mi odio per tutto quello che ti ho detto. Per averti fatto sentire come se non fossi abbastanza.»

Lei trattiene il respiro.

Io mi avvicino di nuovo.

«Mi sei mancata.»

Ogni singolo giorno.

Ogni notte.

Ogni momento in cui mi svegliavo e il letto era vuoto.

Ogni volta che sentivo il tuo nome nella mia testa e sapevo che non potevo chiamarti.

«Non ce la faccio senza di te.»

Le parole mi escono spezzate, quasi disperate.

«Ti prego, Zaira.»

Mi avvicino ancora, così tanto che il mio naso sfiora il suo.

«Non lasciarmi di nuovo.»

Lei chiude gli occhi per un secondo.

Come se stesse cercando di resistere.

Come se volesse combattere contro quello che prova.

Ma io non glielo lascio fare.

Perché non importa quanto mi odia.

Non importa quanto sia testarda.

Mi ama ancora.

E Cristo, io l’amerò per sempre.

Per questo la bacio.

Con forza.

Con bisogno.

Con tutto quello che ho dentro.

Mi aggrappo a lei come se fosse l’unica cosa reale in questo mondo di merda.

Il bacio è disperato, intenso, pieno di tutto quello che abbiamo trattenuto per mesi.

Zaira non si tira indietro.

Anzi, mi afferra con la stessa forza con cui la sto stringendo io.

E Cristo, è troppo.

Troppo tempo senza toccarla.

Troppo tempo senza sentirla.

Le mie mani scivolano istintivamente sul suo corpo.

Risalgo lungo la sua schiena, la tiro ancora più vicina a me.

Poi le mani scendono.

La stringo sul culo, sento il suo corpo irrigidirsi per un secondo.

Ma poi si rilassa.

Anzi, fa di più.

Le sue mani si infilano tra i miei capelli, le dita si stringono.

E poi…

Tira.

Un brivido mi attraversa la schiena.

Un piccolo suono sfugge dalle mie labbra, qualcosa tra un lamento e un gemito soffocato.

Zaira si blocca.

Si stacca appena, mi guarda con gli occhi spalancati.

«Merda,» sussurra.

Poi, piano, con voce più incerta:

«Scusa.»

Rido piano, ancora col fiato corto.

«Cristo, Fenice.»

La guardo.

I suoi occhi sono fissi nei miei, incerti.

Ma il modo in cui le sue labbra sono ancora umide dal nostro bacio…

Il modo in cui il suo petto si solleva veloce…

So che non vuole fermarsi.

E neanche io.

Mi avvicino di nuovo, le sfioro le labbra.

«Non fermarti.»

E questa volta, è lei a baciarmi per prima.

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