brivido
Il sole stava calando dietro le mura di Alexandria, tingendo il cielo di arancione e rosso. Le mie braccia erano pesanti per il lavoro appena terminato, le mani sporche di polvere e sudore. Avevo spostato casse per tutto il giorno senza una pausa, e ogni muscolo urlava di stanchezza.
Aprii la porta di casa e la richiusi piano alle mie spalle. L’aria all’interno era più fresca, ma non più leggera.
Rick era seduto al tavolo della cucina, intento a pulire la sua pistola. Sollevò lo sguardo quando mi vide entrare.
«Hai finito?» chiese con voce calma.
Annuii, evitando di mostrargli quanto fossi esausta.
Lui posò l’arma sul tavolo. «Carl ti ha aiutata?»
Per un istante rimasi in silenzio. Carl non mi aveva aiutata affatto. Anzi, non aveva fatto altro che provocarmi.
Ma per qualche motivo inspiegabile, le parole mi uscirono da sole.
«Sì.»
Rick mi fissò per qualche secondo, come se volesse capire se stavo mentendo. Poi annuì lentamente.
«Bene. Domani vi assegnerò altro lavoro.»
Non risposi. Mi limitai a salire le scale, i passi lenti e pesanti.
Il corridoio al piano di sopra era immerso nella penombra.
Voltando l’angolo, mi scontrai contro qualcosa.
Qualcuno.
Carl.
Era appoggiato con una spalla al muro, le braccia incrociate e uno sguardo che non prometteva nulla di buono.
«Allora, adesso dici a papà che ti aiuto, eh?»
La sua voce era bassa, strisciava nell’aria come veleno.
Mi irrigidii.
Aveva sentito.
Sorrise appena, inclinando la testa. «Che brava attrice che sei.»
Feci per passare oltre, ma lui si mosse.
In un attimo, mi spinse contro la parete.
Il respiro mi si bloccò.
Carl era troppo vicino, il suo corpo premeva contro il mio, le mani piantate ai lati della mia testa.
Il suo sguardo era gelido e calmo.
«Sai, Fenice, potresti anche dire la verità. Ma forse ti piace avere qualcuno che ti sta addosso.»
La sua mano si mosse lentamente.
Le sue dita sfiorarono il mio fianco, risalendo piano, appena sotto la felpa.
La pelle bruciava sotto quel tocco.
Il cuore batteva forte, ma non mi mossi.
Rimasi ferma. Immobile.
Carl abbassò la voce, quasi un sussurro.
«Non reagisci? Strano. Di solito ti piace fare scenate.»
Mi fissava, cercando una crepa nella mia calma apparente.
Non gliela concessi.
Restai immobile, respirando piano.
Lui rise piano, un suono basso e tagliente.
«Forse ti piace.»
Poi, lentamente, si staccò da me.
Fece un passo indietro, ma il suo sguardo non mi lasciava.
«La prossima volta, prova a mentire meglio.»
Si voltò e sparì nel corridoio.
Io rimasi lì, immobile.
Le dita inconsciamente si chiusero sul ciondolo della fenice.
Non capivo cosa fosse peggio: la rabbia… o quel brivido che mi era corso lungo la schiena.
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