Cinquantaquattro
Nei giorni subito dopo alla discussione con Akil, ha piovuto tanto da impedirmi di riuscire a scorgere la sua figura, o quella di Leonida, aldilà della finestra.
La verità è che non mi sono mai sforzata molto, volevo fargli credere che non sentivo il bisogno di vederlo, che non volevo vederlo. Ma era una stronzata colossale, soprattutto perché a lui bastava usare quei suoi stupidi "superpoteri" da Totem per riuscire a percepire i miei stati d'animo.
E tanti cari saluti alla privacy della mia testa.
Ora, però, abbracciata al cuscino nel quale ho nascosto la sua piuma, mi sento vulnerabile. Abbastanza da trovare il coraggio di alzarmi dal letto, spegnere la luce per impedire ai riflessi di bloccarmi la visuale, avvicinarmi alla vetrata e guardare fuori senza aver paura d'esser vista da Akil.
Lo strato di condensa opacizza il mondo aldilà della mia camera, solo macchie cupe di colore. Le vette cristalline sono solo deformi mucchi di neve, i folti raggruppamenti d'alberi sono solo tappeti che toccano l'intera scala cromatica che va dal verde al blu. Tanti piccoli soldati ritti nella loro corteccia, qualcuno di un verde scuro e intenso, qualcun altro di un colore più chiaro, sbiadito, verde acqua. Con il polpastrello traccio una linea verticale; il vetro umido risponde al mio tocco quasi vibrando, come se mi avesse aspettato per fin troppo tempo. Una linea verticale, una linea dall'alto verso il basso, la linea di una caduta. Il suo percorso.
Scuoto la testa per tornare in me e, velocemente, cancello il breve tratto usando la manica del pigiama. Ora, aldilà dello spiraglio, la foresta affoga nella pioggia che colpisce gli aghi di pino con violenza.
Sembra un pianto, una vera e propria crisi isterica del cielo, una dimostrazione della rabbia nervosa della Terra. Guardo il cielo soffocato dalla fitta e densa coltre di nuvole nere. Il sole muore, congelato in un pomeriggio di metà marzo e la luna allunga i suoi candidi raggi nell'eterna speranza di riuscire a sfiorare il suo compagno negato.
Ma di Akil nessuna traccia. Nessuna traccia neanche di Leonida.
Chiunque mi stia sorvegliando, starà riparandosi da qualche parte.
«Non c'è.» dico a Mr Dunky, «Sarà stufo anche lui... è vero che tu non ti stancherai mai di me?» chiedo nel tono più tenero del quale sono capace, accarezzandogli la pancia morbida come il velluto.
In risposta, un forte e ruffiano attacco di fusa.
Afferro il telefono e compongono il numero di Adham. Decido poi di cancellarlo, ricomporlo e poi ancora cancellarlo, decretando che parlare con qualcuno del mio problema con Akil, sarebbe come ufficializzare il fatto che ci sia realmente un problema.
Mi lascio cadere sul letto sbuffando. Costringo a tacere quella vocina maligna che mi suggerisce che in fondo l'idea di trasferirsi non è proprio una stronzata. Certo, addio vetrata che affaccia sulla profonda gola nera, addio al folto del bosco che sussurra, addio ai Totem. Addio anche ad Akil... soprattutto ad Akil. Ma addio ad Eva, e questo dovrebbe bastarmi. Mi risveglierei in un nuovo letto, sotto un tetto diverso, davanti ad una piccola finestra che affaccia su un parco, magari. E magari mi ricorderei di questo breve periodo della mia vita come un vecchio sogno sbiadito che mi raccontava di creature impossibili. Magari potrei anche confondere questo ricordo con uno di quelli che crea la mente autonomamente, un ricordo finto ma bellissimo. E potrei ricominciare di nuovo, lontano sia da Melanie che da Dahlia.
Poi, però, mi sento stringere lo stomaco al pensiero di dover abbandonare le mani calde di Akil sul mio corpo, il torpore affannato delle notti nella sua caverna, il mio riflesso negli occhi di vetro color miele. E non posso, proprio non posso.
Abbraccio il cuscino e accarezzo con l'indice il rilievo della piuma di Akil che ho nascosto al suo interno. Chiudo gli occhi e li riapro solo quando sento un picchiettio contro la finestra.
Un corvo becca insistentemente tentando di richiamare l'attenzione. I piccoli occhi blu brillano di terrore, sbatte le ali guardandosi intorno con fare ansioso.
Eva è di nuovo qui, penso.
Apro la finestra, Leonida si fionda all'interno della stanza e atterra malamente sulla moquette. Giro in tondo alla ricerca di un'arma e afferro la forbice a punta tonda dalla scrivania.
Leonida si contorce di dolore a terra ed io stringo l'arma con entrambe le mani. La punto in avanti contro la finestra, unica mia debole minaccia nei confronti di Eva.
Smetto di tremare di paura solo quando sento Leonida ridere a crepapelle.
«Idiota!» sbraito, scagliandogli contro le forbici.
«Io? Casomai tu!» ribatte, ancora ridendo, «Una forbice dalle punte tonde dovrebbe proteggerti da un serpente dalle dimensioni spropositate?» alza un sopracciglio.
«Cosa vuoi, Leonida?» taglio corto, incrociando le braccia al petto.
«Solo fare due chiacchiere. Lì fuori si muore di freddo e questa stanza ha tutta l'aria d'essere molto accogliente.» risponde con nonchalance.
Allunga una mano per accarezzare la testa di Mr Dunky ma questo prima gli soffia, poi fugge via a nascondersi sotto il letto. Leonida gli soffia a sua volta, divertito e infastidito al tempo stesso.
«Sì, molto accogliente. Ma io non ti voglio qui.» dico secca, indicandogli la finestra.
«Andiamo, veramente stai cacciando un uomo nudo dalla tua stanza?» ribatte mostrandomi un sorriso beffardo.
Arrossisco violentemente, manifestando tutta la mia irritazione stringendo le labbra in una linea sottile e contraendo i pugni ai fianchi.
«Scherzavo.» dice portandosi addosso la coperta di Mr Dunky, «Però fuori fa davvero freddo. Una chiacchiera che male può fare?» insiste con tono falsamente innocente, intanto che con una mano si disegna un'aureola sulla testa.
«E sentiamo, di cosa vorresti parlare?» ribatto stizzita.
«Di Akil.» se ne esce con sicurezza, consapevole d'esser finalmente riuscito a suscitare il mio interesse.
«Beh?» fingo indifferenza, «Che vorresti dire?»
«Nulla, mi sembrava di aver percepito un certo distacco tra voi due.» risponde malignamente, «Qualcosa non va?»
«Cosa non dovrebbe andare? Va tutto bene, cosa c'è che non va?» rispondo in fretta mettendomi sulla difensiva.
«Mah, tante cose posso andare male in questi rapporti particolari. Sai, non sei la prima che si innamora del proprio Totem.»
«Ah no?» questa volta sono seriamente incuriosita, forse attratta dalla possibilità che possa esistere una soluzione ad ogni problema.
«Oh, sì sì.» conferma, «Ma non vanno mai bene queste cose.» schiocca la lingua contrariato, «Peccato.»
«E per quale motivo? Qual è il problema se un Totem continua la relazione con una Protetta che non ha più bisogno di protezione?» domando, profondamente infastidita.
«Sai com'è, noi rimaniamo belli e giovani per sempre. Voi umani diventate vecchi e insopportabili. E morite, cosa certo non molto piacevole in una relazione, tu che dici?»
«Quindi...» rifletto, «Quindi Akil mi ha fatto tutto quel discorso assurdo sul separarsi perché non vuole stare con una vecchia? E non vuole piangerla al suo funerale?» domando, stupita.
«Direi proprio di sì, tesoro.» risponde, allungando le braccia all'indietro e posando tutto il peso sui palmi delle mani.
«Ma è un ragionamento egoista!» concludo, cieca di rabbia.
«Eh, già.» conferma lui, sorridendo divertito, «Non può funzionare tra umano e Totem. È come forzare l'accoppiamento di un gatto con un leone.» guarda Mr Dunky e contrae il viso in una smorfia di disgusto.
«Sono... io sono...»
«Troppo poco.» completa lui, in un sibilo.
«Vattene.» dico, la voce bassa e fredda.
«Levo le tende, allora.» dice alzandosi, «Buona notte.» sorride soddisfatto e mi strizza un occhio.
Salta in aria e muta nella sua forma di corvo. Vola via dalla vetrata gracchiando d'eccitazione.
Nel cielo spuntano due luci ocra, due stelle che puntano proprio nella direzione della mia stanza.
Probabilmente Akil deve aver sentito il mio stato d'allarme quando ho creduto che Eva stesse per attaccarmi di nuovo.
Prima che possa raggiungere la finestra, faccio scorrere l'anta di vetro sulla destra fino a sentirne lo scatto della chiusura. Abbasso la tapparella e mi nascondo velocemente sotto le coperte.
Troppo poco.
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