Lei è bellissima!
Cazzo se lo è...
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Naira
Chi diavolo è quella biondina?
Non riesco a non guardarli, mentre lui l'accompagna al tavolo, tenedole la mano come se potesse perderla da un momento all'altro.
«Quindi ha una ragazza?» Rivolgo la domanda a me stessa, senza rendermi conto che sto parlando a voce alta.
«Chi, Evan?» Jake emette una piccola risata ironica. «Non direi proprio.»
Tiro un sospiro di sollievo, ma riesco a farlo da dentro, senza farmi sentire.
«È un passatempo?» continuo a chiedere, anche se non dovrebbe importarmi.
Lo sguardo dell'uomo al mio fianco si rabbuia, spinge la schiena contro la sedia, lascia cadere la testa all'indietro e intreccia le mani sopra di essa.
«Naira, perché t'importa così tanto?» domanda scocciato.
Prendo il tovagliolo dal tavolo, lo porto sotto la tovaglia e inizio ad arrotolarlo tra le dita nervose.
Me la sto giocando male con Jake.
Non riesco a scrollarmi di dosso il pensiero di Evan dietro il parcheggio. Cerco un modo di prendere quel pensiero e ridurlo in polvere, ma diventa granito solido, non potrei scalfirlo neanche con l'acido. Non posso tenere a freno i pensieri sporchi che insudiciano l'immagine del mio corpo sotto le sue mani roventi.
Cerco lo sguardo di Jake, per sciogliere il desiderio che mi opprime e trasformarlo in qualcosa di buono.
«Credevo foste amici.» Provo a riprendere il coltello dalla parte del manico. «Vado un attimo in bagno.» Ma l'afferro dal lato sbagliato, taglia la pelle e brucia...
... Brucia come quel bacio che ha il sapore di niente misto all'acidità che risale dallo stomaco.
Quel bacio che la donna reclama da Evan.
E lui la ricambia, con l'urgenza di due bocche spinte dalla fame, dal desiderio che non ha nulla da nascondere. So bene quale sarà il loro finale e fa male, cazzo.
«Non volevo offenderti, Nay.»
Prendo al volo il piccolo suggerimento che mi ha appena regalato, anche se non lo sa. Lo guardo truce, prima di voltargli la schiena e scappare via da quella scena che ha appena chiuso le porte.
«Lo hai fatto, Jake.» Lo dico a bassa voce, ma in modo tale
che mi ascolti ugualmente.
Sento strisciare la sedia sul pavimento, mi blocca, afferrandomi da un polso e mi trascina indietro contro il suo petto. Gli occhi s'incastrano nei miei, mentre prende una ciocca dei capelli che mi scende sulla guancia.
«Scusami.» sussurra in un sospiro. «Vuoi che ti porti a casa?» chiede, forse con la speranza che gli dica di non farlo, ma io non ce la faccio.
Non posso rimanere a guardare mentre quei due si consumano.
È appurato che, il fastidio che provo, devo imparare a gestirlo, prima di eliminarlo.
L'ex ragazza di Jake paga la sua piccola vendetta e io sto fallendo miseramente. Sarebbe stato tutto così facile se non fosse esistito Evan per intralciare il mio lavoro.
«No, ma preferisco andare via di qua e chiarire questa cosa.»
«Non vuoi finire la cena?»
«Seguimi, ti porto a mangiare il miglior Kebab di New York. Offro io, però.» Sorrido e lui ricambia in un modo che mi dona sollievo.
Andiamo via, dopo esserci scusati con la direttrice di sala.
All'uscita, fa cenno a un ragazzo di portare la macchina davanti l'entrata.
«No, dai, andiamo con la mia.» suggerisco. «Ti ho detto che ti porto io.»
«Ok, vediamo questo bolide.»
Mostro la quattro ruote rossa, con la mitica cappotta abbassata, che sta dall'altro lato della strada. In lui appare un sorriso di sbieco, quasi come a sforzarsi. Scoppio in una risata sonora.
«Dai, non fare quella faccia, Jake, dalle una possibilità.»
«Dimmi almeno che il tettuccio si chiude.»
Mi giro per guardarlo, utilizzo i miei occhietti da Bambi, sbatto le ciglia, come un ventaglio e prendo le chiavi dalla borsetta.
«Non credi di pretendere troppo?» chiedo in una domanda che non ha bisogno di risposte. «Andiamo, porta il tuo bel culetto sul mio Ferrari.»
Infila le mani in tasca e rivolge lo sguardo verso il cielo, prima di seguirmi.
«Ci saranno quindici gradi, Nay, congeleremo.»
Quanti problemi si fa il ragazzo. Giro con la cappotta abbassata anche in pieno inverno – imbacuccata come una mummia –, ma nessuno ha mai creato tanti drammi per un po' di vento in faccia.
Lo ignoro, sorrido quando il parcheggiatore riporta la sua macchina e lui grida verso l'ingresso per farsi sentire tra le auto che sfrecciano sulla strada.
«Riportala nel parcheggio.» dice, mortificato, rivolto al ragazzo. «Verrò a prenderla più tardi, se ne esco vivo.» Scuote le spalle rassegnato. «Mi riporterai a prenderla, vero?» Mi domanda.
«No, ti abbandonerò in un bosco.» Lo sbeffeggio. «Sali, ragazzino e smettila di frignare.»
All'interno dell'auto, alzo la radio a tutto volume, mentre percorriamo la strada che ci porterà dal mio uomo di fiducia.
Jake non è molto contento del frastuono che esce fuori dalle casse, sembra quasi imbarazzato, quando passiamo da Meatpacking District.
La gente, da queste parti, ha la puzza sotto il naso, come l'uomo al mio fianco, in questo momento. Abbassa il volume dello stereo e io lo lascio fare. Non mi deve accettare per quella che sono, devo essere quella che lui vuole.
Ma prima, dovrei assicurarmi che lui sia un vero pezzo di merda.
Accosto all'angolo sulla quindicesima. Qui da Miznon, il Kebab divora le papille gustative, mentre tu lo fai con la piadina che racchiude la carne.
«Naira, da quanto tempo?»
Il proprietario è sempre molto felice di vedermi.
«Hai ragione, Omar, sono proprio una brutta persona.» rispondo, mentre mi avvicino per stringerlo in un abbraccio che lui ricambia con un grosso sorriso stampato in faccia.
«Be', proprio brutta non direi.» Mi squadra, prende la mia mano, facendomi fare un piroetta su me stessa. «Se solo io ti piacessi, almeno un po'» ride, prendendomi in giro.
Mi accosto al suo orecchio per non farmi sentire dalla gente che ha gli occhi su di noi e la nostra scenetta.
«Se solo non ti piacesse il volatile.» Sorride imbarazzato, prima di dondolarmi in una forte stretta, tra un paio di braccia accoglienti.
Omar è un uomo di circa trent'anni, è molto alto e mi sovrasta. Il suo sguardo, dagli occhi neri come la pece, riflette una persona che ne ha passate tante nella vita, ma è sereno, ora.
Ci liberiamo dalla stretta e, grattando la barba incolta, lo vedo fare un espressione perplessa mentre osserva Jake.
«Lui dov' è?» dice sottovoce.
«Omar, lascialo perdere Jay.» Lo rimprovero. «Ora è felice, frequenta una persona, toglitelo dalla testa.»
Mi lancia un'occhiata truce e scuote la testa con aria rassegnata.
«Ne parliamo dopo.» afferma, prima di rialzare il tono della voce. «Accomodatevi, ragazzi. Vi preparo il solito, Nay?» chiede, gira dietro il bancone che offre una quantità esagerata d'ingredienti da inserire nel pane. «Tu lo mangi il piccante, amico di Naira?»
«Jake, si chiama Jake.» suggerisco.
«Oh, non immaginavo avesse un nome, visto che non me l'hai presentato.» Mi sbeffeggia. «Mangi piccante, amico Jake?»
L'uomo, rimasto alla porta, non accenna a entrare. Anche se non lo conosco ancora bene, ha tutta l'aria di essere restio.
«Per me, solo una birra, grazie.» risponde schifato.
Non mi piace per niente il suo atteggiamento, ma alzo le spalle, guardando Omar, per fargli capire di non fare una polemica sterile.
«Solo una birra anche per me, allora.» Sto morendo di fame, ma terrò a freno lo stomaco, lo farò piangere in silenzio.
«Sicura?» domanda Omar sottovoce.
Annuisco con un sorriso e porto Jake ad accomodarsi all'esterno, dopo aver preso le due bevande.
Vederlo impalato a sorreggere la porta, mi fa uno strano effetto. Sbaglio ogni santissima mossa con lui.
Non lo vedo, non ci riesco. L'altro mi sta offuscando la mente e muovo le pedine sbagliate.
Ci sediamo e, i piccoli tavoli sul marciapiede, fanno storcere il naso al mio accompagnatore.
«Se non sei a tuo agio, possiamo andare via.» Mi fingo dispiaciuta, ma la verità è che sento un fastidio dentro che mi porta a pensare di mollare tutto, dare il caso a qualcun'altra.
Ho difficoltà a gestirlo.
Stringo la birra fredda tra le mani, picchietto le unghie sul vetro, aspettando una risposta che tentenna ad arrivare.
«Prima di tutto, voglio capire.» Si scrocchia il collo e stringe le spalle tese. «Cosa vuoi, Nay?» Lo domanda come se avesse capito di avere davanti una bugiarda. «Accetti di uscire con me, ma non riesci a togliere gli occhi di dosso dal mio amico.» afferma, sicuro di ciò che sta dicendo. «Ieri sera, sembrava volessi ucciderlo. Questa mattina vi stavate spogliando con lo sguardo. Stasera...» Si ferma un secondo per ingoiare il groppo che ha in gola, «entrambe le cose.»
Prendo un grosso respiro, devo riprendere il controllo di me stessa.
Quella di sempre, quella che sa fingere, quella dannatissima Naira che sembra avermi lasciata in balia di sensazioni che non riesco a comprendere.
«Ci eravamo già presentati, Jake.» Decido di raccontare una mezza verità. «L'ho conosciuto la sera prima di mettere piede nel tuo ufficio. I nostri amici volevano passare la serata insieme. Hanno organizzato un doppio appuntamento alle nostre spalle.» Poggio la bottiglia di birra alle labbra per rubarne un sorso e aiutarmi a continuare. «Non so se abbia finto di non riconoscermi o meno, ma stavo tenendo dentro questa cosa e mi sentivo in colpa nei tuoi confronti.» dico, cercando di sembrare dispiaciuta.
Jake prende la sua birra, batte la bottiglia contro la mia e ne tracanna un grosso sorso.
«Questo non va affatto bene.» Non usa delicatezza nel poggiare il vetro sul tavolo in legno.
L'impatto fa uscire fuori il liquido dal collo del recipiente, come se fosse un vulcano in eruzione, mentre Jake fa scivolare la sedia all'indietro per rialzarsi. Si avvicina con l'aria di uno che sta per esplodere, insieme alla birra che cola sulla superfice levigata del ripiano.
«Ora, rispondi alla mia domanda.» Occhi negli occhi e il cuore fa uno strano capriccio. «Ti ha scopata?»
Chi è Jake Mill?
L'uomo gentile che ha dimostrato di essere fino a due minuti fa o questo arrogante che sembra pretendere delle risposte di cui non dovrebbe fregargli un cazzo?
«No.» rispondo, senza distogliere lo sguardo.
«Vorresti che lo facesse?»
Oh, certo che vorrei. Vorrei che al tuo posto ci fosse lui a scaraventarmi su questo stesso tavolo. Vorrei tornare a qualche sera fa, per sentire di nuovo le sue mani sul mio seno nudo, fino allo stremo. Fino a quando non saremo stanchi e le luci dei lampioni lasceranno spazio all'alba. E poi ancora, di nuovo, per tutto il giorno, in un tempo che possa avere il sapore astratto dell'infinito.
«No.» Mi limito a rispondere.
«Bene così.» Rilassa le spalle.
Sembra tornare a respirare dopo aver trattenuto l'aria nei polmoni, fino al limite. Sposta le mani che teneva con le braccia rigide sul legno e si avvicina per stringerle attorno ai miei fianchi.
Mi strattona, unisce il mio corpo al suo. Gioca con una ciocca di capelli che mi sfiora la guancia, l'arriccia con un dito.
«Se devo condividere qualcosa di mio, voglio che resti nel mezzo.» sussurra.
I pensieri precipitano. L'immagine di due corpi nudi su di me, mi soffia sulla pelle e avvampo. Mordo il labbro inferiore, mentre scivola con la mano sul sedere, stringendomi più forte sul bacino.
«Tutto bene qui?»
Omar rompe un silenzio fatto di sguardi che incendiano l'aria, desiderosi di appropriarsi di tutto con poco rispetto.
Annuisco, senza la forza di perdere quel contatto che mi sta scaldando.
«Accompagnami alla macchina, ora.» ordina Jake.
Obbedisco. Ho perso le parole. Non posso abbandonare l'idea di Evan e Jake che mi portano al collasso tra le lenzuola.
In macchina, continua il gioco del silenzio. Accende una sigaretta, offrendomi un tiro, mentre con le mani assesto la presa sul volante. Sento la tensione salire, quando poggia le dita sulla mia coscia e risale, lento, fino a sotto la gonna. Non lo sposto, ho voglia di sentire le dita accarezzarmi, premere sulla fessura umida e intorpidirmi, ma lui non lo fa. Si ferma prima che io possa spegnere il motore, una volta arrivati.
Le luci del Royal sono soffuse, le porte chiuse. Avrei potuto cedere, senza pensare al contratto.
Senza pensare a Evan.
Jake scende dalla macchina, infila le mani in tasca.
«A domani, Nay.» dice, mentre attraversa la strada.
Fa cenno alla direttrice di sala, ancora all'interno del ristorante, di passargli il mazzo di chiavi, mostrando il palmo come se ne avesse uno che tintinna tra le dita.
La donna esce e lo consegna, insieme a un amabile sorriso. Vanno via dallo stesso lato, diretti al parcheggio. E io aspetto.
Aspetto la conferma che lui sia un completo stronzo. Aspetto di vederlo passare con la ragazza sul lato passeggero, ma non lo fa.
Sono in due macchine diverse e non seguono la stessa strada, almeno credo.
Mi lascio scivolare sul sedile, chiudo gli occhi, sperando che che il soffio di vento che mi accarezza il viso porti via con sé i pensieri sporchi che affollano la mia mente.
Evan, Jake con me... nel mezzo.
Ammetto che l'idea mi stuzzica e non poco, ma non sono più quel genere di persona. Non ho più voglia di sentirmi lurida.
«Si chiama Sylvie.» La voce di Evan mi sorprende.
Non mi ero accorta che fosse sulla moto a qualche metro di distanza. Lo vedo addentare qualcosa. Scendo dalla macchina e richiudo lo sportello, ma aspetto con il sedere attaccato alla portiera e le braccia incrociate.
«Chi? La direttrice?»
Non me ne frega un cazzo di quella donna, non m'importa di Jake.
Lo vorrei urlare, ma mantengo un'aria disinvolta.
«No, la modella con la quale ho cenato.» risponde, avvicinandosi, mentre affonda un altro morso.
«Vedo che hai ancora appetito.»
Muoio di fame anche io. Vorrei solo accorciare la distanza che mi separa da quella roba che pare gustare in estasi.
«Preferisco il cibo di strada a quelle mini porzioni di risotto che ti rifilano nei ristoranti di questo tipo.» Mi sta facendo venire l'acquolina in bocca.
«Che ci fai ancora qui, Evan?» dico stufa.
«Ti stavo aspettando.»
«Cos'abbiamo da dirci io e te?» domando retorica. «Lo vedi che siamo fatti della stessa pasta?»
«Niente, hai ragione, ma volevo darti una cosa.»
Torna indietro, incarta quella roba che stava mangiando – al buio non riesco a capire di cosa si tratti –, la poggia sul muretto accanto la moto e apre il baule. Prende qualcosa avvolto nella stessa carta e si avvicina per porgermela.
Afferro quel piccolo fagotto ancora caldo e scarto la stagnola che lo ricopre. Il profumo che viene fuori è paradisiaco.
«Sei rimasto qui, perché volevi darmi un Kebab?» domando stranita.
«Sono rimasto qui, perché hai portato Jake a mangiare un Kebab.» afferma in risposta. «Sono rimasto qui, perché lui odia il Kebab.» continua. «Sono rimasto qui, perché sapevo che saresti morta di fame.» Mi sorprende. «Sono rimasto qui, perché è questo il miglior Kebab di New York.» allora stavi ascoltando tutto. «Sono rimasto qui, perché...» si ferma per un secondo, stringendo le mie guance tra le mani «... è con me che lo avresti dovuto mangiare ed è tra le tue labbra che avevo voglia di affondare.»
Ed io tra le tue, Evan, ma non posso permetterlo e non lo ammetterò mai.
Perché quando il cuore lo spegni hai il terrore di provare un sentimento che possa ridurti in brandelli. Perché pensi di non poter sopportare, ancora una volta, quel dolore. Perché, quell'unico momento in cui il tuo cuore lo hai aperto, è stato calpestato, così tanto da essere rimasto solo qualche piccolo frammento e hai voglia di proteggerlo con tutte le forze... per sempre.
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