"Un lanciafiamme come regalo di Natale" di @ester_fox_

La seconda notte che passarono nella piccola baita che avevano affittato in montagna, quella a cavallo tra il 25 e il 26 di dicembre, Marco ebbe un incubo. Si svegliò nel bel mezzo della notte, ansimante e ricoperto di sudore nonostante il freddo gelido che lo circondava. A piedi scalzi, scese dal letto, avendo cura di non svegliare sua moglie, che dormiva beatamente accanto a lui, avvolta in due strati di coperte. Un brivido gli scese lungo la schiena, quando alzò un poco la tendina che copriva la finestra e vide il paesaggio innevato.

Incurante del freddo che saliva dalle piante dei piedi, aprì piano la porta della stanza, e cercando di fare il minor rumore possibile raggiunse la cucina, dove a tentoni cercò la bottiglia dell'acqua. Vi si attaccò, tracannando poco meno di un litro in qualche secondo. Asciugandosi le labbra, si sedette, cercando di rallentare i battiti del cuore. ​Cazzo di sogno ho fatto?​ L'incubo lo aveva privato della voglia di continuare a dormire e di mettere piede fuori di casa per almeno una settimana, così aprì lo zaino con il laptop che non avrebbe dovuto portare in vacanza e lo accese. ​Non me ne frega niente se Laura si arrabbia, questo sogno devo scriverlo, ​si disse. Sua moglie gli aveva fatto promettere che non si sarebbe portato il lavoro in vacanza e che i tre libri che stava scrivendo potevano aspettare due giorni o tre.

Si sedette nella comoda poltrona che aveva adocchiato il giorno prima, avvolgendosi in una copertina trovata lì accanto. Avviò Word e iniziò a buttare giù una bozza del sogno che lo aveva terrorizzato, scoperchiando una scatola di biscotti al burro e iniziando a mangiarne mentre scriveva, tentando di tranquillizzare il suo cuore impazzito.

"Mi sono svegliato che ero bambino, nel sogno. Ero bambino e abitavo in una piccola baita come quella che ho affittato per queste vacanze, c'era anche mia sorella gemella. Era la mattina di Natale e aveva nevicato tantissimo, al punto che la neve arrivava fino a metà delle finestre. Io e Martina, la mia gemella, eravamo così felici per la nevicata improvvisa che quasi ci stavamo dimenticando dei regali dei nostri genitori.
Avevamo dieci anni, ma già da tempo sapevamo che non era Babbo Natale a portarceli, i regali. Questo particolare mi è rimasto impresso, tra tutti gli altri del sogno.
La stanza in cui ci trovavamo aveva le pareti di legno, le stesse che mi circondano ora. L'albero strabordava di lucine e di palline colorate e dalle sue radici spuntavano pacchi di regali ben incartati. Io e mia sorella ci guardammo, divertiti. Abbracciammo i nostri genitori, prima di gettarci sui pacchetti che ci attendevano.
Qui il sogno ha iniziato a farsi più strano: oltre ai classici maglioni brutti natalizi (una renna io e la slitta di Babbo Natale mia sorella), in un pacchetto trovammo anche un lancia fiamme. Ora che sono sveglio, il particolare mi sembra molto insensato, ma al me bambino del sogno il regalo sembrò la cosa più bella del mondo.
Ricordo con estrema chiarezza la forma del lancia fiamme e come fossi riuscito a imbracciarlo senza fatica, nonostante fosse grosso quanto me. Sorrisi, guardando mia sorella. Facemmo per correre fuori dalla porta, prima di renderci conto che eravamo in pigiama e che la porta era ostruita per metà dalla neve.

Ripensandoci, questo sogno doveva spaventarmi fin dall'inizio: quando mai i miei genitori sono andati d'accordo? Quando mai ci hanno portato in montagna? La risposta ad ognuna di queste domande è: mai. D'altronde si tratta di un sogno, però, e nei sogni può succedere qualsiasi cosa. L'attimo dopo esserci resi conto che la porta è bloccata dalla neve, mi venne in mente che forse il lanciafiamme poteva servire a qualcosa, così lo imbracciai e, aperta la porta, scavai un varco nella neve per me e Martina.

Arrivammo fino al limitare del bosco, dove abbandonato il lanciafiamme nella neve ci dedicammo alla costruzione di un gigantesco pupazzo di neve. Gli costruimmo addirittura una struttura di legno per tenerlo in piedi, perchè volevamo che fosse enorme. Non so bene quanto tempo ci mettemmo, ma quando finimmo di aggiungere materiale da costruzione, era alto quanto un albero e la luna splendeva nel cielo.
Martina si arrampicò su un pino poco lontano da Jimmy, il nostro mega pupazzo, per mettergli in testa un cappello e al collo una sciarpa, sistemargli le braccia e disegnargli la bocca.

Gli disegnò un bel sorriso allegro.

Eravamo così contenti della nostra creatura che non ci rendemmo conto degli scricchiolii che emanava la struttura di legno. Un sonoro crack riportò la nostra attenzione sul pupazzo: si era mosso.

Io e Martina ci guardammo, e senza dire una parola incominciammo a correre nel bosco, addentrandoci fra le neve e gli alberi. Il lanciafiamme si fece indispensabile per aprire un sentiero in quella landa sconosciuta e ghiacciata, mentre il pupazzo ci inseguiva.
L'allegro sorriso che Martina gli aveva segnato sulla faccia si era trasformato in un ghigno spaventoso, mostrando una chiostra di denti appuntiti che schioccavano e sibilavano ad ogni metro che guadagnava.

Raggiungemmo una radura, bloccata da alberi altissimi e ricolmi di neve candida.

Un ghigno trionfante si aprì sulla bocca del pupazzo di neve, che allungò un ramo (o un braccio?) verso mia sorella, strappandole il cappottino rosa. Lei lanciò un urlo, qualcosa di inarticolato che alle mie orecchie suonò come "Marco, il lancia fiamme!". In quel momento mi ricordai di avere in mano qualcosa che avrebbe sicuramente distrutto il pupazzo e lo accesi, puntandolo verso la base. Ricominciammo a scappare, mentre io sparavo fiamme a caso verso il mostro che avevamo creato insieme. Riuscii a prenderlo alla base, ma dopo tanto correre io e Martina eravamo distrutti. Ci fermammo di nuovo in mezzo a un piccolo spiazzo fra gli alberi, ansimanti e grondanti sudore.
Il pupazzo era sparito.

Mi girai un momento, cercando di vederlo da qualche parte. «Marco! Marco aiutami!» il mostro aveva preso di nuovo mia sorella, questa volta ghermendola con gli artigli secchi e schiacciandola a terra. Da qualche parte nella sua giacca rosa la mia gemella era riuscita a tirare fuori una granata e l'agitava per incitarmi a distruggere quel coso. Aprii il lancia fiamme alla massima potenza, cercando di causare più danno possibile al mostro, che sembrava insensibile al calore che ne scioglieva il corpo.

Un inquietante scricchiolio seguì il momento in cui portava alla bocca mia sorella, disperata e urlante.
L'ultimo ricordo che ho di quel sogno sono io che mi getto contro il mostro e Martina che lancia una granata nella sua bocca. "

Marco si accasciò contro i cuscini della poltrona, masticando l'ultimo biscotto che era rimasto. Tremava di freddo e il cuore batteva all'impazzata. Un rivolo di sudore colò dalla tempia, mentre guardava fuori dalla finestra e scrutava il paesaggio innevato. Si costrinse a respirare profondamente, per scacciare la profonda inquietudine che gli trasmetteva, dopo il terribile incubo che lo aveva scosso.

Forse avevano fatto un errore, ad affittare una baita in un posto così sperduto, soprattutto per Natale. Erano passati ormai vent'anni dalla morte della sua gemella per un incidente sulla neve, il giorno di Santo Stefano, ma il ricordo lo tormentava ancora, tenendolo sveglio la notte e causandogli incubi terribili nei momenti di stress maggiore.

Eppure Laura gli era sembrata così contenta all'idea di passare le vacanze in montagna che non aveva avuto coraggio di dirle di no, asserendo che sarebbe riuscito a controllare l'immotivato terrore che aveva della neve e della montagna d'inverno. Ci era quasi riuscito, ma gli incubi non era in grado di controllarli, e quello che aveva appena vissuto ne era una prova evidente.

Allungò una mano per prendere l'ultimo biscotto, trovando la scatola vuota. Sospirò, dando uno sguardo all'orologio del computer. Quattro del mattino. In due ore aveva scritto a malapena una pagina, riuscendo in parte ad esorcizzare l'inquietudine che lo aveva colto dopo il terribile sogno che aveva fatto. Sapeva che se fosse tornato a letto non sarebbe riuscito a riaddormentarsi, così si alzò dalla comoda poltrona per prepararsi una cioccolata, in vista delle noiose ore successive.

Sua moglie dormiva ancora beata, quando si riaccomodò davanti al portatile, digitando una breve frase per concludere la cronaca di quel sogno terribile. Avrebbe incluso la storia che aveva appena abbozzato al termine del suo primo romanzo, come chicca spaventosa. Amava scrivere horror e quel sogno completava alla perfezione l'opera che doveva concludere.

"Martina morì per colpa mia, quando avevamo dieci anni appena. La sfidai a lanciarsi contro una serie di pupazzi di neve con gli sci. I pupazzi in sé non le fecero niente, ma con la neve in faccia non vide un sasso sporgente, su cui inciampò e cadde. Forse è per questo che sono costantemente tormentato da questi incubi terribili. "

Sospirò, sorseggiando piano la cioccolata, mentre chiudeva il documento per aprirne un altro, quello del suo romanzo. Appena più rilassato, gli scese una lacrima solitaria, rileggendo la frase che aveva appena digitato sullo schermo. La sua sorellina, la sua gemellina. Gli mancava così tanto...

Prese sonno in quella scomoda posizione, la stessa in cui lo trovò la moglie. Laura sospirò, vedendo Marco con il computer in grembo. Lesse alcune frasi tra quelle che lampeggiavano sullo schermo e l'irritazione che l'aveva colta in un primo momento sparí, sostituita da un'immensa dolcezza nei confronti del marito. Gli scosse una spalla per svegliarlo, e i suoi grandi occhi scuri si spalancarono tristi e colpevoli. Si scusò con la voce ridotta a un soffio, riconoscendo la sua colpa.

«Cosa ti avevo detto? Niente lavoro in vacanza. Cosa hai sognato questa volta?» Laura non riusciva a prendersela con il marito, non quando la guardava con quegli occhi così tristi. «Non stavo lavorando... scrivevo il mio ultimo incubo. Questa volta ho sognato un pupazzo di neve che cercava di mangiare Martina, è stato orribile.» La voce rotta di Marco fece breccia nel cuore di Laura, che lo abbracciò, cercando di liberarlo da quel fardello con cui il marito viveva da più di dieci anni.

Forse, s​i disse Laura, ​è il caso di far sparire quel pupazzo di neve dal giardino e quel lanciafiamme dallo sgabuzzino. ​Suo marito sarebbe morto di crepacuore vedendoli. «Oggi rimaniamo in casa, vuoi? Dico a mia madre di venire loro da noi, così non devi affrontare la neve e possibili pupazzi di neve assassini, d'accordo?» Marco annuì, stringendo Laura, mentre si asciugava le ultime lacrime.

Il piccolo pupazzo di neve che Laura aveva costruito la mattina prima stiracchiò le sottili braccia fatte di legnetti, sorridendo e picchiettando sulla finestra della cucina. Due umani sarebbero stati un ottimo condimento per la sua prima colazione.

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