Il mio piccolo Federico stava diventando un ometto. Più lo guardavo, più stentavo a credere che fosse già in grado di allacciarsi le scarpe da solo, che si abbottonasse il cappotto senza bisogno del mio aiuto, che si pettinasse ogni mattina davanti allo specchio del bagno, fra me e sua madre. A scuola era pieno di ammiratrici, che tutti i giorni gli lasciavano sul banco almeno un paio di lettere d'amore, delle quali, però, lui non sapeva mai che farsene. Tornava a casa, si sfilava diligentemente lo zaino dalle spalle -abbandonandolo nell'ingresso-, entrava in cucina e riponeva con noncuranza poesie e disegni nel centrotavola, con un'espressione neutra come di chi avesse trovato nella casella della posta nient'altro che l'ennesima bolletta; dopodiché, ancora infagottato nella lunga sciarpa di lana che gli aveva regalato il nonno, usciva in giardino dalla porta sul retro, per riempire la ciotola del vecchio Rocky.
Arianna li ha conservati tutti, quei bigliettini. Li tira fuori ogni qual volta Federico -più alto di entrambi da anni, ormai- torna a trovarci, e ride forte, sedendo sul divano del salotto insieme alla bella Celeste, che spesso nasconde il pancione sotto le braccia conserte, timida e insicura come un passero.
Spesso mi domando se Berenice dimostrerà la medesima temerarietà di suo padre, se prima di andare a dormire gli chiederà di dare un'occhiata sotto al letto o se, come lui, controllerà lei stessa. Quando scalcia, facendo sobbalzare vistosamente le spalle da ballerina della madre, non posso fare a meno di ripensare a quella sera in cui, così forte e maturo nonostante i suoi otto anni ancora freschi di panna montata e cioccolato, Federico zampettò furtivamente nella nostra camera, con quei suoi occhi da furetto ora addomesticato, e nel suo inusuale silenzio ci lanciò la sua prima richiesta di aiuto.
-Qualcosa non va?-
Arianna gli parlò con dolcezza, ma lui incassò più profondamente la testa fra le spalle e continuò a guardarci da sotto in su. Braccato dagli occhi suoi e di mia moglie, non riuscii a controllarmi, e un rapido guizzo delle sopracciglia tradì la mia incredulità. Un gomito mi si conficcò tra le costole, invisibile sotto le coperte, facendomi rinsavire. Abbassai con cautela il libro che stavo leggendo, temendo che un altro gesto avventato potesse far fuggire Federico come un animaletto selvatico, e sfilandomi gli occhiali battei qualche colpo sul materasso, invitandolo così a installarsi fra me e Arianna. Allora, mogio mogio, Federico si arrampicò sul letto. Sistemammo i cuscini contro la testiera e vi ci appoggiammo, tutti e tre, spalla a spalla, la coperta tirata fino al petto.
Nessuno dei due osava dirlo, o forse anche solo pensarlo, ma adesso so con certezza che entrambi eravamo quasi sollevati dal fatto che nostro figlio si trovasse per la prima volta in difficoltà
-Allora, ometto-, esordii, -Qual è il problema?-
Avevo cercato di essere meno invadente possibile, e nonostante questo Federico si ostinava a rimanere in silenzio, più corrucciato di prima.
-Hai fatto un incubo?-, tentò mia moglie, ma l'unica risposta che ottenne fu una smorfia di diniego.
-Si tratta di una bambina?-, indovinai, tuttavia tutto ciò che ne trassi fu un'occhiata obliqua e fiammeggiante. Alzai le mani. -Mi arrendo-
-Tesoro-, riprovò Arianna, con quel tono che solo una mamma sa adoperare, -Non c'è niente di male nel farsi aiutare una volta tanto-
Allora, cauto come un topolino che sporga la testa fuori dalla tana allo spuntare del primo sole, Federico sollevò lo sguardo su sua madre, quasi seguendo quella scia impercettibile che la voce di lei doveva aver impresso nell'aria.
-Be'?-, incalzò pacatamente Arianna.
Gli occhi illuminati da un sentimento nuovo, Federico passò brevemente in rassegna i volti di entrambi, non ancora del tutto convinto. Trascorso qualche minuto, tuttavia, parve cominciare a sciogliersi, come un cubetto di ghiaccio: rilassò le spalle, sgonfiò le guance e si lasciò scivolare lentamente più a fondo nel cuscino.
-C'è un bambino a scuola che mi prende in giro-, disse, chiaro e tondo, senza alcuna remora, -E mi fa tanta paura-
Ricordo che io e Arianna ci scambiammo un'occhiata più che eloquente.
-Conosciamo lui o i suoi genitori?-, chiese lei.
Federico scosse la testa.
-È nuovo-
-E cos'è che ti dice?-, continuò con circospezione, come stesse muovendosi su di un campo minato.
L'altro si strinse nelle spalle.
-Che sono strano-
-Meglio strani che stupidi-, mi lasciai sfuggire, al che Arianna incrociò le braccia sulle lenzuola strette attorno al petto e indurì lo sguardo. Se non fosse stato altamente improbabile, avrei giurato di udire la sua coda di cavallo sibilare come un groviglio di serpi.
-Smettila di fare il bambino e dacci una mano-, ordinò, senza staccarmi di dosso i suoi occhi di pietra.
Sereno e paziente, nostro figlio seguiva il battibecco in silenzio, muovendo la testa da una direzione all'altra, con il suo solito spirito di osservazione.
-Tranquilla-, la rassicurai, -Questo è pane per i miei denti-
Mi accinsi a mettere un braccio sulle spalle di Federico, ma questo atteggiò il volto a una freddezza tale, che rimasi congelato a metà del movimento e finii col ritrarmi poco dopo. Non gli avevamo mai neppure parlato come normalmente si fa coi bambini prima che inizino a camminare, figuriamoci se avrebbe approvato una carezza.
-D'accordo-, mi feci forza (provateci voi ad avere a che fare con un figlio come il mio!), -Che ne dici di una bella favola della buonanotte?-
Federico aggrottò la fronte. Accanto a lui, Arianna mi guardava come se fossi impazzito.
-Ma papà, nessuno di voi mi ha mai raccontato una storia prima di dormire-, argomentò, in dubbio sul da farsi.
-E abbiamo fatto molto male-, aggiunsi, fingendo di star cercando una posizione più comoda per cominciare.
-E che favola avresti in mente, sentiamo?-, indagò Arianna con aria sospettosa.
-Una tratta da una storia vera-, risposi con assoluta calma, -Dei tempi in cui andavo alle superiori-
-Cosa sono le superiori?-, scattò subito Federico, curioso e attento come solo un bambino può essere.
-Ora tu vai in terza elementare, giusto?-
-Giusto-, annuì Federico.
-Dopo le elementari andrai alle medie, e dopo le medie andrai alle superiori-, spiegai.
Federico parve pensarci un po' su.
-E allora il liceo che cos'è?-
Alzai gli occhi al cielo.
-Maledetti film americani! Non fanno altro che confondere le idee a voi bambini. Il liceo, qui dove stiamo noi, è un tipo di scuola superiore, così come lo sono il tecnico e il profess... -
-Caro-, soggiunse Arianna, piantando i suoi occhi nei miei, -Non distrarti-
Sospirai, riponendo sul comodino accanto al letto il libro che ancora tenevo in mano, e con lui gli occhiali da lettura.
-Hai perfettamente ragione. Dunque, dicevo, la storia che sto per raccontarti, Federico... -, al sentir pronunciare il suo nome, nostro figlio drizzò automaticamente la schiena, pronto e all'erta, -...risale ai tempi in cui andavo alle superiori. Al liceo classico, per l'esattezza. Era l'ultimo anno, ma non per questo io mi sentivo tanto più grande o più coraggioso di quanto non lo fossi mai stato...
...anzi, c'erano cose, allora, che mi mettevano addosso una fifa come mai ne ebbi a seguire. Una di queste era la recita scolastica. Mi ero lasciato trascinare al corso di teatro, quell'anno, con la speranza di acquisire una certa sicurezza in me stesso, dato che la sola prospettiva di dover parlare all'orale davanti a una decina di professori mi faceva attorcigliare le budella.
-Per fortuna hai preso da tua madre-, commentò Arianna chinandosi su Federico.
Ero maggiorenne già da un pezzo, studiavo per la maturità e la patente ed ero tra i più bravi della classe, ma bastava che il fornaio all'angolo della strada mi rivolgesse la parola perché diventassi rosso come un qualunque Super Santos, perciò figuriamoci esibirmi davanti a una platea. Anche se, a dirla tutta, non me la cavavo neanche tanto male nella recitazione, e il teatro della scuola era così piccolo che potevano starci a malapena cento persone (il che era comunque come venire ascoltati da quattro classi con una media di venticinque studenti ciascuna: mica poco).
-Nadia, Ettore, non vi incartate, altrimenti il pubblico non può vedervi!-
-Ma prof, il palco è minuscolo, non è colpa nostra-
-Per Castore, voi siete della sezione scientifica, dovreste saper fare una semplice proporzione!-
Quel giorno Molinari era più agitato del solito. Se si fosse visto dall'esterno, si sarebbe detto che aveva un "livello di energia eccessivamente alto". Mancava solo una settimana alla messa in scena dello spettacolo, e un perfezionista come lui dava di matto all'approssimarsi di ogni singola scadenza. Insegnante di latino e greco e referente delle attività extracurriculari, tutti lo ricordavano come quello che una volta ebbe uno svenimento per essersi reso conto che non sarebbe riuscito a completare il programma di una delle sue classi quinte.
-Avanti, sgomberate il palco, prossima scena! Dove sono quei tre sciamannati? E il mio Ercole?-, prese a sbraitare all'improvviso, sventolando in aria il copione, -Edepol, vos di perdant!(1)-
-Virgilio!-
Arianna si affrettò a tappare le orecchie di Federico, che ovviamente aveva già registrato tutto in quella sua testolina che era come una spugna.
-Che vuol dire, pa'?-
-Oh, nulla. Sappi solo che non è una cosa carina da dire-
-Sono qui! Ci... sono... quaaasiii-
Uscii da dietro le quinte saltellando su un piede solo, nel tentativo di allacciare i coturni in maniera tale da non correre il rischio di rovinare faccia a terra nel bel mezzo delle prove.
Che fossi bravino l'avevo capito, ma non mi sarei mai aspettato di ricevere il ruolo di protagonista.
-Deo gratias!- , fu la reazione di Molinari quando mi vide comparire sul palco. -E vedi di non perdere la calma, stavolta-
Deglutii e attaccai con la prima battuta.
Quell'anno il professor Molinari aveva scritto di suo pugno un adattamento teatrale delle dodici fatiche di Ercole, che era stato approvato a pieni voti dall'intero collegio docenti e elogiato dalla preside stessa: non a caso, dunque, ci teneva che tutto fosse perfetto. L'idea era piaciuta molto anche a noi del corso, nonostante sapessimo benissimo a quale ira funesta saremmo andati incontro. Personalmente, non provavo tutto questo gran timore nei confronti di Molinari, dal momento che era uno dei miei insegnanti preferiti e che nelle sue materie avevo risultati più che buoni. Inoltre, recitare -come avevo scoperto durante l'arco dei due quadrimestri- non mi recava alcun problema: finché si trattava di mettere in scena il copione, di fingere per divertire se stessi e gli altri, ogni cosa era al suo posto. C'era solo un piccolo inconveniente...
-E adesso manchi solo tu, o mostro nefando, che di posseder tre teste hai sì gran vanto. L'illustre Ade, tuo padrone, m'ha concesso di prenderti per la gola, ed Euristeo re, di vederti, non vede già l'ora-
Con la coda dell'occhio, scorsi il professor Molinari mangiarsi le unghie ai piedi del palcoscenico.
-Dov'è il mio mostro nefando?-, borbottava in preda all'ansia.
Io, dal canto mio, non avevo nessuna fretta di affrontarlo. I tre ragazzi che inizialmente dovevano indossare il costume tricefalo di Cerbero erano passati alle fasi nazionali di un concorso di nessuno sapeva cosa, perciò il professore aveva dovuto -almeno momentaneamente- sostituirli.
Nell'esatto momento in cui Molinari iniziava a manifestare i primi segni di un esaurimento nervoso, avvertii le assi sotto ai piedi tremare e sussultare, come calpestate da una creatura gigantesca. Ormai sapevo che cosa mi aspettava. Si ripeteva identico da giorni: nessuno abbassava mai le tende durante le prove, ma la luce, che fino a pochi secondi prima inondava il palco dalle alte finestre centinate, calò improvvisamente d'intensità, quasi che qualcuno avesse appena spento il sole; da dietro il sipario, salendo i gradini con dei gran tonfi, emergeva piano un'ombra alta e squadrata, che piedi non aveva, ma enormi zampe pelose e munite di artigli aguzzi come coltelli. Cominciai a indietreggiare, terrorizzato e inerme, mentre la creatura avanzava, grossa quanto una montagna. Nell'oscurità estemporanea del palco, si accesero sei fuochi circolari; fluttuavano a mezz'aria, poco più piccoli di una mano adulta, e ogni tanto scattavano in su o in giù, avanti o indietro. E poi tre voci parlarono tutte insieme, ruvide, profonde. Infernali.
-Hai proprio una bella favella, piccoletto, tuttavia non ci incanti-
I due fuochi centrali erano ora all'altezza dei miei occhi, e illuminavano zanne lunghe e spesse come speroni di roccia, di un giallo sporco e malato.
-I-io s-sono Ercole, f-figlio di Zeus-
Lanciai un'occhiata disperata alla base del palco, ma ogni cosa sembrava essere stata inghiottita da quel buio senza fonte, e del professor Molinari non c'era traccia. -Sappiamo chi sei, sciocco semidio!-, sputò la bocca sotto ai fuochi di sinistra, con il tono di chi provenga dalle viscere della terra.
-E s-sapete anche, o t-teste im-monde, qual è l-la f-fine c-che vi attende?-
-A-avere l-la p-pancia p-piena delle t-tue ossa?-
Tutte e tre le teste scoppiarono a ridere, emettendo quelli che si avvicinavano più a latrati agghiaccianti che a versi di giubilo. Spalancavano le fauci e si scagliavano -prima singolarmente, poi tutte insieme- contro il mio petto, i miei piedi, il mio volto, impregnando il costume del loro alito rivoltante.
Mi ritrovai paralizzato dalla paura, incapace di riflettere, di agire, anche solo di emettere un suono. Stavo per accasciarmi a terra, esausto, quando, con l'ultimo barlume di lucidità rimastomi, udii qualcuno gridare, come attraverso un'immensa bolla di sapone: -Questo non fa parte del copione!-
Dopodiché, un'altra ombra balzò sul palco, frapponendosi tra me e il mostro.
-La veggente, vedendo ormai i suoi tre colli diventare irti di serpenti gli getta una focaccia soporosa con miele ed erbe affatturate!(2)-
E, con mia immane incredulità, vidi la creatura ritirarsi in fretta e furia sotto i colpi di quelli che sembravano essere pezzi di panino al formaggio.
Una volta che fu scomparsa completamente dietro le quinte, come se qualcuno avesse premuto un interruttore magico, il sole tornò a inondare il palco e la platea. Le ginocchia molli e il fiato corto, osservai impotente Molinari sfilare fra le poltroncine in direzione dell'uscita, farfugliando tra sé e sé qualcosa che somigliava terribilmente a "Es kórakas(3)".
-Non puoi farti venire un attacco di panico ogni volta che arriviamo alla dodicesima fatica-
Tornai a voltarmi, riconoscendo così la mia salvatrice.
-Chi era?-, domandò fulmineo Federico.
-Già, tesoro, chi era?-, insisté Arianna, serrando ancor di più le braccia al petto.
-Davvero non te lo ricordi?-, chiesi a mia moglie, sorpreso, ma lei ricambiò il mio sguardo meravigliato con uno di ben altra natura.
-Era tua zia Lucia-, risposi, chinando il capo verso Federico, -Era la mia migliore amica. È stata lei a presentarmi la tua mamma, e sempre lei mi aveva convinto a partecipare al corso di teatro-
Mi assicurai che non ci fosse l'ombra di un dubbio sul volto di mia moglie, poi continuai...
-Non si sa ancora quando quei tre torneranno da Roma, vero?-, domandai affranto, sfilandomi la corazza di latta.
-Purtroppo no-, soggiunse qualcuno alle spalle di Lucia, mentre questa mi aiutava a districare i nodi che avevo elaborato per tenere fermi i coturni; si trattava di un ragazzone biondo, dal torace largo, polpacci spessi come prosciutti e alto quasi il doppio di Lucia, che invece era magra, piccola e bruna.
-Ma posso occuparmi io del cagnolone attuale, se vuoi-
-Non scherziamo, Massimo...
-Ma è lo zio Max!-
-Shhh, sta' buono e ascolta-
...non faresti del male a una mosca-
Le parole della ragazza lo riportarono gradualmente alla realtà e cessò di battersi il pugno sulla mano sinistra.
-Però se picchiassi me dovrebbero trovarsi un altro Ercole, il che non mi dispiacerebbe-, suggerii, abbandonandomi a sedere sul bordo del palco.
Lucia si chinò accanto a me, lo sguardo carico di apprensione.
-Molinari non troverebbe nessuno più bravo di te, per questo continua a farci provare-
-Ha ragione-, la supportò Massimo, sedendosi anche lui, -Quella corazza è troppo piccola per me, quindi rimani solo tu-
Lucia tentò di dargli uno spintone, ma ovviamente il ragazzo non si smosse di un millimetro.
-Farò una figuraccia di quelle colossali-, esalai, massaggiandomi le tempie che minacciavano di esplodere, -Sono un codardo!-
-Sono solo dei bulletti da quattro soldi che si divertono a prendersela con chiunque capiti loro a tiro-, cercò di rincuorarmi Massimo, battendomi una delle sue grosse mani sulla schiena.
-Occhio, Maxi, o rischi di fargli sputare un polmone-, sentii Lucia bisbigliargli all'orecchio, -Comunque sono perfettamente d'accordo. Non hai motivo di temerli, non sono affatto come tu li vedi-
-E invece non so cosa vediate voi, ma quando sono io a guardarli, quelli sono esattamente come li vedo-, sbottai, brusco. -E fanno paura. Eccome se fanno paura- Mi alzai, rilasciando tutto il fiato in un sospiro lungo e pesante.
-A volte vorrei essere davvero come Ercole-
Diedi loro le spalle e mi incamminai verso i camerini, rigirandomi la finta corazza fra le mani. Per questo non colsi quell'occhiata d'intesa che i due si scambiarono mentre me ne andavo, e della quale mi avrebbero raccontato solo tempo dopo.
Quando giunse la tanto paventata sera della prima, non c'era una sola virgola in tutto il copione di cui non conoscessi l'ubicazione, né intonazione che non fossi in grado di modulare, eppure quella dodicesima fatica continuava a essere la mia spada di Damocle.
-Ecco il nostro futuro Gassman! Allora, come va?-
Non appena uscii dal camerino, fui assaltato da Lucia e Massimo, che Molinari aveva assoldato per la regia.
-Di me...-
-Virgilio, santo cielo!-
-Volevo solo essere fedele all'originale!-
-Di male in peggio-, risposi, passandomi una mano sullo stomaco, che sembrava sul punto di rivoltarsi tutto come un calzino.
Lucia e Massimo sorrisero raggianti.
-Splendido!-, esclamarono in coro.
Di fronte al mio sguardo interrogativo Massimo si fece avanti e, calandomi le mani sulle spalle come dua mannaie, disse:
-Quando hai un problema, il modo migliore per risolverlo è prenderlo per la gola- Sollevai un sopracciglio. Non saprei dire chi dei due avesse l'aria più stralunata.
-Sì, okay, è più o meno quel che dice il copione, ma sai benissimo che non ci riuscirò- -Ehi, ehi-, sopraggiunse Lucia, scansando il ragazzo con un colpo d'anca, -Sai che ho portato mia sorella?-
-La mamma!-
-COSA HAI FATTO?-
-L'ho invitata, ovviamente-, dichiarò Lucia con serenità, -E lei ha accettato. Non si sarebbe persa per nulla al mondo le gesta del suo eroe preferito-
Mi strizzò l'occhio.
-Tu ricordati soltanto di fare ciò che ha detto Massimo e andrà tutto a meraviglia-
-Ma io... -
-Buona fortuna!-
Non feci in tempo a spiccicare una sola parola su quanto me la stessi facendo sotto, che quelli erano già sul palco intenti a richiamare l'attenzione del pubblico.
-Mai dire buona fortuna a un attore... -, bofonchiai tra me e me.
Mi stupisco ancora della naturalezza con cui mi riuscisse di stare sotto ai riflettori nonostante il mio carattere, e anche come neppure un briciolo di quella sicurezza si traslasse nella vita di tutti i giorni. Quei primi cinquanta furono probabilmente i minuti migliori della mia intera esistenza scolastica. Poi, però, arrivò Cerbero.
Stavolta, le tenebre non calarono dense e compatte come durante le prove: c'era un faretto, sul soffitto, che puntava dritto dov'ero io. Sotto la luce, il calore e la paura, cominciai a sudare. E quando le teste del mostro fecero la loro comparsa come dal nulla, ero ormai più liquido che solido, un manichino di gelatina.
-Ivi è giunta la prole di Zeus, ordunque-, tuonò la bocca di mezzo. La bava colava copiosa dalla lingua rossa alle assi del palco, rilucendo paurosamente come un verme vivo sotto il faro.
-Non parli, piccoletto?-, proruppe la testa di sinistra.
-Il cane deve avergli mangiato la lingua-, incalzò quella di destra.
Nel frattempo avanzavano, i colli protesi, i muscoli gonfi e pulsanti, gli unghioni di acciaio forgiato, la risata cavernosa.
Qualcosa dentro di me continuava a ostacolarmi, a impedire ogni mia reazione, a tranciarmi il respiro; qualcos'altro, invece, pareva stare agendo di soppiatto, furtivo, ma non per questo meno potente: la mano destra mi tremava e non sapevo spiegarmi il perché.
Poi, d'un tratto, mentre la bestia si faceva sempre più vicina, un piede atterrò nel cerchio di luce disegnato dal faretto. Calzava qualcosa di molto più simile a una pantofola che a una scarpa, ricoperta di finto pelo nero. D'istinto, la mano che fremeva scattò in avanti e strinse.
-Io sono Ercole, figlio di Zeus-
La voce mi uscì sottile e incerta, ma uscì.
Sopra la mia testa udii uno schiocco secco, a metà fra una serratura e un ingranaggio arrugginito.
-Sappiamo chi sei, sciocco semidio!-, gracchiò la testa di mezzo, il collo cinto dalle mie dita
Continuai.
-E sapete anche, o teste immonde, qual è la fine che vi attende?-
Nessuna delle teste replicò. Cerbero taceva. Sotto la mano, percepii il collo del mostro scivolare pian piano verso l'alto, come trascinato da qualcosa. Assecondai il movimento e un altro schiocco scaturì da un punto imprecisato al di sopra del palco.
-Senza colpo ferire vi terrò in mio potere, e porterò immantinente al re di Tirinto e Micene-
Ora gli occhi di brace della bestia erano quasi perpendicolari ai miei; tenevo il braccio ritto sopra la testa, mentre i miei talloni si sollevavano da terra insieme ai piedi-zampe della creatura.
Le tre teste si scontravano guaendo in cima al grosso corpo galleggiante nell'aria, che sembravo reggere con le mie sole forze.
-Ma prima... -, tuonò una voce femminile da qualche parte dietro le quinte, -...un giro della morte per il guardiano del Regno dei Morti!-
Cerbero sfuggì alla mia presa, saettando verso il soffitto, dal quale ricadde, un attimo dopo, appeso per tutte e quattro le zampe, le teste penzolanti sul palco. Accanto a me, il sipario si spalancò, mentre tutti i fari e i riflettori esplodevano contemporaneamente di luce, rivelando al pubblico -a metà fra il divertito e l'interdetto- le figure di Massimo e Lucia. Avevano le mani strette attorno a un paio di lunghissimi cavi neri, che salivano verso il soffitto del teatro fino a una piccola carrucola metallica. Da lì dondolava il mostro, avvolto in un groviglio di cavi e funi, come un grosso pezzo di carne allo spiedo.
Li guardai, confuso e felice. Subito dopo, qualcosa cadde con un tonfo in mezzo al palco: erano le tre teste di Cerbero, flosce e inanimate, gli occhi vitrei, i denti di plastica. Sopra di noi, tre ragazzi dalle espressioni altrettanto vuote sbucavano dal petto del mostro, come da lui rigurgitati.
-Aspetta un momento-, saltò su Federico, -Non si trattava di un mostro vero?-
-Certo che no-, confermai, gustandomi la sua reazione.
-Vuoi dire che, anche se eri molto più grande di me, anche seri già al liceo, avevi paura di tre ragazzi in costume?-
Annuii solennemente sotto il suo sguardo sconcertato.
-Fede-, lo chiamò Arianna, costringendolo a voltarsi verso di lei, -Penso che con questa storia tuo padre abbia cercato di dirti che non si è mai troppo grandi né troppo intelligenti per avere paura-
-E che, da soli, qualunque cosa fa molto più paura che se affrontata insieme-, aggiunsi.
-Perciò... -, riprese mia moglie, guardandomi come a chiedermi conferma di ciò che stava per dire, -...non devi avere timore di chiedere aiuto-
Annuii di nuovo, soddisfatto
-Persino gli eroi non facevano tutto da soli, c'era sempre qualcuno ad aiutarli: un dio, un oracolo, un vecchio saggio... -
-...la mamma-, rammentò Arianna.
-Achille era un vero piagnone-, sussurrai all'orecchio di Federico.
-Quindi cosa dovrei fare?-, mormorò quest'ultimo, stropicciando nervosamente il lenzuolo. Non era un mistero quanto già poco sopportasse che le cose intorno a lui fossero fuori dal suo controllo.
-Circondarti dei tuoi amici, per esempio-, propose Arianna.
-O trovare una bambina il cui amore vegli su di te-, soggiunsi, suscitando un sorriso da parte di mia moglie.
-Be'-, cominciò Federico, esitante, -Nella mia classe ci sarebbe questa... -
...ragazza si alzò in piedi, nel mezzo del pubblico attonito, srotolando uno striscione che aveva tenuto stretto fra le mani per tutta la durata dello spettacolo (il quale era appena terminato in quella maniera così assurda).
Lo tenne ben alto sopra la testa, in modo che tutti, dal palco, potessero leggervi:
"Da Omero e da Virgilio ho imparato che
non c'è mostro
che sotto la maschera
non vesta le vesti
di un uomo."
E Virgilio non poté che pensare che, per ritrovare la strada, la sua Arianna avesse avuto un'idea molto migliore di quella che l'aveva preceduta.
(1) "Per Polluce, che gli dèi vi maledicano"
(2)Passo dell'Eneide di Virgilio (tradotto in italiano)
(3) "Andatevene ai corvi"
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