Seconda prova- Un'imperatrice postmoderna

Gruppo Albero della vita @recensor
Vienna, 1860

"Contessa Esterházy, faccia preparare i miei bagagli, e ordini che venga approntata una carrozza per cortesia."
Il tono secco dell'imperatrice, venato da un'insolita autoritarietá, allarmò la dama di corte, la quale però si astenne con saggezza dal fare commenti.
"Come desidera, Vostra Maestà" disse invece, e, senza aggiungere altro, si congedò con un inchino.
Elisabetta, rimasta sola, si volse verso la finestra, contemplando con malinconia i maestosi giardini che si estendevano di fronte alla residenza imperiale, gli stessi in cui lei aveva cavalcato innumerevoli volte. Andare a cavallo, immergersi nella natura, sentire il vento che le soffiava impetuoso tra i capelli, fosse anche per poche ore, rappresentava per lei l'unica distrazione valida dall'ambiente soffocante della corte di Vienna.
Erano momenti di libertà rari, preziosi, rubati.
Di solito, gliene erano sufficienti una manciata per racimolare il coraggio necessario ad adempiere ai suoi obblighi di rappresentanza, ma non quella volta. Quella volta i suoi nervi erano stati scossi troppo violentemente per riprendersi con una semplice cavalcata.
Aveva stoicamente ignorato le malelingue dell'aristocrazia, aveva rispettato il rigido protocollo viennese, aveva persino tollerato le continue ingerenze di sua suocera nella sua vita coniugale. Che Francesco Giuseppe la tradisse, quello però, non poteva proprio accettarlo.

Era perfettamente conscia del fatto che scappatelle di quel tipo non erano inconsuete tra i nobili, e sapeva anche che le mogli per abitudine non se rammaricavano troppo, ma lei non era affatto come le altre. I titoli, il denaro, il lusso... Tutte quei vantaggi che erano enumerati come una sorta di risarcimento morale per le nobildonne tradite, per lei non valevano nulla. L'unica cosa che le stesse davvero a cuore, nonché l'unico legame con Vienna, era l'amore - o presunto tale - del marito.
Reciso anche quel filo, non valeva la pena rimanere nella capitale, né tantomeno nel paese.
Aveva disperato bisogno di aria nuova, fresca, incontaminata, l'aria dell'unico posto in cui Sissi si sentisse davvero a casa: Possenhofen.

Una volta che si fu accomodata sul treno diretto a Monaco, peraltro non ancora inaugurato ufficialmente, la sovrana si sentì immediatamente meglio. Il solo pensiero di rivedere le montagne della sua amata Baviera le riempiva il cuore di gioia, offuscando per qualche momento la sua tristezza. Non le importava affatto che la sua improvvisa partenza potesse destare scandalo, né tantomeno si curava della possibile reazione del marito. Che restasse pure tutto solo a rimurginare nel suo ufficio, se lo meritava, pensava tra sé e sé. Semmai, le dispiaceva di più per i suoi bambini, che era stata costretta a lasciare a Hofburg con la nonna, la severa arciduchessa Sofia. Avrebbe voluto portarli con sé, ma si rendeva conto che sarebbe stato un affronto troppo grave, persino per lei.
"Vostra Maestà sembra pensierosa" osservò in tono cauto la contessa Esterházy, sedutale di fronte.
"Lo sono" confermò Elisabetta con un sospiro. "I miei figli mi-"
Un fischio acuto e prolungato, simile a quello prodotto da una vaporiera, si levò all'improvviso, interrompendo l'imperatrice. Le due donne si affrettarono a coprirsi le orecchie ma, prima che avessero il tempo di domandarsi che cosa fosse successo, il treno frenò di colpo, in maniera tanto brusca che furono sbalzate a terra.
La locomotiva avanzò poi ancora per diverse centinaia di metri, malferma e ondeggiante come un bambino ai primi passi. La dama di corte, ancora frastornata dalla caduta, tentò di rialzarsi, ma la forte oscillazione del vagone glielo impedì, rispedendola sul pavimento.
Elisabetta, più energica, si aggrappò invece alla toeletta e riuscì a rimettersi in piedi, aiutando poi la contessa a fare lo stesso. "Sembra di essere in mezzo ad una burrasca!" commentò quella con gli occhi strabuzzati.
La sovrana, pur vicina, la sentì a malapena, perché il rumore dei mobili sballottati di qua e di là, accompagnato da quel sibilo persistente, sovrastava tutto il resto.
Quando quella rocambolesca corsa finì, seguì un innaturale silenzio, rotto solo dal cigolio della porta che le separava dal resto del treno. Le due dame si guardano intorno, e constatarono sgomente il disordine che regnava là dentro; arredi rovesciati, carte sparse a terra, quadri penzolanti... Più che un vagone di un treno, sembrava una stanza messa a soqquadro da ladri inesperti.
"Mio buon Dio!" esclamò la contessa. "È terribile! Ma che è successo? E Vostra Maestà sta bene"?
Le parole scivolarono via dalla sua bocca con frenetica agitazione, per non dire con isteria.
"Sì, sto bene" rispose seccata la sovrana spazzolandosi il vestito. "Piuttosto, usciamo di qui e cerchiamo di capire che cosa è accaduto."
In altre circostanze, i nervi le avrebbero ceduto, ma l'agitazione della sua dama, che continuava a percorrere la stanza in lungo e in largo, cacciando di tanto in tanto un gridolino, le aveva curiosamente suscitato un sano divertimento, che fu suo malgrado costretta a reprimere.
"Contessa" la richiamò Sissi, impaziente "dobbiamo andare."
La donna, sentendosi reguardita, recuperò il controllo, e seguì la sua imperatrice al di fuori del treno.

Nessuna delle due era preparata allo scenario che si presentò loro davanti. E come avrebbero potuto del resto? Non erano sui binari, né in una stazione ferroviaria.
Erano infatti nel bel mezzo di un lungo ed ampio viale, circondato da ambo i lati da file ordinate di alberi. Oltre a questi, sulla destra, sulla strada si affacciava il maestoso Burgtheather, il teatro di corte.
"Vienna!?" sussurrò Elisabetta. "Ma come...Noi eravamo..." Indicò il teatro, gli occhi sgranati per la sorpresa. "Il treno era partito..." Si girò su se stessa, cercando di raccapezzarsi.
Una, due, tre, volte.
Nulla, era un dilemma irrisolvibile; a sbigottirla non era tanto il fatto di trovarsi nella capitale, quanto piuttosto il fatto che non era uguale alla città che aveva lasciato soltanto poche ore prima.
Si trovava a Vienna, ma non era la sua Vienna.
Era strana, diversa, a partire proprio da luogo in cui si trovava, che, in teoria, non sarebbe neppure dovuto esistere, o almeno, non nella sua memoria. E poi, si domandava, cos'erano mai quegli aggeggi ferrosi con le ruote che circolavano sulle strade al posto delle carrozze?
La sua dama di corte, altrettanto sconvolta, continuava anche lei a farfugliare cose in modo sconnesso e incomprensibile. "Devo aver battuto la testa molto forte" mormorò "non può esserci altra spiegazione."
Nel frattempo, intorno a loro si era radunata una gran folla di curiosi, che, osservando le nuove venute con una buona dose di diffidenza, non si risparmiavano affatto in commenti e battutine.
L'imperatrice, sempre circondata da orde di persone esultanti ogni volta che appariva in pubblico, provò il consueto disprezzo per quella massa di gente, e cercò di tenersi in disparte il più possibile. I suoi numerosi appelli ad andarsene caddero però penosamente nel vuoto.
A venirle in soccorso contro quell'orda sempre più asfissiante, ci pensò una ragazza minuta, spuntata fuori dalle prime file a gomitate. "Sciò sciò, allontanatevi!" urlò. "Non vedete che non lasciate loro alcuno spazio?"
Con sorpresa delle due donne, l'ordine, impartito in un tedesco con un'inflessione dell'accento a loro estranea, venne eseguito senza troppe problemi. La folla infatti si disperse un po', anche se molti rimasero imperterriti ad osservare la curiosa scenetta, alcuni sbanderiando un bizzarro oggetto rettangolare.
Tutte quelle stranezze, compresi quegli abiti che Sissi giudicava alquanto scialbi, per un momento svanirono ai suoi occhi, e furono soppiantati da una sincera gratitudine per quella giovane stramba. Non appena però si accinse ad esprimerla, essa si dissolse come fumo al suono delle successive parole della ragazza: "Sono stata io a chiamarle!"
La contessa Esterházy, sopraffatta dall'ennesima bizzarria, cadde a terra e svenne.

Ci vollero diversi minuti prima che si riavesse e, anche quando successe, continuò a dimenarsi, gridando di voler uscire al più presto da quel sogno assurdo. L'uomo intervenuto in loro aiuto, esasperato, consigliò di darle una tisana e lasciarla riposare, ma naturalmente nessuno ne disponeva in quel momento.
"Io ce l'ho a casa!" saltò su la giovane, tutta sorridente "potete venire con me!"
Elisabetta le concesse allora un'occhiata più lunga, valutando se ci si potesse fidare.
Era un poco più bassa di lei, ma aveva un fisico altrettanto snello e asciutto, evidenziato da dei- orrore, pantaloni!- molto stretti. Il suo busto, anziché essere sorretto da un bustino, era ricoperto da un tessuto cangiante, che cambiava colore a seconda dei riflessi che catturava. Salendo con lo sguardo, l'attenzione era calamitata dal viso, ricoperto da uno spesso strato di trucco, e dalla sua chioma, rosa confetto come la tinta del suo rossetto.
Tutto sommato, Sissi non la ritenne né bella né soprattutto affidabile.
"Di grazia, qualcuno mi potrebbe dire dove siamo?" domandò cauta.
La ragazza sgranò gli occhi, dal colore iridescente come il suo inusuale corsetto. "Ma a Vienna, naturalmente!"
L'imperatrice attese alcuni secondi, ma l'appellativo regale che le spettava non arrivò. "Dimenticate il Vostra Maestà" precisò altezzosa, e porse la mano per farsela baciare. (Per quanto detestasse l'etichetta infatti, paradossalmente esigeva che nei suoi confronti fosse rispettata.) Con suo enorme disappunto, tutti scoppiarono a ridere.
"Non si usano più da secoli queste cose!" spiegò la giovane. "Ci siamo aggiornati!" La sua voce, nonostante fosse squillante, giunse a malapena alle orecchie di Sissi, ormai pallida come la sua dama.
"Cosa intendete dire?"
"Che non siamo più nel 1860, ma nel 2225."
A quel punto, i nervi, già ampiamente provati, le cedettero, e cadde anch'ella nell'oblio.

Vienna, 2225

Quando riaprì gli occhi, per qualche istante ad Elisabetta parve di trovarsi ancora nel suo immenso e soffice letto ad Hofburg. Quello in cui giaceva però non era né grande né comodo, e tanto bastò ad infrangere la sua illusione.
Pian piano, riaffiorarono alla sua memoria tutti i recenti avvenimenti: la sua fuga, il viaggio in treno, la brusca frenata, la folla, il 2225...
Un momento, pensò, cosa significava il 2225?
"Oh finalmente ti sei svegliata!"
Ancora quella fanciulla, ancora quella voce che le perforava in timpani. Smetteva forse mai di urlare?
"Pretendo di sapere dove siamo, e di essere riportata immediatamente a casa." Non c'era più tempo per i convenevoli, quella farsa era durata troppo a lungo.
"Non so cosa vi abbia ordinato l'imperatore, né perché abbia escogitato tutto questo, ma ditegli pure che ho recepito il messaggio e che sono disposta a tornare."
Si alzò in fretta e si diresse verso la porta, ma fu intercettata dalla ragazza, seria in volto. "No, non posso portarti a casa e no, l'imperatore non c'entra nulla in questa faccenda" disse in tono fermo. "Sono stata io a portarti qui e, se me lo concederai, ti spiegherò tutto."
Abbassò il capo, in un gesto che la sovrana dell'Austria interpretò come un segno di sottomissione. Fu lieta che finalmente qualcuno mostrasse, almeno in parte, la giusta deferenza, ma questo non scalfí la sua determinazione ad andarsene. "Desidero essere accompagnata alla mia reggia. Subito."
Senza lasciarle il tempo di replicare, la superò e si ritrovò in un'altra stanza, splendidamente illuminata da ampie finestre. Curioso, dato che la camera di prima era immersa nella penombra.
Si avvicinò alle vetrate e, non appena le toccò, si assottigliarono fino a quasi scomparire alla vista, lasciando al loro posto un desolante buio.
Sconcertata, si girò dalla parte opposta, e trovò la fanciulla  appoggiata allo stipite, con in mano quella che doveva essere una sorta di lanterna. "Questa è solo una delle tante meraviglie del ventiduesimo secolo." spiegò con un sorriso radioso. "Se vuoi, posso parlarti di molte altre."

Alla fine, Sissi si convinse a restare, almeno per un po'. Non tanto per lo stupore suscitato da tutte quelle diavolerie moderne, ma perché si rendeva conto che, in quell'ambiente a lei totalmente estraneo, non avrebbe potuto andarsene a zonzo tutta sola. Volente o nolente, aveva bisogno di una guida, e quella fanciulla, che scoprí chiamarsi Irma, era la sua unica opzione. "Innanzitutto" chiese dopo essersi accomodata su un divanetto "dov'è la mia dama di corte?"
"Oh, lei dorme nell'altra stanza, non ti preoccupare."
Di nuovo l'uso del tu, notò Elisabetta con un pizzico di fastidio.
"Bene. Sono contenta che non l'abbiate abbandonata." Per ironia del destino, era lei adesso a rispettare le formalità.
"Non potrei mai!" replicò Irma, offesa. "Vi ho chiamate io!"
L'imperatrice le riservò una delle sue migliori occhiate penetranti. "Questo l'avete ripetuto già tre volte, ma ancora non avete detto una parola sul perché della vostra..." Si fermò un attimo, cercando la parola giusta "convocazione."
La ragazza, molleggiata su una poltrona rotante di fronte al divano, si attorciglió una ciocca di capelli attorno al dito, lo sguardo puntato verso il basso. "Ecco..." esordì, a disagio, "io volevo..." Un rumore di passi attirò la sua attenzione, interrompendola. "È arrivato mio fratello!" sbraitò "È merito suo se siete arrivate qui." Quasi saltellando, raggiunse il nuovo arrivato, sbucato da una porta sulla loro sinistra. Accanto alla sorella, alto e robusto com'era, faceva una gran figura, riconobbe Sissi tra sé e sé.
"Vostra Maestà" disse ponendosi di fronte a lei "è un onore fare la vostra conoscenza."
Elisabetta, deliziata da quella prima vera manifestazione di sottomissione, gli porse la mano e lui non solo gliela baciò, ma si inchinò persino.
"Il piacere è mio, messer...?"
"Franz."
A quel nome, lei sussultò appena, ma lo celò egregiamente. "Messer Franz, sono lieta che finalmente qualcuno qui mi tratta come si conviene alla mia posizione."
La frecciatina non sfuggì ad Irma, che puntò di nuovo gli occhi a terra.
"L'ho salutata così solo per compiacerla" ammise il ragazzo con un sorriso impacciato "ma onestamente trovo anch'io questi convenevoli inutili e, perdonate la franchezza Vostra Maestà, superati."
Il briciolo di simpatia che aveva iniziato a provare svanì con la stessa rapidità con cui era comparso.
"Non oso immaginare allora come trattiate i nobili di quest'epoca, se vi rivolgete così ad un imperatrice" commentò acida.
"Il fatto è" spiegò Franz "che la nobiltà stessa in questo secolo non esiste più."
"Come?"
"Ha sentito bene, Vostra Maestà" disse. "Non se ne sente alcun bisogno in una società avanzata come la nostra."
Sissi rimase muta, lo sguardo fisso su quel giovinotto così sfrontato.
"Perdona mio fratello" intervenne Irma "a volte è decisamente inopportuno."
"No, non lo è affatto" osservò l'ormai ex sovrana dopo un momento di silenzio. "Piuttosto, vorrei capire il perché di tale rivoluzione."
Ai suoi interlocutori il tono risultò distaccato, vagamente minaccioso quasi, ma in realtà Sissi in cuor suo stava fremendo.
Non aveva mai creduto nella monarchia, neppure dopo essere diventata una monarca essa stessa, e nonostante pretendesse che le venissero tributati i giusti onori.
La riteneva un'istituzione vecchia, farraginosa, lontana tanto dagli strati più bassi della popolazione quanto dalla borghesia. Nei secoli, si era ammantata di un velo di lusso e superbia ma quelli che i suoi contemporanei vantavano come segni di una presunta superiorità, in realtà ai suoi occhi non erano dissimili dall'oro placcato spacciato per vero.
"Vostra Maest-" Elisabetta lo fermò subito con un gesto della mano. "Abbandoniamo le formalità, prego."
Franz sorrise, grato. "Lei... Voglio dire tu, mi chiedi cos'è successo. È molto semplice in realtà: dopo aver a lungo combattuto, la maggior parte - non tutti, ahimè - dei popoli ha chiesto ed ottenuto una costituzione, con la quale sono stati sanciti i diritti e i doveri non più dei sudditi, ma dei cittadini."
Una cosa analoga, Elisabetta lo ricordava dalle sue lezioni di storia, era già accaduta con la rivoluzione francese, ma la Restaurazione aveva cancellato tutte quelle rivendicazioni.
"E tra questi vi rientrano la libertà, la fraternità e l'uguaglianza?" chiese curiosa.
Il sorriso sbilenco di Franz si allargò ancora più. "E non solo!" esclamò entusiasta. "Le persone oggi, possono scegliere i loro rappresentanti, senza fastidiosi vincoli di appartenenza sociale. Chiunque, almeno potenzialmente, se se ne dimostra degno può salire al potere."
Per Sissi, favorevole ad uno Stato moderno e liberale, questa non poteva che rappresentare una bella notizia. Significava che i posteri si erano liberati dell'assurda idea del potere ricevuto per gratia Dei e si erano assunti la responsabilità della loro rappresentanza.
"Quindi mi pare di capire che lo Stato odierno sia uno stato di diritto, basato su principi democratici." riassunse pragmaticamente.
"Si, in pratica sì." confermò il ragazzo. "Sulla carta appare più bello di quanto non sia in realtà, ma almeno la Costituzione attesta che formalmente siamo tutti liberi e uguali."
La punta di scetticismo contenuta nelle sue parole non sfuggì all'imperatrice, tuttavia scelse di non badarci.
Uguaglianza! Che concetto estraneo alla sua corte, dove il il rango imperava come unica legge!
Un mondo basato su tale valore non poteva essere peggiore del suo.

Se quindi Elisabetta avrebbe voluto approfondire la questione, lo stesso non si poteva dire di Irma. "Questi discorsi sono barbosi" sentenziò infatti con uno sbuffo. "Non ho certo usato la tua app iper-nuova, iper- rivoluzionaria, iper-scientifica, per richiamare Sissi e chiederle cosa pensa della politica!"
Franz sospirò a sua volta. "Io ho semplicemente risposto alla domanda postami da Sissi-posso chiamarti Sissi, vero-?" La sovrana annuì, conciliante.
"Volevo spiegarle come funziona nel nostro futuro, quali sono i nostri ideali, i nostri principi..."
"Non ricominciare" lo ammonì la sorella con un'occhiata. "A me non interessa cosa pensi tu, né cosa pensa lei. M'interessa solo che sia bella."
Elisabetta inarcò un sopracciglio, costernata. "Mi hai strappato da casa mia, dal mio tempo, solo perché volevi vedere se ero bella come si diceva?"
Solo nel momento in cui fu posta la domanda, Irma si rese conto di quanto suonasse sciocca la sua affermazione. "S-si" balbettò infine con le guance in fiamme. "Cioè no! Sapevo che tu avevi un vero e proprio culto della tua bellezza, che eri ammirata in tutta Europa, e allora ho pensato che...che..." I presenti le tennero gli occhi inchiodati addosso, in attesa.
"Che se avessi postato qualche foto con te, avrei aumentato il numero dei miei follower" concluse in un soffio.
Seguì qualche istante di silenzio, sicuramente necessario ad assimilare il tutto.
Anche se Elisabetta aveva capito ben poco i dettagli del discorso (la maggior parte dei termini le erano estranei), il succo le era chiaro: la ragazza cercava visibilità, voleva essere seguita e adorata, e sperava di raggiungere il suo obiettivo tramite lei.
Certi bisogni umani, pensò quasi con affetto, nonostante il trascorrere dei secoli non scomparivano affatto.

Vienna, 2228

"Sofia, spostati un po' più a destra. Ecco, così. L'illuminazione è buona?"
"L'ho regolata personalmente, è perfetta, Vostra Maestà" rispose la sua ex dama di corte.
"Non c'è alcun bisogno del mio titolo qui, ricordatelo" la redarguí Sissi.
Ormai erano passati tre anni dal suo arrivo nella Vienna del futuro, e dal suo arrivo erano cambiate molte cose. Innanzitutto, aveva deciso di restare, incurante del fatto che nel passato la piangessero.
Del resto, chi dopo aver provato l'ebbrezza della libertà sarebbe tornato volentieri in gabbia?
Adattarsi ad un'esistenza borghese, peraltro in una civiltà avanzata di tre secoli, tuttavia non era stato affatto semplice, soprattutto per l'ex contessa. Se ci erano riuscite, era stato merito della loro nuova giovane amica, Irma, che le aveva aiutate soprattutto a capire come funzionava l'intricato mondo del web. (Per tutto il resto, ci aveva pensato il fratello.)
Grazie a lei, l'ex imperatrice d'Austria aveva imparato a monetizzare la caratteristica che l'aveva resa immortale: la bellezza. Sue foto campeggiavano ovunque nella capitale austriaca, dai fianchi degli autobus fino ai grandi cartelloni pubblicitari, senza contare quelle che circolavano online.
"L'hai postata allora?" chiese a Sofia, facendo riferimento all'ultima foto scattata.
"Sì certo!"
"Quanti likes ha avuto l'ultima?"
"Oltre un milione."
Elisabetta annuì, soddisfatta. La sua nuova attività d'influencer l'aveva resa un'icona di stile a livello mondiale, permettendole peraltro di farsi ammirare solo da lontano. Chi l'avrebbe mai detto che una sovrana poteva reinventarsi come web star?

Nota autrice:
Ebbene sì, sono incredibilmente riuscita a pubblicare in tempo . In tutta onestà, credo che sia venuto fuori qualcosa di un po' strano, ma almeno io mi sono divertita a scriverlo. Spero che la lettura lo sia altrettanto per voi!

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