Prima prova - Chiamami col mio nome

Gruppo WUIVRE- M4rtyPerl4

Quell'albero, alto e imponente, dai rami grossi e dalla corteccia ruvida e nodosa, è una quercia.
Quell'uccellino dal petto rubicondo che ha fatto il nido lassù, é un pettirosso. Di fianco a lui, su altri rami, svolazzano passerotti e rondini. Volgendo lo sguardo oltre, si  scorgono ammassi di ferraglia a quattro ruote, le macchine.
Non sono solo flora e fauna, né tantomeno si possono distinguere come alberi, uccelli, automobili. Ognuna di quelle cose ha un nome, che li identifica come appartenenti a una data categoria, con le sue caratteristiche e peculiarità; del resto, nonostante siano entrambe auto, non si può certo paragonare una Punto ad una Ferrari!
Tutto quindi, dal più piccolo seme che affonda le sue radici nella terra fino alla più maestosa invenzione umana, ha un nome. Se così non fosse, se non esistessero parole dal significato condiviso e condivisibile, verrebbe a meno la possibilità stessa di comunicare.
Come farebbero infatti le persone a parlarsi se lo stesso oggetto venisse qualificato ogni volta in maniera differente?
Nascerebbero incomprensioni e fraintendimenti, per l'appunto. Se poi le persone stesse coinvolte nel dialogo non avessero nome, le difficoltà diventerebbero insormontabili.

É questa la triste sorte toccata a noi giovani, essere privi di nome, essere privi d'identità.
Avere un nome significa essere parte integrante della comunità, essere cioè un cittadino consapevole del proprio ruolo istituzionale e pronto perciò a svolgere il proprio dovere per il benessere collettivo.
Noi siamo considerati totalmente impreparati ad affrontare questa sfida.
Troppo immaturi, dicono.
Il nome va meritato, ripetono.
Siamo soltanto anonimati. L'unica distinzione concessaci é, forse, quella più discriminatoria, quella di genere: siamo divisi in costesso e costessa.
Per il resto, il nome, e con esso il rispetto, va guadagnato.

La costessa di fianco a me mi dà una una pacca sul braccio, riscuotendomi dai miei pensieri.
lil, tu hai gli appunti di storia di oggi?》
La mia amica mi lancia un'occhiata costernata. 《Psst》sussurra. 《Vuoi forse farti sentire?》
Aggrotta la fronte e gira di scatto la testa, come una preda che controlla di non essere braccata.
《Stai cercando qualche adulto?》le chiedo con un sorriso. 《Rilassati, non c'è nessuno.》
Si volta fulminea verso di me:《Loro hanno orecchie ovunque, lo sai.》
Alzo le spalle, noncurante. 《Se hai tanta paura di essere scoperta, smetterò di chiamarti.》
Lei si mordicchia il labbro inferiore, puntando lo sguardo verso il basso.
Se la conosco bene, non rinuncerà al nomignolo che le avevo affibbiato. Nessuno di noi lo farebbe, anche se sapevamo che ci sarebbe costata una dura punizione. Già mi sembra di sentire mio padre:《Come puoi arrogarti di un tale diritto, figliolo? Non ne sei degno!》
Forse no, davvero non lo meritiamo, ma ne abbiamo bisogno, un bisogno disperato.
《No, va bene》mormora infatti cupa. 《Comunque non li ho qui e, anche se li avessi avuti, non avrebbe fatto differenza.》
《Perché?》
Mi rivolge uno sguardo scettico, il sopracciglio alzato. 《Vuoi forse farmi credere che li avresti studiati?》
Mi porto una mano al petto, fingendo un'espressione mortificata. 《Così mi offendi!》replico. 《Magari li avrei letti, che ne sai?》
《Oh, che sforzo!》Le sfugge una risatina. 《Come pensi di fare per superare l'esame?》prosegue piccata. lil é una buona amica, dotata di buon cuore e soprattutto armata di tanta pazienza, ma certe volte, come in questo caso, diventa davvero pedante e noiosa.  Non esiste solo la scuola al mondo, diamine!
《Me la sono sempre cavata》rispondo appoggiandomi alla staccionata.
《Si ma stavolta é diverso perché se fallisci poi...》
Lancia un'occhiata distratta verso i più alti grattacieli della città, ma so che invero i suoi occhi sono puntati altrove, verso il profilo del monte Innominato. Persino da così lontano sembra minaccioso e, in effetti, dato che quello è il luogo dell'esilio per coloro che non superano la prova, lo è. Se rimarremo anonimati, quel posto freddo e inospitale diverrà casa nostra.
Al pensiero, un brivido mi percorre la schiena, e sono certo che la mia compagna é turbata almeno quanto me.
《Non voglio pensarci adesso》asserisco. 《Piuttosto... quel costesso moro mi sembra parecchio interessato a te.》Le rivolgo un sorriso malizioso, sperando che il brusco cambio d'argomento la distragga.
Le sue guance si tingono di un bella tonalità di rosso, che smorza in parte il pallore della sua carnagione. Quando parla, la sua voce é sottile:《Ti riferisci a quello che siede di fianco a me?》
《E a chi altri sennò?》
lil alza gli occhi al cielo e comincia a farfugliare giustificazioni sul comportamento del suo amico. Una meno credibile dell'altra per la verità, ma non importa: il pericolo di essere banditi è stato dimenticato. Per ora, almeno.

Una volta rientrato a casa, il primo rumore che sento è il classico frastuono di una porta che sbatte, seguito dalle urla di mia madre, che corre su per le scale. 《Tes...》si blocca. I vezzeggiativi non sono ammessi, neppure in famiglia, perché sarebbero in ogni caso una sorta di qualificazione. Il pronome costesso invece, garantisce impersonalità.
《Apri immediatamente!》
La replica di mia sorella non tarda ad arrivare, secca e lapidaria. 《No!》
Sospirando per la rassegnazione, salgo anch'io al piano di sopra. 《Che succede?》
Mia madre si passa una mano tra i capelli, mettendo in evidenza qualche ciocca scolorita. 《Tua sorella si è messa in testa di prendere il motorino!》
《Ma non può prendere il patentino》dico io, dubbioso.
《É quello che sto cercando di farle capire, ma é testarda come un mulo!》Sbatte un piede per terra e sbuffa, indicando la porta.
《Sei cattiva!》grida di rimando mia sorella.
《E tu una bambina infantile!》
Scuoto il capo. Misericordia, che ho fatto di male per meritarmi questo?
《Mamma, lascia stare, ci parlo io.》
Tutto, pur di non sentire ancora nelle orecchie le loro voci starnazzanti.
Lei mi scocca un'occhiata stupita, ma non sembra dispiaciuta dell'idea. É stanca di discutere, glielo si legge in faccia. 《Auguri》borbotta. E se ne va.
Rimasto solo, busso delicatamente. 《Sono io, fammi entrare.》
Nessuna risposta.
《Preferisci forse litigare con papà quando torna?》
Un attimo di silenzio, poi il suono dello scocco della serratura. Bingo!
Faccio qualche passo oltre la soglia, stando ben attento a non calpestare i vestiti sparsi a terra. L'ordine non è certo la sua miglior qualità.
《Allora, cos'è 'sta storia del motorino?》
Lei rimane muta, girata verso la finestra, come se non esistessi.
nim》ritento a voce più bassa.
Si volta di scatto, sussultando, nei suoi occhi la stessa sorpresa che ho letto negli occhi della mia amica. A quanto sembra, è questa l'emozione che si prova ad essere chiamati. Vorrei sperimentarla anch'io un giorno, fosse solo per un nomignolo, ma finora né mia sorella né lil hanno ricambiato la cortesia.
Le sorrido incoraggiante, consapevole che il vezzeggiativo l'ha colpita. Funziona sempre, del resto.
Si siede sul letto, ruotata verso di me ma con le braccia incrociate e le gambe accavallate. Sospira.
《Vorrei essere autonoma col trasporto, tutto qui.》

E non solo con quello, intuisco. Ognuno di noi vorrebbe avere uno spazio per sé e solo per sé, qualcosa che lo definisca come individuo, come persona peculiare e particolare. In un certo senso, é come se volessimo tracciare dei confini tra noi e l'altro. Gli adulti, perlomeno gli Appellati, ci ripetono fino all'ossessione che essere privi di un nome é un bene, perché ci permette infinite possibilità di sviluppo che, altrimenti, con un'etichetta ci sarebbero precluse. Per loro é un mantra semplice da reiterare, ma per noi - o almeno per me - non é altrettanto facile da credere.

Mi accomodo accanto a lei. 《Lo so, ma sai anche che non è possibile, é contro la legge.》
《Sei uguale alla mamma.》
《È semplicemente la verità.》
《Forse qui è la verità》mormora sibillina.
Aggrotto le sopracciglia. 《Che intendi dire?》
Si volta nella mia direzione, un sorriso malandrino stampato in viso. 《Vuoi vedere una cosa davvero figa?》
Il tono cospiratorio non mi fa presagire nulla di buono.
《É illegale?》
Inclina appena la testa, come se fosse indecisa se rispondere o meno. 《Mmm... forse un po'》ammette pochi secondi dopo.
《nim!》La fulmino con un'occhiataccia, che lei ricambia senza esitazione. M'immobilizzo, come ogni volta che mi guarda in quel modo. I suoi occhi eterocromi mi trasmettono una vaga inquietudine, quasi come se fossero specchio di due identità diverse: una dolce e gentile e l'altra beh... propensa a trasgredire le regole.
《Sei impazzita per caso?》
Lei si stringe nelle spalle. 《Tu mi hai appena chiamata. Anche questo é illegale.》
Zero a uno palla al centro. Non male, sorellina, te lo devo riconoscere.
《Fammi vedere dai》dico sconfitto. Si alza subito in piedi e corre alla scrivania, dove comincia ad armeggiare col pc. Muove le dita sui tasti con rapidità e frenesia, mentre batte a terra il piede con insistenza. La sua fibrillazione mette in agitazione anche me, alimentando la mia curiosità.
《Quindi?》
Lei rimane muta, m'indica il monitor. Il pc é aperto su una normalissima pagina web, su cui campeggiano diverse notizie di cui si leggono solo i titoli. Probabilmente é il sito di una qualunque testata giornalistica, e di per sé non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che quei titoli sono in lingua straniera.
Guardo alternativamente mia sorella poi  la schermata, schizzando dall'una all'altro come una trottola impazzita.
《Come diavolo hai fatto ad accedere?》
Non riesce a trattenere un sorriso compiaciuto. 《Ho solo imparato a bypassare il parental control.》
Stupito é una parola inadeguata a descrivere quello che provo; non mi aspettavo che mia sorella fosse una piccola hacker.
《Credevo che fossero ben protetti.》
《È quello che vogliono farti credere.》
Lo spirito critico sembra una dote di famiglia, pare.
《Comunque》 prosegue lei 《il punto non é questo. Grazie a Google, sono riuscita a tradurre alcune pagine e ho imparato che in Italia é possibile prendere la patente per il motorino a 14 anni.》
Distoglie finalmente gli occhi dal desktop e li punta su di me, in una muta richiesta di approvazione.
Ammiro la sua capacità, per giunta insolita alla sua età, di guardare verso nuovi orizzonti, e per questo sarei tentato di darle supporto. Condivido pure il suo bisogno d'indipendenza, tuttavia non posso ignorare che è ancora una ragazzina, perciò non so quanto le farebbe bene assecondare la sua ribellione.
《 Altri paesi naturalmente hanno regole diverse, ma tu che conti di fare? Di trasferirti in Italia?》
Si mordicchia il labbro inferiore. 《No certo ma, vedi, là possono farlo perché hanno una, una, come si chiama? Ah ecco, carta d'identità, con cui s'iscrivono a scuola guida e...》
Si blocca, forse non sapendo come proseguire. È chiaro quale sia il problema: qualunque iscrizione, anche solo un banale abbonamento ai mezzi pubblici, richiede un documento identificativo. Una cosa semplice, eppure negata in nome di una presunto senso di responsabilità mancante.
《Lo so che é difficile nim》le dico accarezzandole i capelli. 《Ma fantasticare su un luogo in cui puoi andare a spasso in motorino non ti gioverà.》Si stringe nelle spalle. 《Forse, ma è un'ingiustizia, mi fa arrabbiare.》
《Anche a me, credimi.》

È fatta. Ormai i ripensamenti non sono più ammessi.
Mi volto verso il finestrino, lasciando vagare lo sguardo su dolci pendii verdi che si estendono all'orizzonte, tutti terrazzati con filari di vigna. La signora accanto a me mi ha detto che questa zona é famosa per il vino e si è prodigata in dettagli sull'ottima cucina, ma l'unica cosa che mi é rimasta davvero impressa è stato il nome della regione, un nome dal sapore rustico e arcaico: Toscana. É questo il luogo in cui sono giunto dopo innumerevoli ore di viaggio.
Il colloquio avuto con mia sorella ieri sera per me è stato illuminante, perché mi ha messo di fronte alle infinite possibilità che sempre mi sono state negate. Qui, come ho scoperto con qualche ricerca, ( grazie a nim, sono riuscito a navigare in rete in tutta tranquillità) tutti, fin dalla nascita, ricevono un nome, che viene registrato in un ufficio apposito, detto anagrafe. In questo modo, ottengono la carta d'identità, che permette loro di accedere a praticamente qualsiasi servizio, dall'abbonamento ai mezzi pubblici fino alla patente, passando per tessere della biblioteca, tessere dei negozi, prenotazioni a cinema e ristoranti...
Nessuno ha richiesto loro di essere degni, nessuno ha ritenuto opportuno sottoporli ad un esame per verificare il loro grado di responsabilità. Se la assumono e basta. 
Ho pensato allora che avrei voluto vedere un posto simile, per toccare con mano quelle che per me erano solo utopie.
Prendere un treno e venire in Italia senza dirlo a nessuno é una pazzia? Forse.
Ma, a mio avviso, anche privarci di uno strumento d'identificazione lo è.

Una mano mi picchietta sulla spalla, facendomi voltare di scatto. Appartiene ad un signore di mezza età, non troppo alto, che mi scruta dall'alto in basso. Mi sta chiedendo qualcosa in tono autoritario, però parla in una lingua a me sconosciuta.
Gli faccio segno di non capire e lui, grazie al cielo, sembra intuire la mia difficoltà. 《Mi mostri il biglietto per cortesia》dice infatti in inglese.
Allarmato, mi tasto i pantaloni, ma so già che è inutile: ero in ritardo, perciò sono salito al volo sul bus, sperando nella buona sorte di un ragazzo che scappa di casa. Forse semplicemente ho letto troppi romanzi.
《Mi dispiace, non ce l'ho.》
Il controllore - perché di questo si tratta- storce la bocca e si aggiusta gli occhiali sul naso.
《Allora sono costretto a farle la multa.》Digita qualcosa su un tablet. 《Mi dica il suo nome.》
Ecco. Il momento che ho sospirato, temuto, atteso, è arrivato. É qui.
《Non ho un nome》mormoro a testa bassa.
L'uomo rimane un attimo in silenzio, gli occhi leggermente sgranati. 《Non mi prenda in giro.》
《É la verità!》
Sospira. 《Senta, se lei mi dà le sue generalità, sarà molto meglio per tutti.》
《Ma io sono serio!》protesto. 《Da dove vengo io, il proprio nome va guadagnato con l'esame di maturità.》
L'uomo ridacchia, probabilmente divertito da quella che crede soltanto una balla. Provo un pizzico d'invidia nei suoi confronti, anch'io vorrei che fosse soltanto una bella favola.
《Non mi prenda in giro. Se lei non mi dà il suo documento, sarò costretto a chiamare la polizia.》
Mi passo una mano tra i capelli, mentre sento la frustrazione montarmi in petto. 《Mi rendo conto che sembra una storia assurda, ma non le sto mentendo. Non ho un nome.》
Tira un lungo respiro. 《Se non ce l'ha, se lo inventi.》suggerisce con un sorrisetto.
Magari fosse così facile! Non posso certo autoappellarmi, devono essere gli altri a farlo. È questa la norma. La legge però prevede anche che io sia un anonimato, che non dia nomi a nessuno, che non navighi su siti stranieri e che non scappi di casa.
Eppure queste cose le ho fatte tutte. Perché privarmi allora dell'unica cosa che voglio davvero? Se é importante, davvero importante, é legittimo infrangere le regole no? E questo lo é, eccome se lo è.
《E sia》annuncio con un sorriso. 《Il mio nome é Gabriel Sanders.》

Nota autrice:
Sembrava impossibile ma alla fine ce l'ho fatta, ho pubblicato.
Ps: i "nomi" non hanno volutamente la maiuscola.

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